Eccolo, uno degli artisti più eclettici e liberi della nostra attuale scena indie italiana.
La libertà è un punto fermo dentro cui raramente ci si muove con sincerità e con onestà. Daniele Faraotti l’aveva ampiamente dimostrato con un disco interessante come English Aphasia, dove tutta l’abitudine è distorta senza mai però abbandonare un certo filo conduttore di sostanza e regola dell’arte. E ora si ripropone anticipandoci qualcosa che sin da ora sembra anche superarsi: esce il nuovo singolo RadioMagia, in cui svetta come prima differenza la lirica in italiano e un bel modo di pensare alla musica, alla forma e alla sostanza da vero artista libero.
Libero dai cliché, dai confini dettati dal mercato, da ogni dettame utile alla pubblica piazza. L’artista diviene libero soltanto così e Faraotti ce lo sta insegnando. Saremo poi noi chiamati a celebrare la tanto cinguettata capacità di aprirci a nuove cose. E qui cadranno in molti.
Nuovo singolo per Daniele Faraotti che spolvera la storia persa tra le righe dei grandi avvenimenti mondiali. Una storia che ricordiamo in pochi. Come mai ti sei concertato proprio su questo fatto di cronaca così antico?
Mi ha colpito. Mi pareva valesse la pena raccontarla; la musica era già pronta e in un paio di giorni era pronto anche il testo. Ho sempre le antenne ritte per i testi. Prendo nota. Ecco questa cosa qui potrebbe diventare il testo di quella canzone lì.
Faccio così. Metto da parte spunti e argomenti. Talvolta passano anni prima che l’abbozzo acquisti una forma.
Parliamo di ispirazioni musicali. Certamente siamo lontani dl pop, siamo lontanissimi dalla “norma” delle cose… parole che per te significano poco a quanto pare. Da dove nasce il suono e la forma di Daniele Faraotti?
Mah, non è vero che la norma non conta niente. La norma è lì, sullo sfondo e ad essa si reagisce – inconsciamente direi. La norma è un esterno – per me la creatività reagisce sempre a qualcosa di esterno. Potrebbe essere una tastiera, un qualcosa di sedimentato, ossia di rimosso. Reagire alla canzone stessa, sempre e possibilmente senza ripetersi troppo. Talvolta però una canzone per esprimersi appieno, ha bisogno di più canzoni – quindi ,inevitabilmente, ci si ripete un po’. Il suono nasce un po’ a caso e così anche la forma. Poi elaboro – non troppo però – quando ho deciso che una canzona abbozzata vale la pena d’essere ultimata, il 70 % è già fatto.
E parlando di musica classica? Sappiamo che sono tantissimi i riferimenti che hai sempre sottolineato quando ci raccontavi di English Aphasia. Oggi puoi fare lo stesso? C’è insomma tanta radice classica in queste nuove scritture?
Ho immagazzinato moltissimo. Sono colmo. Ho studiato si, ma soprattutto ho ascoltato. Ho ascoltato tutto. Ecco, le cantate di Bach non le ho ascoltate tutte..sono dei capolavori ma si somigliano molto per cui ad un certo punto le ho lasciate perdere. Ma chissà, forse un giorno reclameranno una rinnovata attenzione. Dovrei star qui a fare il solito elenco di nomi. Vuoi che elenchi tutto il catalogo beethoveniano. Allora, quelle con numero d’opera sono: op. 1, tre trii per vl, vc e pianoforte – dedicati a d Haydn – il terzo in do minore…vabbè sto scherzando. I Led Zeppelin, ma anche Mahler, e così Beethoven e i Beatles, Stravinsky e i Gentle Giant e i Radiohead? Non dovevo fare i nomi. Cosa ci sarà dentro? “Dentro di me, che cosa c’è, io non conosco la voce del vento”; non sono sicuro che dicesse così. “Aaaah l’amore, questo folle sentimento che”(Battisti/Formula Tre). Ecco dai, c’è la musica, che impazza come un folle sentimento – se hai riempito il sacco con roba buona c’è di che andare fuori di testa (risata).
E le tante citazioni del cinema d’autore che certamente non sono il cuore della narrazione, ma perché hai voluto farle?
Forse perché sono il cuore della narrazione. I miei insegnanti delle medie dicevano che, pur essendo un somaro, avevo ottime capacità di collegamento. Le cose si chiamano.
