Intervista di Las Nenas
Ciao Tony, benvenuto nella nostra rubrica Las Nenas entrevistan. Sei un musicista, pianista, compositore, produttore e soprattutto amante della musica latina. Qual è stato il momento della tua vita che ti ha fatto dire: “Voglio fare musica latina”? Sei rimasto colpito da un artista? Da una canzone? o da un paese?
Sono approdato in questo ambiente della musica latina e in questo genere per puro caso, uno caso di circostanze che mi si presentavano davanti al mio percorso musicale. Io arrivavo da un’esperienza sulle navi di due anni come pianista in un’orchestra di teatro sulle navi. Nel 2001 decisi di tornare sulla terra ferma. Ho iniziato a suonare da molto giovane nei club e, ancor prima delle navi, le mie esperienze musicali erano sempre nella World Music, Ethno Music, ho suonato tanti anni anche l’Afro Jazz. Quindi ero già musicalmente oltre confine, non ho mai suonato rock, pochissimo musica italiana.
Tornando dalle navi – qui erano i primi anni dove iniziavano ad aprire i primi locali latini, le prime sale da ballo in cui la gente andava a ballare e in cui iniziarono ad arrivare le prime orchestre, principalmente da Cuba – mi trovai, per puro caso, una sera ad ascoltare un’orchestra di salsa. Conoscevo il genere vagamente, ma vederlo suonare e vedere un’orchestra di salsa suonare dal vivo, aveva fatto scattare qualcosa in me, mi aveva subito attratto, emozionato ed appassionato. La passione nel tempo è cresciuta e si è alimentata però questa è stata la prima scintilla che mi ha dato una sensazione di attrazione, non mi ha fatto dire subito, inizialmente, voglio fare musica latina, ma nel tempo ci sono finito dentro perché faccio questo oramai da quei tempi, da quasi vent’anni. Da quel momento iniziai a vedere le orchestre suonare, prendere contatti, iniziai a studiare e ascoltare musica latina – salsa – e a cercare consigli, bussando alle porte dei maestri perché mi insegnassero e potessero dare consigli sugli indirizzi, percorsi di studio per questo genere.
Hai fatto parte sin da molto giovane di molti gruppi musicali e orchestre. Nel 2003 sei stato pianista, direttore musicale e arrangiatore del gruppo cubano Clan537. Come ti sei ritrovato da italiano ad intraprendere un viaggio nella cultura musicale e nella terra cubana? Hai vissuto per un periodo a Cuba?
Da piccolo studiavo pianoforte classico e iniziai a suonare molto presto, già a 15 – 16 anni suonavo nei club e mi affascinava questo mondo. Questo è stato uno dei motivi, ahimè, che mi ha fatto lasciare lo studio e il percorso del pianoforte classico. Mi piaceva suonare in giro, mi piaceva stare sul palco e condividere la musica con gli altri musicisti.
Arriviamo nel 2003 e in quell’anno mi fecero una proposta di fare una tournée con un gruppo che arrivava da Cuba: il Clan537, un gruppo non prettamente salsero, ma una fusione di più stili: rap, hip hop unito a ritmi cubani come timba, mambo e salsa. Erano i predecessori del reggaeton, io sono entrato a far parte di questo gruppo e con loro ho fatto una tournée europea di un anno e poi sono diventato il loro direttore musicale. Da qui è partito un discorso di produzioni, brani, dischi. Come ho detto prima, mi fecero conoscere quello che adesso è il reggaeton. Loro erano ragazzi molto giovani che arrivavano dall’underground, dalla strada e mi parlavano di questo genere che avrebbe sconvolto il mondo latino e che poi si è rivelato essere vero. Abbiamo fatto quindi questa tournée di un anno, girando tutta l’Europa, poi produzioni, televisioni anche qui in Italia su Italia Uno, canale 5, abbiamo cantato la sigla di Miss Italia. Il gruppo prometteva bene ed è stata un’esperienza che mi ha ovviamente insegnato e aperto ancora di più. Contemporaneamente e parallelamente continuavo gli studi di quello che era il genere più profondo. Iniziai con loro a conoscere molti altri musicisti. Un’altra cosa che mi affascinava molto del mondo della musica latina era proprio questa cosa del condividere, dello scambiare, che succederà anche in altri generi, ma a me capitava più in questo mondo e mi trovavo più a mio agio.
