INTERVISTE: Valentino Campo

A cura di Davide Iannace

 

Quando sono finito a Campobasso con in mano una lista di nomi che avrei voluto intervistare a ogni costo – tra di loro, ovviamente, Murubutu, Matteo Pericoli – avevo la sensazione che mi sarei annoiato mortalmente nel freddo molisano. Non è stato così, per nulla.

Anzi, è stata un’avventura che ricordo con gioia e soddisfazione. Hanno contribuito la cordialità dello staff e l’apertura mentale degli ospiti. Mi sono adeguato immediatamente all’idea che, essendo l’edizione dedicata ai confini, il vero sforzo fosse superarli in qualche modo.

E così, nonostante non fosse in programma, ho deciso alla fine di parlare anche con la mente da cui scaturisce Poietika: Valentino Campo. Un’ora di chiacchiera, a distanza, è quella che vi riporto qui.

 

Iniziamo direttamente dal principio. Come nasce Poietika, qual è l’origine di questo evento culturale di Campobasso?

Allora, io ho letto con attenzione non solo il primo reportage ma anche le domande che mi avevi proposto in via cartacea. Sono profonde e danno spazio a molto da dire. Si comprende l’attenzione e la cura dalle tue domande per questo evento. Cura e attenzione che sono poche verso iniziative culturali, l’arte, i dischi. Perché? Perché ce ne sono tanti. Per questo quando ho pensato a un festival a Campobasso ho pensato a un festival che si differenziasse rispetto agli altri, perché sono migliaia, forse uno a paese, tutti spacciati per eventi culturali. Bisognerebbe vedere cosa si intenda per culturale. La parola cultura deve essere correlata, in sintagma stretto, col ruolo dell’intellettuale. Non vorrei scomodare Pasolini, ma l’intellettuale deve essere curioso a 360 gradi, farsi delle domande su chi siamo e su dove stiamo andando. Poietika nasce come provocazione, anche. Nel tuo articolo parli del GPS, mi è piaciuto molto quel passaggio, quel dire di essere diretto col tuo GPS verso una terra del nulla. Ecco, il Sud, il Molise, Campobasso, le terre del nulla. Campobasso è un po’ un non-luogo. Per molti anni, con Luigi Fabio Mastropietro, sono stato il direttore artistico di una rivista di Campobasso, con l’intento di sprovincializzare il Molise, di andare oltre, di uscire. Si chiamava Altroverso e per una decina di anni siamo andati avanti, avendo anche ottimi risultati – ma fuori dal Molise, con apprezzamenti e collaborazioni spesso anche molto importanti, venute spontaneamente da poeti e scrittori.

