Racconto a cura di Valentina Calissano
Illustrazione a cura di Eliana Guarino
L’ispirazione
I racconti di questa rubrica spesso hanno a che fare con i viaggi, la scoperta di piccoli paesini o di periferie di grandi città, di realtà interstiziali che respirano silenziosamente sulla Terra. Viaggi all’aperto, dove la natura è protagonista quanto i personaggi umani, dove il mare soffia una brezza profumata o le montagne cantano storie di amore e di speranza.
Questa volta invece il viaggio è fatto di interni. Il Trip si sposta nello spazio claustrofobico e compresso di una confezione di ramen istantaneo.
A stimolare questa strana fantasia è stato il desiderio di Giappone, rafforzato dall’ascolto di Qualunque. Da un lato Farmaci, del 2020, dall’altro il nuovissimo Shonen, di maggio 2022, mi hanno portata a studiare i sentimenti umani, fino a riflettere sulla dimensione interiore di un individuo che sceglie di tenersi tutto dentro, chiuso in se stesso.
Prima di iniziare a leggere, provate anche voi a pensare ad un bicchiere di ramen istantaneo. Provate a immaginare come sarebbe trovarsi lì dentro e cosa fareste al posto del protagonista.
Non mancano poi riflessioni su un fenomeno sempre più conosciuto e pericolosamente diffuso tra i giovani, non solo in Giappone, ma anche in Europa: l’hikikomori, un disturbo mentale che porta a recludersi, a isolarsi fisicamente e mentalmente per un tempo prolungato dal resto della società.
Però una via d’uscita c’è sempre. E in questo racconto l’acqua avrà la sua parte, come linfa vitale e fertile balsamo. Non dico altro!
Cup Noodles
La parete è bianca. Forse è sempre stata bianca. Ma me ne accorgo solo ora, che la fisso con isterica attenzione. È bianca, non c’è un solo punto che non sia così luminoso, liscio, latteo.
A pensarci bene no, non è lattea questa parete. Perché se lo fosse il colore sarebbe più denso, più caldo, più carico. Potrebbe avvolgermi come una confortevole coperta e difendermi dal gelo e invece non lo fa. Ha una patina lucida e scivolosa che solo a guardarla da qui mi fa venire i brividi; non ho il coraggio di avvicinarmi, di raggiungere questa lastra tonda e infinita che nella sua perfezione mi squadra.
Io, un essere gracile, debole ed emaciato. La mia mano inscheletrita non potrebbe toccare quella superficie senza riconoscere disgusto.
La parete è bianca. Di un bianco che uno bravo chiamerebbe ottico. Io invece, che non sono bravo in nulla, la chiamo oleosa. Ho come la sensazione che, sfiorandola con un dito, la mia pelle non procurerebbe alcun attrito, non produrrebbe alcun rumore, non resterebbe stampata la mia impronta digitale. Finirei invece per cadere a terra, ne sono certo, per un inaspettato approccio del bianco. Ecco, come una biscia che schiva gli ostacoli, la parete sguscerebbe tra la mia pelle e il vuoto.
Così sto qui, seduto con le gambe accavallate, le braccia abbandonate verso terra. E continuo a fissare la parete, il mio acerrimo nemico.
Penso che se avessi un minimo di coraggio proverei almeno a raggiungere quell’ostacolo chiaro. Però poi penso che potrei rimanere deluso, penso che il mio corpo è troppo debole e potrei anche non arrivare a metà della distanza che mi separa dalla barriera ostile. Potrebbe mancarmi l’aria, che già in questo momento scarseggia.
Forse è questa assenza che mi costringe a rimanere qui immobile. Si, non è che non ho coraggio io, è che sono costretto a rimanere lontano da qualsiasi cosa. Non è colpa mia, dipende tutto da questo posto. Non ho scelto io di starmene qui, l’ha deciso di certo qualcun altro per me. Si, io non posso farci nulla.
D’altronde, che cosa mai potrei fare? Non mi sono mai mosso da qui. Scommetto che non ne sono capace. Chi mi ha messo qui dentro lo sapeva, sapeva che non sarei mai uscito.
Che poi io dico che oltre la parete potrei uscire. Ma sarà vero? O me lo sto solo immaginando?
Sicuro che mi sto inventando tutto. La parete che mi fissa tutto intorno al mio corpo è talmente bianca che finisco per versarci sopra colori che stanno solo nella mia testa. Mi viene in mente che fuori potrebbe esserci almeno un altro colore, tipo il verde. Che con il bianco latteo e il bianco ottico fanno già tre. E poi e poi… Che altri colori possono esistere?
Ma chi me lo fa fare di inventarmi colori?
La mia esistenza la passerò qui dentro, meglio così. Che se poi scopro che davvero c’è un mondo fuori di qua magari non è come me l’aspettavo. Potrei rimanerci male e potrei voler tornare qui, nella mia stanza: un cilindro di bianco splendente che mi gira tutto intorno e mi fa venire freddo, senza aria, senza buchi, senza ombre, senza colore. Senza niente. Io e il bianco. Il bianco e il diafano, che sarei io.
