Poesia di Davide Emanuele Iannace
Tarantola e ragnatela
E dopo strani anni
anche la memoria tende a diventare
un po’ nebulosa,
come alle prime luci dell’alba
quando tutto sembra sfocato.
Ma non è alba, è solo il continuo
della notte che non abbiamo mai finito.
Non abbiamo conosciuto letto, né
cuscino o divano dove adagiarci.
Ci siamo solo persi tra le reti
delle stelle e delle costellazioni,
tra le memorie vecchie e quelle
ancora da costruire. Le stelle
non erano che silenziosi pali della luce,
dove appoggiarci, premerci, perderci,
baciarci, poi infine riprenderci.
Non c’è senso che riesca a dare
a quegli strani anni, quelli di quando
tutto si perse, tutto si risolse
nel dubbio e nel nulla
del nuovo giorno.
Ci riavviamo come macchine appena scariche,
ci riprendiamo le vie che non ci appartenevano
né mai ci sarebbero appartenute.
Le parole non bastarono nemmeno
quando le sprecammo in frasi e poesie.
Le buttammo, poi raccogliemmo
per orecchie che sperammo essere amiche.
Ma erano strani anni, strani come il whisky
dal sapore amarognolo, le note stonate di band
che non conoscevano altro che jazz e blues,
di poche candele ancora accese sotto i monasteri.
Ricordo la stranezza, la bellezza
e poi la perdizione di fianchi e di danze
fino a che anche i musici non s’addormentarono
al suono delle loro stesse corde,
per chiederci lentamente, sopiti, di uscire.
Come uscimmo dalle vite altrui, richiudendo
porte che furono finestre che furono
specchi su anime oramai perdute, che mettemmo
da parte come abiti sgualciti, mai dimenticati,
amati, mai più indossati. Se manchi?
Forse manca la sensazione, dell’aria calda che emanavi,
la passione delle mani che correvano a raccontare
storie che erano leggende.
Se manchi? Forse, solo dopo l’ennesima sigaretta, e
l’ennesimo bicchiere, mentre la città
è ragnatela di luci e tu
tarantola.