A cura di Davide Iannace
Epoche vittoriane alternative e strane creature per un viaggio unico
Quando bisogna scegliere un gioco di cui parlare, è quasi impossibile non pensare a quei singoli tratti caratteristici che risaltano al solo pensare alla forma di un gioco. Proprio come con l’arte, è quel qualcosa di unico che lo caratterizza, che ci percorre e ci spinge a riflessioni inattese e diverse. In questo caso, il gioco che ha buttato un po’ di sano sconcerto nella mente – almeno, lo ha fatto un po’ di tempo fa oramai – è un gioco che si annida all’interno di una corrente letteraria e artistica ben chiara.
Parliamo di Sunless Sea (di Failbetter Games), un gioco dalla visuale isometrica che ci mette al comando di una piccola imbarcazione in un mondo sotterraneo, che altro non è che una rivisitazione della Londra di fine XIX secolo. Nell’oscuro mondo di Sunless Sea, Londra è stata colpita da un cataclisma che ha portato la fiorente capitale dell’Impero britannico e del suo establishment sottoterra, in un mare sotterraneo dove la luce è data da falsi soli e false stelle, e dove la popolazione londinese si è ritrovata a doversi miscelare con l’oscurità, le creature, i mondi e le idee di un piano diverso. In Sunless Sea iniziamo con poco o niente, una nave a vapore, pochi uomini d’equipaggio, e la totale libertà di esplorare questo mondo, i suoi conflitti tra la fiorente capitale, il khanato a est, i rivoluzionari protocomunisti a sud, le creature che si aggirano spietatamente, ma anche comunità monastiche, famiglie in disgrazia, esploratori come noi. La morte stessa, tanto in Sunless Sea che nel suo seguito, Sunless Skies – di cui parleremo in un altro momento – è qualcosa di circolare, non di definitivo. Morire vuol dire passare il cappello da capitale e qualche oggetto al proprio successore, che avrà da rincorrere nuove vecchie ambizioni: gloria, fama, denaro, pensionamento forse. Una dinastica di capitani pronti a esplorare ogni angolo di un mondo che ha perso la sua via maestra, il Sole e le stelle tutte, e si ritrova perso – o forse, improvvisamente, ritrovato in qualcosa del tutto diverso.
È un mondo, quello del gioco, che viene vissuto passo dopo passo grazie alle descrizioni dei posti e delle persone, o qualsiasi cosa siano davvero. Testo su testo in un inglese arcaico che spinge sempre verso una maggiore immedesimazione, mentre navigando si sfida l’oscurità, la fame, la necessità di avere del carburante sempre con sé e la follia che lentamente fa capolino nel cuore degli ufficiali e dei sottoposti. Sono chiari, nel gioco, i rimandi alle opere di H.P. Lovecraft, di Edgar Allan Poe ma anche di Joseph Conrad, di Jules Verne. Un mix di orrore e di avventura che però trova i suoi lati, forse i migliori, nel creare una unica atmosfera di mal celata malinconia e di rimorso.
Il gioco è un grande percorso che ci fa transitare a una morte all’altra in un’eterna caccia verso quel qualcosa che possa spingere una persona ai confini del suo piccolo mondo, perfino nella bruciata superfice del pianeta dove la vita è, nel frattempo, continuata come se Londra fosse stata solo una piccola memoria di qualcosa di già vissuto e scomparso. Invece, Londra continua a vivere in una sua diversa forma, in un suo diverso mondo ed esistenza. Un’esistenza che si lega tanto alla memoria di ciò che fu, e al contempo al rimorso di non potere essere quella che è la storia poi nella realtà. Una lotta perenne tra il sogno e la realtà, tra l’ambizione e quello che poi è la via naturale che le cose prenderanno nel mondo artificiale di Sunless Sea.
L’intero gioco ruota intorno fondamentalmente la lotta per trovare una strada in uno spietato mondo che, letteralmente, farà di tutto per ucciderci durante le nostre traversate in questo mondo il cui cielo è letteralmente una grande caverna, dentro cui ci si muove. Le storie che si potrebbero raccontare in Sunless Sea sono tantissime, scritte con cura e dovizia di particolari, ma soprattutto, pregne dallo spettro dell’idea di morire, di sparire, di affondare.