Questo nuovo disco arriva oggi, in un tempo assurdo certamente ma fuori (si spera) dalla pandemia. In che modo il covid e le sue ripercussioni sociali hanno contaminato e determinato la scrittura di quello che sarà Phara Pop vol.1?
Ho un lavoro. Insegno chitarra alle scuole medie. È il mio lavoro comandato. Lo faccio da trent’anni. Non mi lamento – mi piace abbastanza. Tutto sommato però ne avrei anche abbastanza, ma tocca arrivare alla pensione, La musica è il mio daimon. Tutto il resto del tempo lo dedico alla musica. Più ci sono tutte le rotture di balle che la vita ti presenta tutti giorni – in mezzo a tutto questo c’è anche un po’ di vita spicciola – fondamentale per ritrovarsi ed andare avanti. Tua moglie, tua madre, tuo padre, gli amici più cari, un buon lambrusco, una grigliata con anche la salsiccia. Se fai il conto delle ore che investo in tutto questo……beh, puoi capire il mio stato d’animo quando arrivò il primo lockdown. Questa tragedia silenziosa che mi costringeva in casa e mi lasciava libero di dedicare ogni momento della giornata alla musica. Ho seguito ( pur senza conoscerlo ) il precetto zappiano : trovati un lavoro e fai la musica che vuoi… ecco nel momento della pandemia ho sperimentato, per un breve periodo, come avrebbe potuto essere la mia vita se avessi fatto solo il compositore… ho trasferito tutto a casa ( le cose essenziali ), con un portatile, una daw, una scheda audio e una tastiera, puoi fermare il tempo.
A chiudere: dal vivo che tipo di spettacolo hai portato o stai pensando di realizzare?
Quando mi proporranno concerti con cachet adeguati e in posti deputati riprenderò a fare concerti e probabilmente m’impegnerò anche per proporre uno spettacolo – vabbè dai, uno spettacolino. Per ora ancora niente, quindi non ci penso. Comunque non più di otto/dieci concerti all’anno. La band ci sarebbe già, anche se per ora le prove deragliano quasi sempre in sedute di registrazione. Dal 2004 al 2016, ne ho fatti tanti di concerti, ma la cosa non evolveva, risultando a tratti anche poco remunerativa.
Alla mia età, un ritorno a casa alle cinque del mattino può significare due giorni di bamba totale; non me lo posso permettere, c’ho da fa. Sta candela deve valere il gioco, altrimenti, du palle co sti bevitori di birra praticamente assuefatti a tutto e forse anche fatti di fumo – e anche poco buono. Ultimamente mi pareva tutta una stancata, ma forse ero stanco io. A maggio suono al Festival Angelica con una prima esecuzione di Christian Wolff: un pezzo per sette chitarre elettriche che si intitola Sveglia. E chissà che non dia la sveglia anche ai concerti (ndr: risata). Le prove cominciano il 15 marzo.
In passato, mi è capitato di condividere il palco con altri gruppi – ad un concerto al Madamadorè di Forlì (mi piaceva il Madamadorè, era il circolo dove andava a giocare a carte il mio nonno), chiesi al leader del gruppo con cui condividevamo il palco come avessero fatto a trovare tutte quelle date: mi rispose che loro facevano spettacolo. Si esibirono dopo di noi (erano l’attrazione). Finito di suonare con i ragazzi della band, scesi in platea per ascoltarli e vedere lo spettacolo. Beh, lo spettacolo consisteva nel cambiarsi qualche cappello in scena e spruzzare un po’ di schiuma da barba con qualche stella filante. Uno di loro aveva una tuta da metalmeccanico bianca, come quella di Townshend a Woodstock: piuttosto che uno spettacolo così, meglio niente. La musica dovrebbe essere lo spettacolo. Il pubblico dovrebbe impegnarsi un po’ di più, non credo vada distratto. I Genesis dell’era Gabriel avevano la musica e un grande spettacolo. Che grande musica, che spettacolo! Dai, per uno spettacolo così, m’impegnerei alla grandissima.
Una delle più belle interviste che abbia letto negli ultimi anni, sono fiero di essere collega è ancora più, amico, di Daniele, una grande persona ma soprattutto un grandissimo musicista di quelli autentici cui non siamo più abituati!