Visto che ho capito che non vale la pena cercare l’uscita mi chiedo da quanto tempo sono qui e se ci sono entrato da solo o chi mi ci ha messo. Ho già scartato la prima opzione, prima ancora di pormi la domanda. La verità è che so di non essere in grado di fare nulla, quindi è impossibile che io abbia scelto di chiudermi qua dentro.
Dunque la domanda è una sola e non so dove andare a cercare la risposta. Meglio se smetto di pensarci, altrimenti inizio ad ansimare, a sudare, a tremare. Lo spazio è già diventato asfissiante e i miei umori non fanno che peggiorare l’odore. Inspirando sento che l’aria calda entra un po’ nei polmoni e un po’ rimane in gola il vuoto. Inizio a singhiozzare, una, due, tre volte e poi diventano mille. Non mi fermo più. Mi fa male un muscolo che sta dietro l’epiglottide e credo anche la bocca dello stomaco. Mi brucia tutto l’esofago. Ad ogni spasmo emetto uno stupido suono acuto che mi riempie le orecchie fino a farle scoppiare. Non riesco a smettere. E più ci provo più mi viene da piangere.
In qualche modo sono finito con le mani davanti alla faccia, piegato in due. Mi sto accasciando mentre le lacrime continuano a scendere sul naso e sul collo senza che io possa bloccarle prima.
Non va bene, dovrei provare ad uscire, prendere una boccata d’aria fresca. Oppure potrei anche sdraiarmi a terra, chiudere gli occhi ed entrare di nuovo nel mondo che mi sono inventato. Farò così, mi viene più facile. Mi sa che è l’unica cosa che so fare. Significa che non mi serve un mondo fuori se posso passare il tempo che mi resta nel mondo che ho dentro. Lì sono uno bravo, uno che conosce tanti colori e che ha il coraggio di toccare le pareti. Ho il coraggio anche di camminare e non sono mingherlino come lo sono qui dentro. Starò di là per un po’. Passano i singulti, passa il bruciore allo stomaco, finiscono le lacrime. Sento che inizio a dormire.
Qui si che va bene. Mi sento bene. Le endorfine hanno iniziato a fare il loro sporco e meraviglioso lavoro e posso viaggiare nel mio mondo con tutta la libertà che voglio. È una sensazione meravigliosa, che vorrei potessero provare tutti.
No, non è vero. La voglio tutta per me, solo per me. Il mondo è mio qui dentro e non lascerò a nessuno la possibilità di rovinarlo, di calpestarlo, di distruggerlo. L’ho creato io e solo io posso decidere cosa farne.
Per esempio posso scegliere di far cadere la neve in primavera o posso regolare la temperatura del sole. Così scaldo un po’ questo corpo indebolito dal bianco ottico, ma non troppo che sennò mi scotto. Ecco, posso distruggere i pirati che stanno invadendo la costa, maledetti! Qui sono forte, ricordatevelo, quindi mi basta un colpo di cannone per farli fuori.
All’improvviso mi sento prudere tutta la pelle.
Non capisco, il sole è appena tiepido e la neve non brucia, anzi, lava via tutta la stanchezza un fiocchetto delicato alla volta. Però continuo ad avere prurito. Devo grattarmi. Mi gratto la schiena, un po’ il collo. Ah, che fastidio sul polpaccio e sotto ai piedi.
Mi gratto così forte che mi ferisco, esco fuori dal sogno.
Sono di nuovo qui, nella mia stanza a cilindro bianca. Ora capisco perché mi prude tutto, mi sta cadendo della polverina addosso. È irritante ed emana un odore stranissimo. Mi fa venire fame e subito dopo mi fa salire i conati.
Lo stomaco è di nuovo in subbuglio. Ha iniziato a lamentarsi con un gorgoglio lungo, prolungato, interminabile. Vorrei mangiare, ma non capisco per quale motivo e non so cosa.
Sono ormai ricoperto da una polvere color ocra e da scaglie verdi e gialle.
Colori. Odori. Sapori.
Sta cambiando dentro al cilindro bianco. D’istinto alzo lo sguardo. Finalmente mi decido ad osservare il soffitto e mi accorgo che la luce è diversa. Soffusa, diffusa e fresca. Anche l’aria è diversa. È nuova e posso respirare senza rischiare di soffocarmi, a meno che questa polverina odorosa non mi entri nelle narici con violenza. Ma sai una cosa, io voglio assaggiarla. Emana un profumo che è ripugnante e irresistibile ad un solo tempo. Saranno le papille gustative a dirmi se è commestibile, sarà il mio stomaco a dirmi se è veleno.
Non è veleno ed è commestibile. Sa di sale, di un sale stagionato e duro, sa di un sale che si è rotolato insieme alla pancetta, ma ha fatto finta. Non ci teneva davvero. Ha il gusto di chi agisce senza impegnarsi, di chi le cose le fa ma solo per farsi notare. Con il suo profumo invitante, ma il sapore che non rimane sulla lingua o nelle guance.
Un po’ di saliva ed è già andato via.