Con Poietika, quando l’ho proposto ad Antonella Presutti (Presidente di Molise Cultura, n.d.r.), lei aveva l’idea di un progetto insieme, di un festival, subito mi è venuto questo rigurgito legato ad Altroverso, portate il Molise fuori dal Molise, un festival con le peculiarità diverse, altre, ma anche autoctone. Mettere in sintonia quegli intellettuali e scrittori nazionali e mondiali e metterli in contatto con la realtà molisana. A volte è facile dire che a Benevento, che nel Molise, non ci siano intellettuali. Non è così. Nel tuo pezzo l’hai detto, parlando di Michele Paladino. Lui esiste, vive a Santa Croce di Maiana, è un poeta forse ancora acerbo ma è un intellettuale che anima la scena locale, che ha una sua importanza. Ma senza Poietika, chi gli avrebbe dato anche una voce? C’è bisogno di sfruttare queste risorse, anzi, non sfruttare, di farne l’humus con cui creare nuove prospettive, o rischiamo di piangerci addosso per sempre, i giovani se ne vanno via altrimenti. Ed è certo che vanno via, se si occupano i territori e gli spazi. Nel Molise, come in buona parte del Sud, si occupano gli spazi. Uno si occupa di cinema, uno di letteratura, amici degli amici. Molto spesso mi scoccia anche dirlo, perché rischio di far la figura del so-tutto-io, della persona tronfia, ma molto spesso c’è improvvisazione. Gente che si occupa di cinema, dopo un filmino fatto ad una comunione. Chi si occupa di musica dopo aver ascoltato una trentina di CD. Non funziona così, credo non funzioni cosi, perché cosi si occupano gli spazi altrimenti, e si toglie l’aria a persone come Michele Paladino, dalla cultura straordinaria, scrittore e divoratore di libri e cultura, che scrive di queste realtà anche di confine, come di Santa Croce. Questa era l’idea, collegare sul cartellone e al di fuori Paladino con Bruder, a pari dignità, un passo già molto importante. Chiaro che poi gli si dà tutta la possibilità per non farli sentire meno soli, ma sta a lui poi maturare e crescere. Poietika nasce con l’idea di puntare ad eventi e nomi assoluti. E come si fa a dire quali sono dei nomi assoluti? C’è una grande responsabilità che bisogna prendersi, che passa per lo studio, l’esperienza propria, la propria sensibilità. Per il momento siamo alla sesta edizione e la sensibilità mia e di altri, come nel caso Salguiero che è venuta qui grazie alla sensibilità di Maurizio Oriunno. A me piacerebbe anche avere una come Patti Smith, per dire un nome. Nel cinema, uno come Win Wenders mi piacerebbe vederlo a Poietika ed è certamente dovuto alla mia sensibilità. Perché so che queste persone lasciano qualcosa.

Lasciano un messaggio, possiamo dire. Per come ho vissuto Poietika, è un modo di trasformare un non-luogo in un luogo nel momento in cui viene vissuto. Campobasso, stessa cosa, viene vissuta grazie anche a questi momenti culturali.

Si, diciamo che, come molte città del sud, Campobasso, è pigra, ha bisogno di stimoli. Che però se stimolata, la gente poi ti ferma per strada e ti ringrazia perché ti dice che è stata arricchita da questo momento. Passa Poietika e lasciamo delle riflessioni, delle ricchezze direi culturali. Questo è ciò che deve fare la letteratura, lo deve fare un festival che si rispetti, lo deve fare la musica, l’arte. Ci deve essere una forte connessione alla vita.

 

Arricchiti saranno sicuramente i giovani, perché ne ho visti tantissimi, non solo a eventi pop, come Murubutu, ma anche ad eventi più complessi, come quello di Jessica Bruder o di Matteo Pericoli, che parlano anche di tematiche considerate difficili. Io ho visto invece tantissimi liceali.

Questa è la rivoluzione gentile di Poietika secondo me. Se a questi eventi togli il 50% dei giovani, ottieni una realtà spettrale. Gli adulti, che dovrebbero essere quelli interessati a Corman, alla politica di Bruder, perché non vengono? Vedo delle logiche molte provinciali in ciò, dettate da invidia e gelosia che avviene spesso nel sud. In altre parti, vedi dei festival molto importanti in cui lo zoccolo duro dell’evento è la popolazione locale, con altre esperienze. Qui invece spesso sembra di seminare in un campo molto arido. C’è bisogno che escano dei germogli. C’è bisogno di germogli dove la terra sia meno arida e che sia predisposta. Io credo che qualsiasi evento, nel sud, se non è para-televisivo come in campo musicale Ranieri o Morandi, o personaggi televisivi della letteratura come Saviano, rischiano di avere poco successo senza il coinvolgimento dei giovani. È dai giovani che bisogna riiniziare. È un problema soprattutto sociale. I giovani in città come questa durano un ciclo di due-tre anni. Finiscono il liceo e vanno via. E chi rimane poi?

 

Sempre gli adulti.

