Racconto a cura di Valentina Calissano
Illustrazione a cura di Eliana Guarino
L’ispirazione
C’è l’acqua, c’è il viaggio e c’è la filosofia in questo Trip. Ma prima di ogni altra cosa, c’è la musica isolana di Antonio Smiriglia, che nel suo nuovo album Amanti, Santi e Naviganti racconta la Sicilia del mare e della terra, dell’amore e della Storia, della tradizione e delle innovazioni. E alla fine c’è anche un paio di jeans.
Qui, gli iconici pantaloni blu non rappresentano soltanto la comodità del mondo contemporaneo o la ribellione, ma diventano un collegamento tra esistenze diverse. Si piegano a formare una barchetta per attraversare tante e nuove vite.
Questa, però, è la storia breve di un paio di jeans. Cosa accadrebbe se ci aggrappassimo alla stoffa blu come fosse un salvagente per recuperare noi stessi? Forse la risposta è in questo nuovo Trip.
Storia breve di un paio di jeans
La vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia.
L’orologio agganciato alla parete, spesso e bianco, col bordo di latta scrostato, mandava avanti con pigrizia arruginita le lancette di plastica. Tic tac, tic tac, tic tac. Sotto quel tondo marchingegno analogico, un altro si univa al canto del tempo e sciacquava il tonfo del sapone, mescolato al colore che scappa.
Malin fissava l’oblò, ipnotizzata dalle onde spumose che si lanciavano a tutta forza contro la parete cilindrica e forellata del cestello. In un tuffo, l’acqua perdeva il suo volume, rifrangendosi in mille schizzi, e tornava a far parte della mistura sul fondo. La scatola, attaccata al filo della corrente, ci teneva a ricordare che tutto ha una fine. Per quel bucato, la fine sarebbe arrivata in meno di cinque minuti. Ecco, l’esistenza non assomigliava a un orologio a pendolo, era più simile ad una lavatrice: un lavaggio a 90 gradi celsius con la centrifuga sparata al massimo. C’era solo una differenza. Il cronometro della vita era rotto.
Si, perchè era così che si sentiva lei.
Ogni volta che stava per finire il programma, ne iniziava uno nuovo, prima ancora di poter scendere dalla giostra del cestello. Qualcuno avrebbe dovuto aprire quello sportello e salvarla, ma ancora nessuno era venuto in suo soccorso. La vita è un cestello che ruota vorticosamente in un’onda di emozioni. Questa la filosofia che dominava la vita di Malin.
Anche ora, che si trovava alle prime luci dell’alba in una lavanderia a gettoni deserta e nascosta da una vetrata impolverata, sapeva di essere lì per volere di qualcun altro. Senza neanche avere chiaro chi fosse.
Tlac.
Uno scatto tolse la sicura sull’oblò e Malin versò tutti suoi vestiti nella cesta di plastica decorata in finto vimini, rosa come un confetto e profumata come una saponetta appena spacchettata. Si avvicinò all’innovazione tecnologica capace di salvare l’inverno di tutti i dipendenti di tutti i negozi di tutte le catene che richiedono la divisa. La mise per prima nel cestello dell’asciugatrice, poi seguirono i suoi calzini, il suo pigiama, la sua felpa nera preferita e il maglione sbocconcellato.
E alla fine un jeans che non le apparteneva.
Chiuse lo sportello trasparente e impostò una buona temperatura e il timer. Quello strumento non era come la lavatrice. Non aggiungeva umidità, anzi, la rimuoveva implacabilmente. Non girava a vuoto alla massima velocità, continuava a spostare i vestiti e il calore, il calore e i vestiti. Non stabiliva un tempo, lo lasciava scegliere.
Intanto, quel jeans continuava a girare. Com’era fortunato, poteva stare al caldo mentre fuori il vento spazzava via foglie, rami e perfino i vasi delle povere piante esposte alle intemperie. Malin avrebbe dato qualsiasi cosa pur di entrare anche una volta sola nel cestello caldo e lento dell’asciugatrice. Per una volta soltanto scegliere il suo tempo.
Guardava quei jeans roteare al calduccio. Appartenevano a Omar, o almeno così ricordava che si chiamasse quel ragazzo che la sera prima li aveva abbandonati sul divano. Unica prova della sua effimera presenza. Si era dissolto poco prima dell’alba, come una bolla di sapone. Poc.
Aprì lo sportello e il tepore secco proveniente dal fondo avvolse il suo braccio per pochi istanti. Tirò fuori i jeans. Erano ancora zuppi. Il blu del cotone sgualcito le fece tornare in mente quella notte.