È stata una bellissima esperienza sia per i concerti che per le produzioni. Il mio bagaglio con loro cominciava a crescere, cominciavo sempre più ad imparare lo spagnolo perché prima non lo conoscevo. Imparai uno spagnolo molto slang, di strada perché loro erano molto giovani. Nel tempo, studiando imparai il castigliano.
Come mi sono ritrovato da italiano ad intraprendere un viaggio nella cultura musicale e nella terra cubana? È stato sempre tutto un po’ per caso, ci sono finito dentro e quindi mi sono tirato su le maniche e ho cercato di farmi strada nell’ambiente. Chiaramente, non conoscendo la lingua, avendo pochissima conoscenza dei fondamenti musicali, di quello che è la cultura, può sembrare all’inizio difficile, però sin da subito mi sono trovato molto bene perché mi trattavano come un latino, non mi trattavano da italiano, come uno straniero. C’è da dire che la musica è un linguaggio universale e quindi non esistono parametri di razze e si condividono molte cose al di là della provenienza.
Non ho mai vissuto a Cuba e ci sono stato solo una volta nel 2014 e soltanto 20 giorni per una vacanza. Stiamo parlando di molti anni dopo, da quando ero già entrato in questo mondo. Conoscevo già la cultura e moltissime cose di Cuba, mi sentivo quasi a casa perchè avevo letto tantissimo e quindi conoscevo la storia cubana musicale e non. Era già un ambiente familiare.
Due famosi musicisti cubani, Ignacio Cervantes (1847-1905) ed Ernesto Lecuona (1895-1963), usarono la danza come base per alcuni dei loro brani più memorabili. Tu da musicista che compone musica latina e in particolare la salsa, pensiamo al tuo brano Topanga con cui è impossibile stare fermi e non ballare, come fai a dar vita ad una musica che fa ballare?
Qui citate due grandi maestri – Cervantes e Lecuona – che tuttora studio perché sono fonte di studio, di grande storia musicale; a me poi piace in particolare il danzón proprio per un discorso di studio, mi piacciono tantissimo queste contaminazioni classiche, molto europee che poi sono collegate e messe insieme nella cultura afrocubana e latina.
Come si fa? Intanto grazie per il complimento per Topanga, mi fa piacere che è un brano che non fa stare fermi perché vuol dire che funziona. Non c’è un trucco o una regola per un brano di salsa. Nasce un’idea, una melodia, un testo e poi deve avere dei canoni ben precisi… La salsa è comunque un genere nato per il bailador quindi deve avere delle regole per far sì che il bailador si senta a suo agio, che sia piacevole da ballare. L’indirizzo di stile glielo dai tu in base al tuo stile personale, però tolta la parte musicale – per esempio, in Italia e in Europa non tutti quelli che ballano, ascoltano musica latina; in Latino America si, ascoltano anche molto i testi quindi un brano può essere che non lo mettono in discoteca, ma la gente lo ascolta, è una hit in tutte le radio perché ha un bel testo, perché il cantante ha una voce molto bella, ha una bella melodia – il discorso del ballo è legato più che altro al discorso ritmico, avere dei canoni che io ho imparato nel tempo e che continuo ad imparare con tutte le mie varie esperienze. Ho capito nel tempo in che direzione deve andare un brano perché possa funzionare sulla pista, poi non è detto: non solo questo dà la certezza che il brano possa funzionare. Sono tanti elementi messi insieme da considerare però, per far sì che il bailador possa ballare bene tranquillamente e in maniera piacevole, il brano deve avere delle basi tecniche – musicali ben precise.