Esatto, legati poi a quelle logiche, quella pessima visione politica che, in città come Campobasso, ha fatto danni, anche in campo intellettuale. In questi luoghi gli intellettuali non sono cresciuti mai, non indipendente. Sono sempre stati collegati al politico di torno, che gli da una provvigione. Quelli che scrivevano, scrivevano e pubblicavano con i fondi pubblici. E nostre biblioteche sono piene di libri pubblicati con i fondi di regioni e province, con gli oboli dei politici locali. Non c’era libertà, l’intellettuale libero, non c’è mai stato. Ci sono amici miei, intellettuali straordinari, che o sono impazziti o diventati alcolisti o scappati via. In queste realtà, se io non avessi lo stipendio da docente, non potrei campare facendo lo scrittore e il critico letterario. Come lo faccio, il critico, in questa realtà? Altroverso è sopravvissuto solo grazie agli abbonamenti fuori dal Molise. In regione, quanti erano? Solo quattro. E poi diventano tutti poeti, esperti di musica.

Michele Paladino a Poietika – Ph. Michele Messere

Bisogna però dare il giusto peso, comunque, poi alle forme di cultura realizzate sull’ambito locale, bisogna curarle.

Assolutamente. Tu pensa che sul territorio ci sono riviste che dicono di occuparsi del sociale. Però se a Poietika viene Vandana Shiva, però tu devi venire, al di là di chi lo ha invitato. Questa è onestà intellettuale. Al di fuori di chi se ne occupa. C’è Adonis, c’è McCurry, te ne devi occupare. O c’è quindi malafede, o c’è una visione politica del fenomeno. Il Molise vive ancora questi retaggi, e i giovani sono i soli che possono fare questa rivoluzione gentile per scardinarli, ma bisogna dargli modo di rimanere nel territorio, e torniamo a quel discorso sociale e civile. Se i giovani tornano, sono esperti di diversi ambiti, hanno master, lauree, esperienza, e poi sono scavalcati da “amici di amici” che perché hanno una reflex si considerano esperti di fotografia, ad esempio, e ne vengono scavalcati. Allora, che senso ha rimanere?

 

Quello è un problema. Hai giovani preparati e manca il terreno fertile per farli crescere, sono germogli portati via dal vento. Anche un peccato, alla fine. Campobasso ha una bella università e quando poi esplori, da persona che ritorna, il Sud, trovi che ci sono le occasioni e le opportunità ma che i casi eccellenti e positivi sono spesso frutto di positive convergenze.

Bravo, esatto. La mia risposta è questa: come nasce Poietika? Una convergenza di cose straordinari, astrali convergenze di cose straordinarie. Ci siamo trovati in un periodo della nostra vita, io, Antonella Presutti, altri amici, altri si sono aggiunti via facendo come Maurizio Oriunno. Non so quanto può durare tale convergenza astrale tra le nostre parti, ma è nata così, e lascia il segno. Altra cosa terribile, che temo del Sud, è che non si mettono i puntelli. Esistono eventi, diventano punti fermi, da lì bisognerebbe andare avanti. Qui invece si distrugge e si ricomincia sempre, non si prende mai qualcosa come punto di riferimento, come punto di ripartenza.

 

Il che è un male, perché Poeitika, almeno questa edizione, io ho visto delle personalità prestigiose che danno credito poi ad una futura, ad esempio, settima edizione. Ci si può vantare di aver avuto Bruder, Murubutu.

Bravo, sono d’accordo. Se tu vedi le cinque scorse edizioni, abbiamo infatti avuto nomi importanti, come Adonis. Dal lato civile, Vandana Shiva, Pupo Avati, un poeta favoloso come Zurita, poeti importanti come De Angelis, Moresco, Antonella Anedda, Patrizia Valduga, per dirne qualcuno così a braccio. Abbiamo avuto quindi dei nomi importanti.

 

Che è stato sicuramente un grande risultato. Personalmente, al di fuori degli ospiti extra-molisani, come voci locali io ho molto apprezzato Azzurra De Gregorio. Ho dei pregiudizi a volte verso la performance art, ma la De Gregorio è un’artista completa, preparata, una di quelle voci molisane che si è già realizzata all’estero, un plus ecco.