Non l’avrebbe tenuto con sè, quel ricordo.
Si avvicinatò al tavolone in acrilico bianco e decise di piegare il pantalone blu, strappato sulle ginocchia e sotto le anche. Fu allora che si accorse di non aver vuotato le tasche prima di metterlo a lavare. Da quelle anteriori, estrasse una vite da legno e un biglietto dell’autobus ormai scolorito. Dalle posteriori, un portachiavi a forma di teschio. Tutto qui quello che le rimaneva di tale Omar. Gettò il bottino nella spazzatura.
Prima di rivoltare il paio di jeans, una targhetta le grattò l’indice e il pollice. Era cucita accanto al bottone sopra la zip. Riportava un nome, ricamato a macchina in corsivo. Andrea Colombo. Quel capo di abbigliamento aveva fatto parte di un’identità, forse non vera, magari rubata, di certo riempita di disprezzo e colpa. L’identità di qualcuno che l’aveva estorta alla notte, che le aveva sottratto il tempo e che aveva giocato, aveva posseduto la sua esistenza. Quell’uomo, Omar o Andrea, o chissà chi altro, aveva mosso i fili di Malin come se fosse una marionetta: era stato lui a far partire il cestello. Aveva premuto il tasto di avvio della lavatrice e aveva lavato ancora un altro giorno la testa bionda della ragazza, aveva soffocato il suo respiro e l’aveva lasciata affogare nel mare della sopraffazione.
Allingò le braccia e si abbassò sul tavolo, abbandonandosi sopra ai blue jeans. Suonò la campanella dell’ingresso, fatta di conchiglie e di pezzi di rami della spiaggia. Una donna con due grosse buste pesanti si avvicinò, indicando col naso il bordo del tavolone. Malin si spostò. Tornò a guardare i suoi abiti, che potevano godersi gli ultimi secondi di bagno d’aria calda.
Mentre la signora occupava una lavatrice, la ragazza ripiegava uno ad uno i suoi vestiti in uno zainetto di tela. Raccolse le monetine che aveva lasciato sulla sedia e uscì sussurrando un saluto sommesso.
«Signorina!» la chiamò subito la voce della lavanderia. «Ha dimenticato questo».
La donna se ne stava con le braccia tese e un sorriso da benefattrice stampato sulle grosse labbra. Malin piegò a malincuore i jeans e se li ficcò sotto l’ascella. Senza alzare lo sguardo si allontanò, senza fretta. Doveva forse tenerli? Doveva considerarlo un segno del destino?
No, non esiste il destino, esiste la scelta.
Quella di spingere l’oblò quando il lavaggio è finito. Di bussare e di gridare fino a rompere il vetro perché hai bisogno di scendere, di smetterla di girare contro la tua volontà. Spalancare lo sportello e mettere giù il piede, fare il primo passo per dichiarare la legittimità della propria vita.
Mentre scendeva il gradino che dalla lavanderia la portava sul marciapiede, un’ombra velocissima le passò affianco, l’urtò con violenza, strappandole in un attimo tutto ciò che aveva con sé e lasciandola a terra dolorante. Sentiva una fitta lancinante alla nuca e le girava vorticosamente la testa. Eccola lì, di nuovo nel cestello della lavatrice. La vita è una lavatrice che ruota come una giostra e quando si scende la storia è finita. I jeans non c’erano più.
CREDITS
AMANTI, SANTI E NAVIGANTI – ANTONIO SMIRIGLIA
Tracklist
Naviganti
Controvento
Terra
Amanti
Donna Gintili*
Rosi e Spini
Si Li Me Paroli
Ballata Di Li Santi
Tempu
*feat. Oriana Civile
Sebastiano Montagna, chitarra classica; Socrate Verona, bouzouki e violino; Pino Garufi, basso e contrabbasso; Stefano Sgro’, batteria e Michele Piccione, tamburi a cornice e marranzano.
Testo e Musica di Antonio Smiriglia
Prodotto da Antonio Smiriglia e Opensound Music
Distribuito da Aventino Music e Opensound Music
BIO
È anche stato invitato da Franco Battiato a interpretare insieme a I Cantori della Tradizione, formazione specializzata in canti corali di tradizione dei Monti Nebrodi, dei brani devozionali composti dallo stesso Battiato, durante la presentazione del suo libro Attraversando il bardo: sguardi sull’aldilà.
Ottimo testo . Molto molto interessante la visione del vortice della vita