Sei stato in tour anche in Asia e hai detto in un’intervista come “l’Asia sia la nuova frontiera della musica latina nel mondo”. Ci spieghi il perché e ci racconti l’esperienza in questo continente?
Sì, sono stato in tour anche in Asia. Ho conosciuto l’Asia e il bello di fare il musicista è la possibilità di viaggiare e io adoro viaggiare. Fortunatamente, facendo questo lavoro, a parte i due anni di pandemia, ho sempre avuto la possibilità di viaggiare e conoscere diverse culture. È una cosa bellissima perché ti arricchisce anche interiormente.
L’Asia è bellissima, l’Oriente mi affascina tantissimo dopo l’Africa, perché ancora prima della musica latina, come vi dicevo, ho avuto molte esperienze musicali e artistiche che arrivavano dall’Africa come l’Afro Jazz. Sono molto affascinato dall’Africa e considero l’Africa la madre del mondo, del pianeta terra per moltissime cose e soprattutto per la musica. Dopo l’Africa, ho conosciuto l’Asia e molti paesi: sono stato a Taiwan, Singapore, Corea del Sud, Thailandia e in Cina con un’altra orchestra. L’Asia mi ha davvero lasciato un segno, è un qualcosa di bello.
Dico che l’Asia è la nuova frontiera della musica latina perché la musica latina è arrivata anche lì ed in maniera molto presente. A Taiwan ballano salsa, è piena di scuole di ballo. In Europa, la musica latina è presente da molti anni soprattutto in Italia, Spagna, Francia che sono i paesi più legati a questo mondo. L’ambiente quindi può essere saturo. L’Asia, invece, è un territorio verde nel senso che è già nata da un po’ e si sta espandendo in maniera meno incredibile perché credo che ormai la musica, la cultura latina e il ballo hanno contaminato gran parte del pianeta terra. Se guardiamo anche la lingua – lo spagnolo – per esempio, negli Stati Uniti la maggior parte capisce e parla lo spagnolo, anche gli americani stessi. Anche io parlo più spagnolo che italiano perché ho tutte amicizie latine da Cuba al Messico, alla Colombia, Venezuela fino all’Argentina. Ho tantissimi amici sia qui che in giro per il mondo di origine latina anche per un discorso di lavoro e quindi vivendo in Italia parlo molto spagnolo. Io sono andato in Asia e con le persone parlavo spagnolo e mi capivano. È incredibile quando questa lingua sia entrata nelle culture dei vari paesi. L’Asia è un posto dove mi piacerebbe vivere perché è molto diverso dalle nostre culture occidentali ed è qualcosa che mi affascina. Secondo me da qui e ancora tra 10 – 15 anni ci sarà ancora un’esplosione. Molti artisti iniziano ad andare anche in Asia in tournée. Non c’è altro modo per diffondere una cultura se non quella dei live. Sono i concerti che portano la musica e la fanno vedere per come è davvero. In Asia questo è già presente da tempo, ma è in fortissima espansione. Negli anni 80’ c’era l’orchestra La Luz, che è stata la prima orchestra giapponese di salsa, erano bravissimi e già facevamo questo genere, quindi, erano già a conoscenza, avevano già una certa attrazione anche loro per la musica latina. In Asia ora è presente e potrebbe essere in forte espansione ed essere una nuova frontiera per la musica latina.
Tra tutti i paesi latinoamericani, ce ne è uno a cui sei legato maggiormente e dove vorresti trasferirti?
Ho pensato più volte di trasferirmi sia per un discorso di studio perché vivere nel paese madre di un genere chiaramente è diverso che viverlo a 10.000 km di distanza e lì sarebbe stato molto diverso, forse avrei fatto un percorso più veloce e avrei un altro livello oggi, più superiore. Molte volte l’ho pensato, anche seriamente, ma poi per vari motivi di vita non mi è mai scattata la scintilla che mi ha fatto dire: “Faccio le valigie e vado ad esempio a Cuba”. C’è sempre però questo pensiero nella testa di andare e stare un anno, due anni per esperienza che sia Cuba o un altro paese latino.