È il discorso che ti facevo prima infatti. Azzurra è un’attrice che qui non trova spazio. Perché il territorio si vede occupato nei suoi spazi da altri, in cui l’attore è relegato a certe logiche e posti. Azzurra viene riconosciuta all’estero, per vedersi riconosciuta poi le sue abilità, non qui. La stessa cosa avvenuta con Nicola Magolino, un regista teatrale bravissimo, compagno della De Gregorio, ha fondato con lei Abraxas, lavori straordinari di ricerca artistica, che è in Inghilterra per lavorare. Io sono contento di aver coinvolto Azzurra, preparatissima. Il suo evento si sposava benissimo con la tematica del confine, del linguaggio del corpo e quello digitale.

Azzurra de Gregorio e Valentino Campo a Poietika – Ph. Michele Messere

Lei è una di quelle artiste che in un mondo di categorie è difficile da categorizzare. Attrice, ma regista, studiosa, performance artist. Sicuramente in mondi che procedono per categorie risulta difficile metterla da qualche parte, perché lei ti prende una stanza e ti fa un teatro, spezza i confini.

Si, bravo, esatto. Lei coinvolge, infatti nel suo workshop, dove almeno venti erano ragazzi, si sono sentiti coinvolti e anzi, il giorno dopo mi hanno detto che amerebbero vedere poi quelle idee trasposte su un palco, in un evento, messe in pratica.

 

Molte di quelle idee erano molte innovative. Ne parlammo già a Poietika, più quelle dei giovani che di altri. Non erano idee naive, ma erano nuove, senza filtri, colpivano nel segno.

È vero, e a questo bisogna dirigere le forze di un festival intelligente, dare spazio e voce a questi ragazzi. È chiaro che, si, intanto tu li coinvolgi e li rendi protagonisti dando peso alle loro idee. Facile altrimenti riempirsi la bocca con i soliti claim sul dare voce ai giovani. I giovani prima o poi, specie qui, diventeranno vecchi, non è terra per i giovani.

 

C’era un film chiamato Non è un paese per vecchi, e i nostri paesi non lo sono per giovani. Avevamo anche parlato di come tu avevi conosciuto Murubutu, del tuo nuovo rapporto col rap.

Si, ricordo. Te l’avevo detto che, come critico letterario, mi sono sempre occupato di letteratura e poesia, mai di rap. Ma ero già entrato in contatto con lui, prima ancora che mio figlio me ne parlasse dopo il suo concerto di qualche anno fa ai Magazzini Generali di Milano. Avevo avuto un primo contatto con lui, perché Alberto Bertoni, critico di Modena, ha fatto tre o quattro anni fa un’antologia di poesia italaian contemporanea e vi mise Murubutu. Dalle notizie bibliografiche, in qualche modo mi ero indirizzato sulla sua ricerca. Si parlava di un professore di filosofia e di un rapper. Lessi qualche testo e finì tutto lì. Dopo il concerto dei Magazzini Generali, mi son messo su Spotify a sentire un po’ tutta la sua prodizuone, straordinaria nel linguaggio. Io non ho l’educazione al rap, come tipo di musica, però i testi e fare un rap che non è classico ma più melodico, con basi orecchiabili e parole potenti, così le ho trovate. Vidi sempre con Alberto Bertoni, un incontro tra lui, Guccini e Murubutu. Parlavano di letteratura, Guccini parlava di cantautorato. Uno dei primi nomi fermati l’anno scorso è stato quindi proprio Murubutu. Specie dopo l’album uscito nel 2020, Infernum, che ho trovato molto interessante e che mi hanno colpito molto. È intelligente, nel senso di queste connessioni tra Alighieri e la contemporaneità. Prima del concerto, mi son fermato a parlare con lui, e mi ha colpito il passaggio di Minosse in cui dice che Se lui andrà l’inferno, la pena per analogia sarà quella di dimenticare la parola. Lì ho capito che si tratta non di un grafomane, di un rapper che si delizia dei giovani che lo seguono, ma di qualcuno che lavora sulla parola.

