Intervista di Gianluca Cleri
Eccoci dentro un disco di mestiere e coerenza. Massimo Bigi, tour manager e braccio destro di Enrico Ruggeri… ma anche cantautore, dal piglio rock, dalla lirica che non cerca soluzioni facili ne si adagia dentro quelle forme scontate. “Bestemmio & Prego” è un esordio ma anche un punto di arrivo, ma anche un punto di passaggio fondamentale per chi come lui ha messo sempre un po’ da parte questo lato inedito. Dalla Factory di Ruggeri dunque arriva un disco pregno di ricerca personale e di mestiere, appunto, alto… a lui le nostre consuete domanda di Just Kids Society.
Questa stagione di Just Kids Society vuol parlare di futuro. Una cosa incerta sotto tanti punti di vista. Parliamo del suono tanto per cominciare. Ormai i computer hanno invaso ogni cosa. Si tornerà a suonare la musica o si penserà sempre più a come comporla assemblando format pre- costituiti?
La musica si è sempre suonata e sempre si suonerà, certo è che il modo e i supporti saranno sempre in evoluzione. Guai se così non fosse. Il problema è che quando si parla di evoluzione spesso si finisce per trascurare una certa qualità.
Sempre più spesso il mondo digitale poi ha invaso anche la forma del disco. Ormai si parla di Ep, di singoli. Di opere one-shot dal tempo limitato. Qualcuno parla di jingle come forma del futuro. E dunque? Se da una parte c’è maggiore diffusione, dall’altra c’è maggiore facilità di produzione. Dunque… chiunque può fare un disco. Un bene o un male?
La velocità è un brivido forte, una tentazione che fa perdere certe percezioni, è inevitabile. Nella nostra società tutto è talmente veloce da non concedere altre possibilità, quindi corriamo. Corriamo continuamente, al lavoro, al bar, in amore, a pranzo quando facciamo musica, quando la ascoltiamo. Le canzoni vengono registrate in fretta, l’inciso deve arrivare dopo tot battute, il brano non deve superare un certo limite di tempo altrimenti la radio non lo passa e quello che lo ascolta in macchina si rompe perché va di fretta…Siamo dentro un meccanismo sicuramente veloce ma tutt’altro che perfetto. Per la prima volta nella sua storia la musica non ha un supporto fisico materiale ufficiale (vinile, nastro, cd) e questo la dice lunga.
È vero che puoi realizzare una produzione completa in casa per poi gettarla nel calderone globale del minestrone della musica, sinceramente credo che non esista possibilità più anonima di questa.
La pandemia ha ispirato e condizionato molta parte dell’arte di questo tempo. Ma sempre più spesso gli artisti inneggiano ad un ritorno a cose antiche, ataviche, quasi preistoriche come certe abitudini, come un certo modo analogico di fruire la musica. Insomma, ha senso pensare che nel futuro si torni a vivere come nel passato?
Parlare del futuro è ormai una cosa che appartiene sempre più al passato e la musica che verrà non riesco ad immaginarla. Spero ci sorprenda ancora.
Ed è il momento di scendere dentro questo disco. “Bestemmio e prego” porta con se anche una contraddizione ma anche un rafforzativo. Conosciamo i limiti dell’uomo ma anche li misuriamo nella vita di tutti i giorni. E questo disco parla alla vita di tutti noi. Ma lo fa anche con abitudini classiche, forse “antiche” pensando a quanto il tempo sia andato avanti anche nelle forme e nei suoni della nuova scena italiana. Secondo te ha ancora forza e spazio per dialogare con un pubblico nuovo?
“Bestemmio e Prego” è un album scritto da un sessantaduenne assistito da un sessantatreenne, è inevitabile che contenga un background e l’esperienza di una generazione musicale che comunque, non sta lì a guardarsi in uno specchio. È un album scritto con degli strumenti acustici in mano, dei fogli e una “biro”. Vissuto e condiviso in uno studio insieme a dei musicisti senza nessun tipo di programmazione.
La sua forza è questa. Il pubblico che ha avuto l’opportunità di avvicinarsi al questo lavoro è prevalentemente quello che segue Enrico Ruggeri. Persone attente, esigenti ma comunque un pubblico circoscritto a quella realtà.
Anche in questa stagione riproponiamo una domanda che sinceramente non passerà mai di moda anche se le statistiche un poco stanno dando ragione a tanti come noi. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. E Spotify è uno di questi. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
La spiegazione è molto semplice…se ami la musica puoi avvicinarla con i mezzi e supporti che ti vengono concessi. Vorrei tanto fare una domanda: perché brani di sessanta anni fa suonano meglio di quelli attuali? Qualsiasi risposta possiamo trovarla in questa domanda!
Siamo nel tempo dell’apparire. Come ci si convive? Si esiste solo se postiamo cose? E se non lo facessimo?
Di distanza sociale ne abbiamo avuta fin troppa negli ultimi tempi, tutto quello che è sana comunicazione ben venga anche se una dose di silenzio ogni tanto non guasta…
A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di Massimo Bigi, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
“Always on my mind” o “A day in the Life”, a lui la scelta.