LIVE REPORT: Crazy. La follia nell’arte contemporanea @ Chiostro del Bramante [RM] – 18/02/2022

A cura di Davide Emanuele Iannace

Crazy. La follia nell’arte contemporanea

Follia e sovversione in scena a Roma

Quando parliamo di follia, può venire in mente l’accezione a quel medico che perse il senno, come Orlando nell’opera a lui dedicata. Il termine follia può avere anche un rimando diverso, concentrandosi sull’atto; sul singolo atto folle – una creazione che sfida la divinità, come la Torre di Babele? Follia collettiva. Un esempio di follia positiva? Prenotare in due giorni una vacanza di un mese; follie sottili che popolano la vita comune di ognuno di noi.

 

La follia è il fil rouge che lega piani diversi; si carica di aspettative che la possono, o meno, deviare verso il significato della parola Crazy, titolo scelto da Danilo Eccher per la nuova mostra organizzata al Chiostro del Bramante, al centro di Roma. Le 11 installazioni presentano il punto di vista di ventuno artisti rispetto l’arte, l’essere umano, la sensazione di follia sensoriale ed artistica.

Delle brevi premesse su questa visita necessarie.

Innanzitutto, la visita è stata un’anteprima concessa ad artisti, loro ospiti, fotoreporter e freelance editor come lo scrivente. Per questo motivo, l’evento si è svolto in un ambiente folle che veniva catturato dai movimenti degli operatori e degli artisti stessi, tesi a completare e rifinire alcune opere, le luci, i cartelloni, a nascondere i segreti del mestiere che rendono le installazioni artistiche tanto belle quanto uniche. È stato qualcosa di tremendamente interessante, come sollevare il velo di Maya e scorgere un altro mondo fatto di maestranze, ragionamenti, di tecnici e operatori che montano con perizia e attenzione un piccolo mondo che si presterà solo in seguito agli futuri ospiti.

In secondo luogo, Crazy è costituita da tante opere, più o meno visibili. Le installazioni si miscelano con sapienza, a volte più o meno manifesta, il trucco è tanto nelle luci, quanto nella musica. Non tutte le installazioni possono trovare spazio in questo articolo che narra la mia passeggiata di due ore all’interno del Chiostro – uno spettatore medio impiegherebbe meno tempo a girarla, ma la precisione per soffermarsi sui dettagli richiede tempo.

Passi, di Alfredo Pirri – dal press kit di Crazy. La follia nell’arte contemporanea

Crazy si presenta con una prima opera da calpestare, letteralmente. In Passi di Alfredo Pirri il vetro diviene qualcosa in cui specchiarsi e qualcosa su cui passeggiare. L’idea è interessante, il suono degli scricchiolii del vetro sotto i piedi dei visitatori sono delle note che aggiungono ulteriori elementi, rispetto a molti altri giochi di specchi visti e rivisti in tante altre opere d’arte.

L’azione di camminare all’interno dello spazio dona un nuovo modo di interagire con l’istallazione stessa. Diventa in qualche modo un riflettere – letteralmente – sé stessi e l’idea di sé mentre sotto di noi lo specchio si rompe, interrompendo i nostri passi e percorsi, ma anche da quelli degli altri tutti attorno. Un incrocio di rotture dato dai tanti piedi che si diffondono in giro per la mostra. Diventa un percorso condiviso; un percorso costruito e ricostruito dalle schegge di vetro che saltano per tutto il patio centrale.

Questi pezzi di vetro in frantumi sono accompagnati da delle sculture che, a primo impatto, spaventano. Sono le sculture nate dal sodalizio di Sun Yuan e Peng Yu in cui umani elegantemente vestiti si ritrovano la testa tra i sassi, letteralmente. Ricordano, a modo loro, delle opere di Magritte. La composizione dei corpi, il loro modo molto formale di essere poggiati su delle eleganti poltrone borghesi, la testa appesantita, non alleggerita, da pensieri che ricordano a tratti la cupezza, a volte il peso che ci portiamo quando finiamo, seduti, a pensare e ripensare, in un loop continuo. Il messaggio che gli artisti intendevano trasmettere con le sculture concerne il percorso del pensiero creativo; eppure, risulta complicato non sentirsi coinvolti, qualunque sia il proprio percorso personale. Difficile non immedesimarsi nei corpi immobili, sotto lo sguardo vigile delle maschere di Gianni Politi e, ogni tanto, catturati dal colore dell’opera di Ian Davenport, la colorata e strabordante Poured Staircase che casca dalle scale del primo piano per riversarsi nei vetri di Pirri. Arduo non cercare l’ispirazione nelle parole, appese come luci-guida, di Alfredo Jaar che fungono da fari nel percorso studiato per il visitatore. Parole che ci ricordano di prendere per mano la propria follia e farne ora danza, ora momento di pace, ora passione. È con questo spirito che si lascia il percorso del porticato, dell’inizio.