 

Me lo disse anche lui, ci teneva anzi spesso e lo disse sul palco, che i suoi testi non fossero semplici anche per stimolare le persone a comprenderle, e che proprio Minosse è uno degli album preferiti che ha fatto con Claver, un brano politico e attuale, con molto storytelling alle spalle.

Se vedi tutto l’album di Infernum, in realtà c’è anche questa distinzione tra le parti cantate tra Murubutu e Claver, anche nell’uso delle parole. Claver è un po’ più classico, si cerca la rima. Murubutu si tiene nella tradizione poetica italiana, si vede che ha letto di poesia e narrativa. Mi piace ciò che ha detto, che legge molto la letteratura anche magica sudamericana.

 

Si, vero. Non ricordo se in Tenebra è la notte o ancora prima, vi sono molti pezzi che sono ispirati alla letteratura sudamericana.

Tenebra è la notte è un grandissimo album. In quelli precedenti lui strizza l’occhio molte volte al sentimentalismo, come in I marinai tornano tardi o La notte di San Lorenzo, ma in Tenebra è la notte la lingua si fa asciutta e essenziale.

Valentino Campo e Murubutu – Ph. Michele Messere

In Murubutu si, c’è sempre questa alternanza tra i pezzi sentimentali, che mi piacciono tanto comunque, e altri pezzi che hanno un carattere storico – come Lepanto o L’armata perduta di Re Cambise – o anche pezzi politici – come Martino e il Ciliegio. Mi piace questa alternanza di sentimenti e di riflessioni di tipo più politico. È qualcosa che, in qualche modo, ho trovato anche in Matteo Pericoli, specie nel suo libro che ha presentato e che si concentra sul tema della migrazione, a metà tra manifesto politico e un lavoro artistico.

Assolutamente, è vero questo. È vero che lui nasce come architetto (Pericoli n.d.r.) e che sta prendendo una nuova strada. A Torino ha fondato un laboratorio di letteratura e architettura, un bell’esperimento. Come l’architettura possa essere racconto, non solo l’aspetto tecnico, ingegneristico, matematico, ma anche narrazione letteraria, di ciò che si guarda e dell’ambiente vissuto. Io non lo conoscevo, ma quando mi sono trovato al Kennedy, aeroporto di New York, ai gate d’arrivo vi è questo suo enorme murales, anzi, pannelli, ti accoglie l’aeroporto con lo skyline di New York con questa tavola di 12 metri (Fatta girando in barca intorno Manhattan, n.d.r.). Lì l’approccio è quello di farti trovare la città. Mi sembrava l’immaginario di un pittore, più che di un architetto. Da qualche anno sta facendo questa operazione. Prima del libro Finestre sull’Altrove, aveva fatto Finestre su New York, che stava lì a disegnare le finestre di ciò che lui vedeva oltre.

 

Si, le hanno mostrate durante Poietika. Aveva fatto queste finestre, anche di case di persone famose che lo avevano invitato.

Pensa che, poi, come è strana a volte la vita, e si finisce sempre per attraversare mondi di altri. Noi abbiamo avuto modo di invitare Albie Sachs, giudice della Corte costituzionale del Sud Africa, collaboratore di Mandela, persona che ha subito degli attentati, e lo ha detto anche Pericoli. È dovuto andar via per questo, e quando tornò Mandela lo nominò giudice della Corte costituzionale. Lo avevamo invitato qui a Poietika, doveva esserci, soltanto che poi ha dovuto declinare per la recrudescenza della pandemia, perché non poteva permettersi i giorni di quarantena obbligatori di ritorno in Sud Africa. Vengo poi a scoprire che Albie Sachs è anche un protagonista di Finestre sull’Altrove.

Michele Porsia e Matteo Pericoli a Poietika – Ph. Michele Messere

Sono le piccole connessioni che casualmente capitano nella vita.