Hai mai pensato di scrivere un libro su tutte le tue esperienze musicali o anche relativo alla tecnica della salsa o sulla produzione di musica latina?
Adesso forse no, è ancora presto, magari in un futuro una biografia, come avete detto voi, sulle mie esperienze musicali, ma anche di vita legate alla musica. Sulle tecniche no, perché sto ancora imparando e non mi permetterei, sarebbe un po’ arrogante scrivere un libro sulle tecniche o uno sulla produzione di musica latina. Una biografia è più probabile, ma non adesso perché vorrei ancora continuare per molto tempo a viaggiare, a fare esperienze e vorrei avere così ancora molto più da raccontare. Sarebbe un libro sottoforma di un racconto in cui racconto un po’ tutto.
Gli aspetti della musica sono moltissimi. Ci sono dietro tantissime cose, la gente ti vede suonare su un palco, ma non sa tutto quello che c’è dietro. Ci tengo a dire che la vita del musicista, che suona sul palco, è una vita dedicata – come per tutti gli artisti, ballerini professionisti o chi, comunque, si dedica all’arte – è una vita di sacrifici perché bisogna dedicargli tutte le ore, si deve studiare molto. Ovviamente, dipende da cosa fai. Nel mio caso, oltre ad essere musicista e pianista, sono anche produttore, tecnico in studio, quindi registro, lavoro anche dalle parti del mixer, nelle parti tecniche dello studio di registrazione. È una materia in più questa e devo quindi studiare per rimanere aggiornato, per conoscere le tecniche di registrazione. Si dedica veramente tutto: ci si sta dentro con tutti e due i piedi, con tutto il cuore, ci si dedica l’anima e il corpo!
È una vita che può risultare difficile: questi due anni sono veramente stati i peggiori per noi artisti e musicisti, ma abbiamo avuto la forza per continuare ad andare avanti e tener duro. C’è il discorso ovviamente lavorativo perché siamo stati molto tempo fermi senza lavoro. È anche però un discorso di frustrazione nel senso che la maggior parte dei musicisti amano suonare e amano esibirsi dal vivo, non per un discorso di ego, ma perché si vuole trasmettere alla gente e far conoscere alla gente quello che si sa fare. Per me vedere un pubblico che balla, che mi sorride e applaude è la cosa più gratificante di questo mondo, è la riuscita di tutto l’impegno e di tutti i sacrifici che faccio.
Non ho mai pensato di scrivere un libro però poco tempo fa sono stato inserito in un’enciclopedia di salsa di un dj spagnolo: è un’enciclopedia che racchiude tutti gli artisti che hanno fatto questo genere e sono stato felicemente inserito come produttore. Questa cosa mi ha riempito di gioia e di soddisfazione. È un riconoscimento bellissimo!
Per chi vuole avvicinarsi al mondo della musica latina, cosa consigli?
Quello che consiglio è quello che mi hanno consigliato a me: ascoltare tantissima musica, ascoltarla bene e leggere sulla storia dei musicisti, delle orchestre, studiare la cultura, la nascita di questo genere, cercare di capire per non fare confusione. Ad esempio, per molto tempo e ancora oggi la gente dice che la salsa è di New York. In verità è Cuba la madrepatria di questo genere perché la Salsa non è che un derivato del Son, è un nome commerciale dato a questo insieme di cose ed è nato a New Work, le fondamenta però sono cubane. Consiglio per questo motivo di leggere molto la storia, la provenienza, gli stili. Ascoltare molta musica cercando, in base allo strumento che si studia e che si suona, di avvicinarsi ai musicisti. Per esempio, per un pianista: è importante ascoltare i pianisti, leggere molto, studiare appunto la pianistica e se si ha la possibilità, anche di interagire direttamente con altre persone. Cercare di parlare, andare ad ascoltare molti live. È importante sostenere la musica dal vivo per qualsiasi genere al mondo. Se non si sostiene la musica dal vivo, la musica muore perché è l’unica fonte dove nasce! Qua in Italia si è persa un po’ questa cosa di andare ai concerti, anche fuori dalla musica latina. All’estero, invece, non è così, ancora rimane l’idea del concerto. È importante anche andare ad ascoltare gli sconosciuti e vedere i loro live.