Avanzando nella mostra, lo spettacolo cambia. Si entra nell’intimità delle stanze interne dove l’odore di malta, di stucco e il rumore dei cavi, riempivano l’aria, rendendo visibile la magia che veniva costruita e prendeva vita. Vedere la mostra in questo istante, senza i visitatori, sembrava regalare un cambio di punto di vista nel modo in cui le opere si presentano. Quando le stanze sono dominate dalla molteplicità degli sguardi dei visitatori, ecco che l’opera diviene non solo il frutto della propria osservazione ma anche della reazione altrui, degli sguardi persi, curiosi, attenti.

 

Quando invece le si vive con la calma anche della solitudine, vi è un modo diverso in cui quasi appaiono. Le stanze – tutte strutturate per il sito specifico di Crazy – di Thomas Hirschhorn prima, con Break Through (Five), e poi ancora, in scala 1/9, Study for Butterfly Reststop di Janet Echelman Meteor di Anne Hardy le si vive con la calma di chi ha tutto il tempo del mondo per godersi questi intrecci di ecologia, pensiero critico e ribellione alla conformità, ma anche come vera e propria arte in itinere, che deve ancora giungere alla sua forma finale.

Study for Butterfly Reststop di Janet Echelman – dal press kit di Crazy. La follia nell’arte contemporanea

Sono sicuramente però Ambiente Spaziale in Documenta IV di Lucio Fontana e Starless di Massimo Bartolini che, più di tutte, hanno completamente catturato la mia attenzione e reso quasi palpabile quel senso di trovarsi a tu per tu con il pensiero degli artisti. Se devo pensare alla vera follia, non posso che pensare alla totale sovversione operata da queste due installazioni, a distanza di decenni, collocate in stanze attigue, che rigirano completamente il senso di esistenza nel panorama dell’arte. Parlare nel dettaglio di Fontana sembra quasi superfluo; si sono spese parole e persone per comprendere il radicale pensiero di questo artista italiano. La possibilità di camminare nella dimensione spaziale creata da Fontana, guardare e guardarsi attraverso il taglio nella parete solida, ovattati dalle pareti – e dai rumori bianchi – che circondano lo spettatore, improvvisamente ripotano il taglio dall’osservato all’osservatore. Guardare le opere di Fontana è un momento di riflessione e di confronto. Camminarci dentro è come scavare in sé stessi.

Starless si muove su un canale di introspezione simile e lo fa usando quanto di più comune quasi tutti hanno, ovvero delle luminarie di festa. Siamo abituati a vederle contornare parate e sfilate religiose, feste di santi patroni. Accese, sono di contorno, un contorno più o meno elegante. Massimo Bartolini compie un’operazione inusuale, portandole, invece, al centro della scena, accatastandole come in un magazzino e rendendole vere e proprie protagoniste dell’istallazione. Poste in una stanza buia, diventano, grazie al fatto di essere la fonte luminosa, le uniche protagoniste del momento. La visione di Starless è quella che mi ha riportato alla mente l’idea di sovversione, vera e propria, che unisce come filo conduttore tutto Crazy; lo sconvolgere e scomporre ciò che è familiare e trasformarlo in qualcosa di nuovo.

Ci sono voluti due giri di boa di tutti e due i piani che compongono la mostra per comprendere la profonda riflessione che si cela dietro le apparentemente caotiche stravaganze artistiche. Il negozio di pesce in scatola di Tobias Rehberger diventa l’icona dei confini spezzati. L’onda di Hokusai montata come sfondo in cubetti di cartone, come pezzi Lego o di un tetris posti con cura sulla parete, diventano l’installazione che mette in vendita il suo contenuto senza spezzarlo, che ricorda l’unicità ma allo stesso tempo introduce la moltitudine, unita proprio dal prodotto – quel semplice pesce in scatola – che però è così comune a tanti mondi e culture diverse.