È l’idea di lasciarsi alle spalle qualcosa di sicuro per cercare di inseguire sé stessi, o forse quello che si crede essere noi stessi. È una caccia, quella che si vive nel gioco, tanto sulla scia delle proprie ambizioni – che nel gioco in sé sono elementi fondanti per il personaggio – che sulla scia dei capitani che abbiamo lasciato morire nelle partite precedenti.
È così un viaggio che si staglia a metà tra il memoriale e l’introspezione, un viaggio che viene scandito da sagaci battute e dall’amara ironia, dall’inizio fino all’ineluttabile morte. Un viaggio che si compie tra i colori ora sgargianti di una caverna di cristalli e ora tetri di industrie pesanti che preparano armi da guerra per un conflitto sognato, che forse non avverrà mai o che forse scateneremo proprio noi nella nostra brama per l’oro, o per la gloria di una poesia ancora da scrivere. Saranno avventure a volte glaciali, a volte dal sapore tropicale. Per chi se ne intende, si oscilla tremendamente tra i I Tre della Croce del Sud e La cosa di John Carpenter con una velocità che a tratti appare inquietante, per quanto rimanga ben scritta.
Sunless Sea colpisce però soprattutto per la perenne malinconia. È il suo tratto distintivo e fondante. La copre di amarezza, di orrore, di amore e di famiglie scomparse, di nuvole che non potrebbero esistere in una grotta sotterranea e dei sogni di mondi nuovi e diversi – alcuni, dei quali, forse esistono nel seguito? – ma è la malinconia il suo vero leitmotiv. Il motore dell’imbarcazione andrà a vapore, come l’equipaggio andrà a canzoni e cibo, ma è la malinconia verso il mondo delle opportunità che furono, delle città sprofondate e scomparse, il sogno del Sole, che spingono le creature viventi e non di Sunless Sea a compiere quel che compiono e noi giocatori, subito dietro di loro, a tessere la ragnatela di fili e opzioni per creare il nostro miglior scenario.
Come vivendo in un perenne autunno, la vita nella Londra sommersa e senza sole del videogame diventa una celebrazione delle cose che potrebbero essere state e che, fino allo scoccare della metaforica mezzanotte dell’estinzione di una linea di capitani, potrebbero ancora essere.
È un gioco che si esplora di fatto morendo, e morendo ancora, tornando all’inizio e girando in tondo attorno alla stessa creatura, allo stesso problema, cercando nuovi punti di vista, nuove verità. Quando, irrimediabilmente, tutto sarà esplorator, tutte le finite scelte compiute, quello che rimane è un vuoto, come un sentimento di chiedersi se ci sarebbe potuta essere ancora un’altra storia, un altro orizzonte, un altro Khan da spodestare, vascello da rubare, commerciante da imbrogliare.
Per chi si lascia trasportare, è una miniera. Un viaggio continuo tra le opzioni presentante e quelle che pensiamo possano essere, quelle velate tra le righe nell’inglese quasi shakespeariano con cui ci vengono impacchettati vampiri e demoni, porte per l’Oltre Mondo e affondamenti caotici tra le nere acque del sottosuolo. Sunless Sea si prodiga come un inseguimento verso la luce che, almeno i poveri abitanti della Londra sommersa, non vedranno quasi mai in tutta la loro esistenza, almeno non quella reale.
Citando, perché non si può non citare ogni tanto un qualche autore, Jorge Luis Borges, “Un libro non è un essere isolato: è una relazione, un asse di infinite relazioni”. Così Sunless Sea è un asse che attraversa non solo la nostra visione del mondo Vittoriano e della sua letteratura, ma anche le sensazioni di potenza e impotenza che ci attraversano mentre viviamo in un mondo che, forse non avrà il cielo di pietra e le stelle finzioni e abbagli, ma che in fondo ci porta a esplorare i nostri limiti tra follie che, spesso, sono inimmaginabili anche per il più creativo degli scrittori.
Il viaggio del battello a vapore tra le nere acque di mondi scomparsi sembrerà una totale fantasia, ma è poco più di uno specchio delle avventure che viviamo ogni giorno, del desiderio di cercare qualcosa di nuovo nelle cose apparentemente familiari e normali. La ricerca che, giorno dopo giorno, ci spinge verso la luce.