Io ho imparato, ho fatto da spugna da solo, ho sempre cercato di prendere da tutti, cercando di capire da solo, analizzando tutto quanto. Se torniamo al 2001, 2002, 2003, quando andavo in giro a chiedere ai maestri di piani, i pochi maestri cubani che c’erano qui in Italia, mi dicevano di ascoltare tanta musica e di non preoccuparmi. La materia musica latina non esiste e anche a Cuba non la studiano a scuola, fa parte del folklore e loro la imparano dalla strada perché fa parte del paese, della loro tradizione. Per noi, che siamo nati in un altro paese e che siamo una cultura diversa, diventa più difficile e quindi bisogna realmente stringere più contatti possibili, chiedere informazioni, cercare di imparare.
Io sono stato molto fortunato perchè ho suonato tre anni con un’orchestra di 13 elementi di salsa, suonavamo a Brescia, Milano quasi 3/ 4 volte alla settimana, accompagnavamo tutti gli artisti che arrivavano da Portorico, dalla Colombia, dal Venezuela, da Miami e in quei tre anni, dal 2008 al 2010, ho imparato a dirigere un’orchestra di salsa perché cercavo di imparare, guardavo, capivo, cercavo di analizzare perché succedeva questo o quello… Mi hanno sempre chiamato a lavorare come musicista e quindi sono sempre stato dentro questo ambiente.
Consiglio di non usare l’arroganza o la prepotenza del no, non chiedo, io sono più bravo. Bisogna essere sempre umili e cercare di interagire il più possibile. Al giorno d’oggi vedo alcune persone che producono musica latina e magari sono musicisti che suonano da due anni senza una vera e propria esperienza. Bisogna entrare nell’ambiente e conoscere tanta gente. È importante anche studiare per avere una cultura personale, anche quindi a livello teorico. D’altronde, quando si studia musica al Conservatorio, si studia anche solo la musica, c’è sempre un nesso tra le due cose. Io dopo vent’anni continuo assolutamente a imparare e ho voglia di imparare. Ogni giorno è una crescita, quindi, bisogna fare esperienze nuove e poi da ogni nuova esperienza impari delle altre cose. Il bagaglio diventa sempre è più grande, è un percorso, non si può pretendere che in poco tempo si raggiungono chissà quali conoscenze, ci vuole molto tempo.
Pippo Pollina nella sua canzone Il pianoforte di Montevideo canta “il pianoforte è un grande oceano”. Per te cos’è il pianoforte? E la musica?
Anche per me il pianoforte è un grande oceano. È lo strumento a cui ho dedicato tutta la mia vita, è dove mi sono concentrato, è lo strumento che ho iniziato a studiare. Mio Babbo era musicista, quando ero molto piccolo lui voleva che io facessi il musicista e quando scoprii le mie doti musicali, iniziò a farmi studiare. A me piacevano i tamburi però lui mi mise sul pianoforte e mi disse: “Studia il piano perché sarai un musicista più completo e avrei più possibilità di lavorare”. Il piano è qualcosa che mi riempie totalmente di emozioni. Molto spesso mi rinchiudo e converso con lui nel senso che quando sono a casa suono in cuffia nel silenzio della notte e comunico con lui.