Starless di Massimo Bartolini – dal press kit di Crazy. La follia nell’arte contemporanea

Si sale attraverso le impressionanti falene nere di Carlos Amorales – Black Cloud Fashion – per ritrovarsi immersi nel mondo ovattato di Hrafnhildur Arnadottir, dove improvvisamente sembra di essersi persi tra i triboli di Star Trek – chicca, per i fan – ma anche tra i sensi attutiti dal sintetico pelo che sembra circondare e deviare la solidità dei marmi del Chiostro stesso. Un’altra inversione, tra lo stato solido delle pareti e quello invece meno solido del manto morbido che sembra ricordarci l’irrealtà, l’immaginario confuso che poi, alla fine, tra mille colori prende forma. Una ribaltamento tra ciò ch è apparente e ciò che è invece il significato reale, che avviene nell’opera di SissiFuori dal buio dell’Armadio –, un armadio in cui ci si immerge come ci si immergerebbe in una cucina, in cui regna il disordine; il caso e il caos del non sapere esattamente ogni vestito a quale contesto va avvicinato. Questo giocare con le apparenze ma anche con quello che ripetiamo normale naturale lo si riscontra ancora nell’opera di Anri Sala, Moth in the Doldrums (Overtone Oscillations), dove il tamburo diventa uno strumento che sale dal suolo e che scende dal soffitto, ritmando i colori e la musica di due ballate francesi in cui l’ordine più naturale, quello della gravità, viene sfidato e ribaltato come un calzino. Una follia apparente visibile tanto anche nel ballo delle maschere di Carnevale di Un ballo in maschera, di Yinka Shonibare, dove in un curioso silenzio, vive la danza. La danza dei ballerini pazzi di Nietzsche, che sentono e si muovono per una musica che lo spettatore invece non può né sentire né vedere. Il balletto, forma di comunione tra il movimento fisico e quello armonioso della musica, diventa l’elemento del distacco.

Distacco dal reale rafforzato ancora dall’opera finale di Gianni Colombo, Topoestesia – itinerario programmato, dove i sensi vengono presi e gettati in un corridoio di luci e di oscurità, dove ogni passo sembra di portarci su un piano diverso, fisico e non solo. Una sfida all’orientamento del corpo, ma anche dei sensi stessi.

Topoestesia, itinerario programmato di Gianni Colombo – dal press kit di Crazy. La follia nell’arte contemporanea

Ogni opera lascia il segno della sovversione, del cambiamento, dell’idea di travolgere e riprendere discorsi apparentemente finiti ma che, da un’altra prospettiva, hanno ancora da raccontare e narrare.

Che siano musiche francesi suonate al contrario o pareti morbide di marmo, la follia di Crazy si annida nel respingere qualsiasi analisi immediata. Per questo, due giri della mostra sono necessari per prendere coscienza degli spazi e successivamente di tutto ciò che quegli spazi vogliono provare a declinare. L’idea di accodare ad ogni cartello descrittivo una parola proveniente dai più disparati vocabolari, permette di tracciare una scia di briciole nel pensiero dei ventuno artisti che hanno partecipato alla nuova mostra site-specific del Chiostro.

Questi vocaboli fungono da indizi perché, come è giusto che sia, molto è lasciato alla libera interpretazione del visitatore che può così costruire la propria visione della follia. Palesemente, è facile rintracciare in queste righe quali hanno colpito di più il mio immaginario, ma ognuno potrà trovare qualcosa di sé in mezzo ai vestiti finemente lavorati del carnevale di Yoshibare o negli intrecci eleganti e virtuosi dell’opera di Echelman.

La verità è che la follia che si percepisce nel gioco delle parti invertite, rischierate e rigiocate, è certamente qualcosa di unico a Roma e addirittura in tutta l’Italia. Il lavoro di Eccher è la ricerca di un gusto e di un sentimento unici. Obiettivo sicuramente raggiunto. La fortuna è sapere che la mostra sarà aperta per un intero anno, fino al 2023, dando tempo e modo a tutti di poterla gustare con calma. Forse anche in due, tre giri.

Per rivedere con occhi sempre nuovi i lavori di Fontana e di Pirri, o quali schegge di vetro saranno rimaste dopo mesi di passeggiate e foto; di quale orientamento prenderà la nostra testa nel lavoro di Colombo quando ci si andrà un po’ più leggeri o forse, un po’ più pesanti; di quanto si vorrà prendere.

Info: https://www.chiostrodelbramante.it

Crazy, a cura di Danilo Eccher

19 febbraio 2022 – 8 gennaio 2023

Chiostro del Bramante

Arco della Pace, 5, Roma

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