Vero, molti dei personaggi straordinari citati da Pericoli sono state invitate a Poietika, moltissime di loro. L’attivista irachena, Nadia Murad, che ora lavora all’ONU e si sta impegnando per i diritti delle donne e contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Ci siamo intrecciati, e questa è una delle prerogative di Poietika, di occuparsi di tematiche che sono attualissime, come l’Afghanistan nell’ultima giornata. Ma in passato ci siamo occupati spesso degli ultimi della Terra, dell’ambiente.

 

Già con Nomadland si è parlato infatti di persone svantaggiate, che non per forza hanno scelto di fare i nomadi.

Si, gli ultimi infatti. Non a caso l’evento della Bruder si chiamava No home, no rights. Senza casa e senza diritti. Nel tuo articolo c’era questo passaggio interessante che mi è piaciuto. Alcune domande poste alla Bruder erano domande che, per qualsiasi autore occidentale, sarebbero state domande su cui soffermarsi, di cui parlare. Per la Bruder, proveniente da quel contesto americano, anche in ambito sanitario, dove come dici tu anche l’insulina si paga, fare quelle domande a lei vuol dire, come dici sempre tu, fare domande naive. Hai fatto bene a sottolineare che, in qualche modo, li è evidenziato il confine interno all’Occidente, tra USA ed Europa.

 

Si, l’avevo un po’ notato quel giorno. Da italiano, che tutto sommato abbiamo un’istruzione relativamente a basso costo rispetto gli Stati Uniti, una salute ancora pubblica. Quando ovviamente viene detto che si fa la vita da nomadi anche per quei costi esorbitanti di casa, assicurazioni, diviene estraniante come discorso. Siamo tutti parti del macro-blocco occidentale ma siamo anche distanti.

Leggendo il libro infatti ci si chiede che questi, a sessanta o settanta anni, si trovino punto e a capo. Hanno una vita, figli, lavorato, si ritrovano snza casa e senza nessun diritto, all sanità per esempio, ed è pazzesco. Per loro è la normalità, e questo è tragico. Gli Stati Uniti che nell’immaginario sono la roccaforte della democrazia e dei diritti, poi nella realtà leggendo quel libro trovi persone che a settant’anni si ammazzano, non sapendo come andare avanti, o devono fare scelte estreme come viviere da nomadi, e sono sempre di più.

 

Anche la Bruder lo ha detto. Più la situazione peggiora, più persone devono adeguarsi a questo sistema.

È un sistema quasi schiavistico. In un mondo che poi, a sessanta-settant’anni rischi di ammalarti, per fisiologia, se non puoi pagare per le spese mediche, senza garanzia statale, sei morto, di fatto. Le pensioni di previdenza sono quattrocento, cinquecento, dollari.

 

Che sono insufficienti a vivere.

Come fai a viverci, infatti?

 

Colpiva tantissimo. Da esterni sicuramente colpisce, viene da chiedersi poi quali ragionamento che sviluppano internamente agli Stati Uniti. Sicuro vi sono intellettuali che si occupano di questo fenomeno.

A me sai cosa è dispiaciuto, del ruolo di intellettuali come la Bruder? A me è dispiaciuto molto che, quando ho fatto quella domanda precisa su cui lei aveva già in passato risposto, ovvero su cosa pensasse dl governo Trump, abbia preferito non rispondere, dire solo che è stato il peggio del peggio, ma invece avrei preferito parlasse delle conseguenze, del perché lo giudica sbagliato. Avrei preferito ecco.

Valentino Campo e Jessica Bruder a Poietika – Ph. Michele Messere

Lasciando gli americani da parte, per Poietika, parlando di futuro, per la settima edizione, che penso vi sia comunque una grande base di partenza con la sesta. Hai qualche idea su cosa fare? Qualcuno che ti piacerebbe vedere arrivare a Campobasso?