Ogni strumento, per ogni musicista che è innamorato dello strumento, è un oceano perché è un piacere, si entra in simbiosi, c’è una comunicazione tra il musicista e il proprio strumento. Il pianoforte, però, essendo uno dei più completi, lo ritengo anche io un oceano, è un universo di possibilità. Quando dicono: “Ma le note sono 7, come si fa a trovare sempre una melodia diversa?”. È vero che fare musica è difficile perché è già stato inventato tutto, è già stato creato, scritto tantissimo però c’è sempre qualcosa di particolare. La musica, come qualsiasi arte, è l’espressione del proprio essere, del proprio carattere, della propria anima artistica. Quando sei un artista o musicista nell’anima, quando hai una dote innata per l’arte o per la musica, hai una dote divina, hai il talento e quindi qualcosa che non si può avere con lo studio, ciò che crei è sempre un qualcosa di diverso perché concretizzi un qualcosa che arriva da dentro e che ognuno ha in maniera diversa.
Il piano per me è tutto, devo avere sempre un piano con me. Se non suono per un po’ di tempo perché magari sono via, mi manca, mi manca proprio appoggiare le mani sui tasti e sentire il suono, emettere e creare melodie. È tutto quello a cui ho dedicato felicemente tutta la mia vita e continuerò a dedicarla in assoluto perché è questa la mia missione su questa terra! Il pianoforte, concludendo, è come un libro perché non ti tradisce mai, è lì che aspetta che tu lo suoni, che tu fai uscire dalle sue corde questo suono che componi con l’unione delle note, delle melodie e degli accordi. È lì che ti accoglie con le sue braccia. Il pianoforte è il tuo amico che non ti giudica mai, che non ti tradisce mai e che non ti lascia mai solo. Nei momenti di più grande sconforto, anche emozionali, di vita, di problemi, per me e per tutti quelli come me che fanno questo lavoro, questa vita, sicuramente sedersi su un pianoforte è una forma di protezione, di chiedere aiuto alla musica, di aiutarti emozionalmente.
Cosa devono aspettarsi i tuoi fan in questo 2022?
Quest’anno siamo nell’anno della ripartenza. Speriamo di essere arrivati alla fine di questo problema, di questo momentaccio che come dicevo, a parte un discorso di lavoro, è stato molto frustrante e molto depressivo. È stato un momento difficile da superare perché ci ha cambiato le abitudini, ci ha tolto la libertà. Sono stati due anni molto difficili e molto duri, non ne siamo ancora usciti, ma forse stiamo iniziando a vedere la luce in fondo al tunnel. Questo è purtroppo un male che, come è venuto, andrà via e che sta andando via quindi bisogna essere positivi e avere un pensiero molto positivo, svegliarsi al mattino con pensiero positivo e cercare di affrontare tutto con molta positività e spiritualità.
Sto lavorando ad un progetto nuovo SantoSuarez Orquesta, presto ci sarà il lancio del primo singolo. È un progetto nato nel mezzo della pandemia, ci abbiamo lavorato tantissimo e ci stiamo lavorando. È un nuovo progetto, parliamo sempre di salsa, salsa para el bailador, con un suono nuovo e delle sonorità nuove. Lo stile è chiaramente molto personale e l’intento è di far ballare, far divertire e far arrivare un messaggio musicale molto positivo a tutta la gente con la speranza di questa ripartenza, di una vita normale che presto torneremo ad avere e soprattutto di ritornare a ballare. Quello che si devono aspettare i fan e il pubblico è sicuramente tanta musica in arrivo, speriamo di soddisfare tutti i gusti e di regalare emozioni sia per il ballo, ma anche a livello di brani.
Il tuo motto?
Il mio motto? Non so se è proprio un motto: nella vita sei maestro e alunno. A volte devi insegnare però tutti i giorni devi imparare. Non bisogna mai smettere di aver voglia e di essere predisposti nell’imparare da tutto e da tutti, indipendentemente da qualsiasi cosa, cercare di cogliere tutto quello che ti può servire. È fondamentalissimo per la crescita sia professionale che personale. Non si smetterà mai, forse non basterà neanche una vita per imparare. Più che un motto, è un consiglio anche in generale.
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