Prima ancora che possa chiederla, arriva l’acqua. Tanta, tantissima acqua. È calda e mi sembra di impazzire quando mi accorgo che non riesco ad uscirne. Io ci provo, ci provo in ogni modo, però, lo sapete anche voi ormai, io non so fare niente, non so nemmeno nuotare. Non lo faccio apposta, nel tentativo di resistere al bollore del liquido mi aggrappo alla parete. Come pensavo: è oliosa, i polpastrelli non rimangono attaccati alla superficie, ma scivolano come le gomme di una bici sul brecciolino. Il bianco cilindro è unto, sempre più molliccio e instabile.
Mi guardo le mani, le osservo con la giusta disperazione di chi sta affogando e nessuno cerca di salvarlo. Le mie dita sono diventate enormi, le mie braccia si sono gonfiate, i piedi toccano il fondo della mia stanza che ormai non è più bianca e fredda. Scotta e i colori si tuffano e si mescolano ai vapori. Il soffitto prima c’è e poi scompare.
Entra una nuova luce, ma per poco e per metà. Poi tutto torna a coprirsi.
Ma è troppo tardi, io sto soffocando, voglio uscire. Voglio uscire!
Sto vivendo un’avventura che non ho scelto io. Mi sono stufato. A stare qua dentro sono diventato piccolo e atrofizzato. Ho dimenticato una cosa. Solo ora mi rendo conto che era una cosa importante.
Io posso scegliere, posso decidere. Adesso so chi è stato a mettermi qui dentro. Adesso, che con una mano posso sollevare il coperchio che una volta sembrava irraggiungibile, riesco a sfiorare il cielo con un dito. Sono stato io, l’ho voluto io. Rinchiudermi qui dentro perché fuori c’erano troppi rumori, troppi colori, troppi odori. Ma l’aria lì dentro è irrespirabile.
Un altro passo ancora e anche il mio piede sinistro è fuori dal cilindro. Con la punta dell’alluce nudo urto il bordo e cado. Poi mi rialzo.
Intorno a me è un lago di brodo liofilizzato e vaporoso, un profumo salato e sintetico si sparge e poi svanisce inghiottito dalla corrente fresca. In mezzo a fili di pasta riccioluti galleggiano sfere imperfette di mais e piselli, gialle e verdi.
Tanti odori, tanti colori, tanti rumori. Ma questa è vita.
Si, finalmente. Voglio vivere la vita!
CREDITS
SHONEN – QUALUNQUE
Tracklist
Bacino
Starter feat. Marta Tenaglia
Tipo Buio
Nana feat. Cucineremo Ciambelle
Coordinata
Shonen feat. Verano
Atlantico feat. Brenneke
Meow feat Tana CombinaGuai
Ti ho vista ieri sera feat. I Le Lucertole
Testi di Luca Milani
Voci di Luca Milani, Marta Tenaglia (in STARTER), Cucineremo Ciambelle (in NANA), I Le Lucertole (in TI HO VISTA IERI SERA), Anna Viganò (in SHONEN), Edoardo Frasso (in ATLANTICO), Stefano Giacomazzi (in MEOW)
Prodotto da Luca Milani, Francesco Lima, Carmine Esposito, Alessandro Benzi, Gianluca Marangon, Michele Strobino
Distribuito da Costello’s Records
BIO
Qualunque è il nome d’arte di Luca Milani, artista che reinventa in modo terapeutico tutti i suoi brutti pensieri tramite la musica.
Il progetto nasce con il disco Mafalda, il meteo e tutto il resto del 2016, candidato al premio Tenco come migliore opera prima, e continua con Il primo lunedì dell’anno, EP del 2017.
Nel 2020 esce l’EP Farmaci, frutto di un’importante evoluzione stilistica ottenuta anche grazie alla collaborazione con Pietro Paroletti (aka Golden Years). L’ottimo riscontro ricevuto ha dato nuovo impulso al suo progetto musicale, attirando le attenzioni di una comunità di fan sempre più vasta.
Ad anticipare il nuovo album, Shonen, uscito a maggio 2022, sono usciti i singoli Coordinata, Starter feat. Marta Tenaglia, Nana feat. Cucineremo Ciambelle, Ti ho vista ieri sera feat. I Le Lucertole e Shonen feat. Verano.
“Gli shōnen sono una categoria di manga indirizzati principalmente a un pubblico maschile, a partire dall’età scolare fino alla maggiore età”.
Queste opere narrative rientrano quasi sempre nella sottocategoria Battle Shonen, ovvero storie in cui un protagonista, superando i suoi limiti e diventando sempre più forte sconfigge minacce e nemici sempre più potenti.
A mio avviso questa è una splendida metafora della vita che, di fronte ad ostacoli sempre più terrificanti, ci spinge a migliorarci per sopravvivere.
Ah e poi sono un maledetto nerd.»
Qualunque, alias Luca Milani
Bellissimo viaggiare nella dimensione interiore con la consapevolezza che è possibile rialzarsi più forti fino ad un meraviglioso ” voglio vivere la vita” . Eccellente lavoro . Complimenti
Complimenti. Sinceri.