Si, in tutta sincerità si. In questo periodo sto lavorando con Pino Bertelli, un grande fotografo di strada, che ha vissuto con Pasolini ed è entrato in Accattone girando alcune scene. Ha vissuto con Don Gallo, nei suoi ultimi tre anni nella stanzetta lì a Genova. Ha fotografato Penna, la Merini, è una persona con spessore, con reportage in Africa, in Ucraina, libri. Per me è un onore fare un libro con Bertelli, questo libro onirico sul Molise. Lui viene due o tre volte all’anno, si ferma cinque o sei giorni, e giriamo insieme. Non è una guida turistica, ma è un libro onirico su questa terra, con miei testi e sue foto in bianco e nero, che contiamo di mandare in stampa la prossima primavera e sinceramente non so come sarò messo. Chi, Antonella Presutti o altri, organizzeranno e proverò a dare la mia mano, perché è come una creatura per me, cresciuta tutti insieme.

Mi piacerebbe molto il premio Nobel della letteratura dell’anno scorso, Louise Bruck, che ora è pubblicata qui in Italia da Il Saggiatore, poetessa straordinaria. David Grossman anche mi piacerebbe moltissimo, quello scrittore a cui mai andrà il Nobel, per quelle tematiche che tratta nella terra molto di confine che sono Israele e Palestina, che ci ha vissuto, ne ha vissuto il dramma con la morte del figlio. Per quel che riguarda altri, mi piacerebbe Win Wenders, perché l’arte come profondità e come occhio che racconta ciò che accade. Mi piacerebbe Marco Bellocchio. Per la musica mi piacerebbe Patti Smith chiaramente.

 

Ci fosse Patti Smith, torneremmo anche noi sicuramente, dicendole che siamo proprio noi i Kids che vogliono intervistarla.

Mi piacerebbe molto anche avere filosofi. Abbiamo avuto già Galimberti, ma mi piacerebbe molto anche Recalcati. Mi piacerebbe ospitare sociologi, psicologi. Sono un paio di anni che sono dietro Cacciari, ma è un po’ difficile, perché non si sposta più di tanto per problemi di salute, ma questa è la linea, si, in generale. Italiani credo ad oggi vi siano tre o quattro straordinari scrittori come Moresco, Mari, Mutis. Spaziare quindi un po’. Mi piacerebbe aprire ad altre finestre, come economia, medicina. Abbiamo avuto Corman sulla ricerca scientifica e continuerei su questa linea. La cosa bella è che questi che ti ho fatto come nomi li abbiamo già contattati e tutti hanno risposto. È un indizio, questo, di come una manifestazione che nasce nel sud, a Campobasso, stia avendo credito. Alcuni nomi di solito non rispondono proprio. Avendo risposto, anche con un no, con una scusa, però hanno dovuto scrivere, ti hanno dato importanza.

 

Si sono comunque presi il disturbo di dirti di no, ma comunque ti hanno dato un credito con la loro risposta.

Si, esatto, bravo, è così. E a me fa molto piacere ovviamente. La difficoltà è tenere questa barra diritta ora. Le pressioni sono tante, lavori in una redazione e immagino tu sappia le pressioni che ci sono, con chi invia i CD e i libri per chiedere uno spazio e una recensione.

 

Il prezzo di crescere e di avere prestigio. Un po’ tutti vogliono avere il loro spazio però allo stesso tempo si ha un progetto e si vuole mantenere quel progetto.

Vero, bravo, ma dall’altra parte spesso non c’è quell’intelligenza, di cui parlavamo prima, di quelle invidie. Perché si Azzurra De Gregori e non me con i miei tanti visitatori al mio teatro di piazza, ad esempio? Bisogna prendersi la grande responsabilità, specie in provincia, diviene difficile anche. Molti amici scrittori e intellettuali mi dicono che sono ammirati dalla resistenza di Poeitika, con cui si tende a cercare di avere sempre un fine, un livello alto, senza scendere a compromessi, anche se a volte inevitabilmente devi scendervi. Compromessi non di qualità, però. I Lovesick, del primo giorno, di per sé non c’entrano con quel percorso sul tema dei confini. Bravissimi, ma non erano innestati nel percorso di ricerca e sensibilità di quest’anno ecco. A volte, bisogna fare questi piccoli compromessi anche per il fine della manifestazione. Questo è un po’ il discorso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *