LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: GIUSEPPE BROGNA

Intervista di Gianluca Cleri

Nuovo lavoro discografico per Giuseppe Brogna uscito per Emic Entertainment dal titolo “Vivere Piano”. Dalla copertina ad un certo tipo di contorno sonoro, ruvido, ferroso ma anche molto soffice, disteso… antico… Brogna si pronuncia sulla vita e sul suo bisogno di tempo umano in questo Ep digitale di 4 tracce. Indaghiamo come sempre visti i tanti spunti utili. A lui le nostre consuete domande di Just Kids Society:

Questa stagione di Just Kids Society vuol parlare di futuro. Una cosa incerta sotto tanti punti di vista. Parliamo del suono tanto per cominciare. Ormai i computer hanno invaso ogni cosa. Si tornerà a suonare la musica o si penserà sempre più a come comporla assemblando format pre-costituiti?
A mio avviso si tornerà a suonare sempre di più per il semplice fatto che i fenomeni musicali si muovono a cicli e per forza di cose si arriverà ad un altro momento in cui i computer non basteranno più, così come anni fa i soli strumenti musicali hanno rappresentato un limite. Poi, se devo dirti la mia, più possibilità di esprimersi ci sono meglio è. La digitalizzazione della musica ha cambiato anche la forma della musica stessa e il modo di produrla, ma non è per forza un male. È un’evoluzione che nasce dal cambiamento del mondo stesso. È un continuo divenire che mi affascina. L’unica cosa importante è fare buona musica, le modalità poi possono essere infinite.

Sempre più spesso il mondo digitale poi ha invaso anche la forma del disco. Ormai si parla di Ep, di singoli. Di opere one-shot dal tempo limitato.

Qualcuno parla di jingle come forma del futuro. E dunque? Se da una parte c’è maggiore diffusione, dall’altra c’è maggiore facilità di produzione. Dunque… chiunque può fare un disco. Un bene o un male?
Anche qui seguo lo stesso filo conduttore della risposta precedente. Più libertà creative esistono, più contaminazioni saranno possibili, più questo genererà una musica ricca e variegata, ed è un bene. L’arte e la musica come fenomeno elitario hanno ormai lasciato il passo da molto tempo ad una maggiore e più trasversale libertà espressiva. Il digitale, è vero, ha cambiato le logiche produttive e commerciali, ma è un fenomeno con cui dobbiamo fare i conti. La soluzione? Fare maggiore attenzione, avere giudizio, scegliere, non farsi travolgere. Sta a noi, nessuno ci obbliga ad ascoltare musica che non ci piace.

La pandemia ha ispirato e condizionato molta parte dell’arte di questo tempo. Ma sempre più spesso gli artisti inneggiano ad un ritorno a cose antiche, ataviche, quasi preistoriche come certe abitudini, come un certo modo analogico di fruire la musica. Insomma, ha senso pensare che nel futuro si torni a vivere come nel passato?
Non credo in senso stretto. A mio avviso stiamo assistendo alla coesistenza pacifica di due mondi: il digitale e l’analogico. È possibile vivere la musica in entrambi i modi, a seconda delle proprie abitudini di consumo e delle proprie esigenze. Quindi direi che un mondo non esclude per forza l’altro, anzi è fonte ancora una volta di contaminazione e quindi di crescita. Sono delle visioni legittime che sono anche molto legate all’immaginario di un artista o di un genere. Ad ognuno il suo, senza per forza escludere a priori il suo opposto.



Ed è il momento di scendere dentro questo disco. “Vivere piano” ha il passo lento di chi sta contemplando il suo tempo e le sue visioni. Le condivide ma in qualche modo sembrano restare private. Il tempo: come pensi possa raccontarlo in un tempo, il nostro, che pensa solo alla forma e poco ai contenuti?
Bella osservazione, mi ritrovo molto. In un mondo che pensa molto alla forma, all’apparenza, alla performance ho voluto parlare di sostanza e contenuti ma non come elementi alternativi ed opposti, ma come qualcosa da non lasciare indietro. Il tempo che viviamo non può essere solo qualcosa da far scorrere il più velocemente possibile, ma può essere anche rallentato, fermato, valorizzato. “Vivere Piano” non è un invito a essere immobili o passivi, al contrario, per citare un antico detto latino, è uno sprone ad “affrettarsi lentamente”, vivere appieno.

Anche in questa stagione riproponiamo una domanda che sinceramente non passerà mai di moda anche se le statistiche un poco stanno dando ragione a tanti come noi. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. E Spotify è uno di questi. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
L’attuale mercato musicale, soprattutto per gli artisti emergenti, non propone altre alternative plausibili. Bisogna fare i conti con questo per forza di cose. La musica ha forse perso a livello di valore commerciale, ma è anche vero che oggi esistono molti più mezzi e modi per farsi conoscere, per autoprodursi, per emergere. Non è per forza qualcosa di giusto, ha ovviamente dei limiti e degli aspetti che spero verranno migliorati, ma non lo trovo un paradosso in senso stretto: c’è tanta voglia di fare musica e soprattutto di fruirla. Sono convinto e fiducioso che un punto di equilibrio si troverà, siamo ancora in una fase embrionale di questo nuovo mondo.

Siamo nel tempo dell’apparire. Come ci si convive? Si esiste solo se postiamo cose? E se non lo facessimo?
Non per forza di cose bisogna cedere il passo all’apparenza. Nel vortice in cui siamo perennemente immersi non abbiamo spesso la lucidità giusta per valutare alcune questioni e sentiamo delle ansie ingiustificate che nulla hanno a che fare con la vita reale. Siamo ancora fatti di carne, ossa ed emozioni ed è con questi elementi che dobbiamo fare i conti. Apparire non è un male, farlo a tutti i costi è patologico. Per questo invito a rallentare, a guardare intorno e dentro noi stessi: c’è un mondo molto più ricco da scoprire. Cerchiamo di esistere nel senso più letterale del termine, non per forza e sempre in funzione di qualcosa.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di Giuseppe Brogna, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Mi piacerebbe salutare il pubblico con una delle mie canzoni preferite, una canzone d’amore senza tempo: “Cara” di Lucio Dalla. Un semplice omaggio ad un artista che amo e che è sempre fonte di ispirazione. Trovo che sia una canzone in grado di riempire l’atmosfera di buone vibrazioni e di amplificare quelle che già ci sono, quindi, la trovo perfetta.

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