Live report di Davide Emanuele Iannace
TREE – Il Cabaret e gli alberi che sopravvivono
Una mostra fotografica che parla della relazione tra Arte e Natura. Per l’esattezza, tra arte e quello che della Natura rappresenta il più vivido esempio, l’albero. Quattro artisti – Federica Girardi, Emanuele Ruccolo, Dario Viola e Graziano Mancuso – hanno ridiscusso il senso dell’albero e la sua forma. In collaborazione con Regala un Albero – una start-up parte di Infinite Hedge, nati nel 2014 come progetto di salvaguardia ambientale., l’evento a scopo benefico tenutosi a Rione Monti, nel suo cuore culturale di Via Panisperna, ha avuto il pregio di mettere in luce come quattro diversi artisti si interfacciassero con un tema dalle moltitudini possibilità. Azioni come quelle di Regala un albero hanno il pregio di concedere a chiunque di partecipare ad un programma che mira a salvaguardare i delicati ecosistemi italiani forestali, ecosistemi che coprono un terzo della nazione, che ci offrono spettacolari panorami e passeggiate, nonché deliziosi frutti, ma vulnerabili all’incuria e al cambiamento climatico.
Per questo che, una volta invitati dagli artisti a presenziare all’inaugurazione, lo si fa con la doppia soddisfazione di essere da un lato a osservare nuovi artisti romani emergere in una scena tanto competitiva quanto però ripiena di talenti incredibili. Dall’altro lato, di starlo facendo supportando un gruppo operante in Calabria e direttamente coinvolto nel sostenere e curare l’ambiente.
Prima di continuare, ci godiamo una piccola digressione sul posto. Perché il dove siamo, il dove ci si localizza, spiega molto spesso proprio la mostra che si va a guardare. Monti è il quartiere che, più di altri, subisce e affascina chi visita Roma per la sua capacità di miscelare sapientemente e in maniera quasi casuale il classicismo imperante dell’imperiale capitale italiana, ma anche l’assoluto fascino di un quartiere che nasconde tra i suoi vicoli una serie di sguardi inattesi sul mondo dell’arte e della cultura.
Il Cabaret Voltaire – non casualmente collegato nel nome e negli intenti a quel Cabaret Voltaire di svizzera memoria – si presenta con l’intento di aprire proprio lo spazio alla condivisione creativa tra il visitatore e l’artista. Che sia per uno slam – anzi, un flow – poetico che mette in luce la creatività delle parti, o per una degustazione, è uno spazio che decide di mettere al centro la relazione tra artista e il suo pubblico. Non è diverso da quello che vuole fare TREE negli intenti, mettendo insieme la relazione tra l’uomo e la Natura, nelle sue forme più diverse, che sia metaforizzato nel colore, o che abbia invece negli intenti la metafora del rapporto con lo spazio che ci domina e circonda
Se volessimo iniziare con a parlare della mostra in sé per sé, chiaramente la Natura fa da padrona. La Natura, la maestra della realtà, è l’obiettivo principale delle opere che vengono messe in mostra a Cabaret Voltaire. Opere che rappresentano come diversi protagonisti interpretano allo stesso tempo le diverse realtà del legame tra l’uomo e la Natura, tra il corpo e l’albero.
Le diverse opere vanno smantellate nel loro essere uniche ma legate tra di loro allo stesso tempo. C’è una continuità nella diversità degli stili che sfugge semplicemente al loro adombrarsi sotto un medesimo obiettivo. Non è solo la comunione di scopi ma piuttosto la creazione di un insieme coeso di opere che collegano quattro approcci che sono diversi: nelle foto di vi è la connessione tra il corpo femminile – quello che anche nella mitologia a cui siamo affini come europei tende ad avere, con Proserpina, Artemide e non solo – il più fondamentale rapporto con la Natura; nelle opere di Dario Viola abbiamo la distruzione, il rapporto combattivo tra uomo e Natura; le opere di Emanuele Ruccolo sembrano voler procedere nella commistione di elementi, nella grandiosità della Natura e nella sua relazione con l’intervento umano; Graziano Mancuso invece si concentra sulla propria interpretazione non fotografica, sul suo vivere l’albero come immagine e non solo come soggetto.
Possiamo dividere quindi in quattro parti la mostra. La parte di Mancuso la potremmo chiamare RAMI (MARI), un trittico di tre quadri, disegnati, che rompono con lo schema puramente fotografico degli altri artisti. Rami e Mari, due anagrammi che nella realtà rappresentano tranquillamente il senso del trittico che Graziano Mancuso ha esposto a TREE. Abbiamo innanzitutto la prima inversione, nel colore: il blu permea la corteccia degli alberi, il verde permea il cielo stesso. Vi è interconnessione tra il cielo e gli alberi, vi è un legame profondo tra le fronde, il vento, tra le foglie che cadono e il cielo azzurro che guardiamo ogni giorno camminando tra i boschi e i parchi urbani.
Al contempo, il blu delle cortecce rappresenta l’acqua, la linfa che scorre nascosta tra il legno degli alberi stessi, il blu che si cela nascosto dalla terra, che corre e sale serenamente, donando vita e vitalità agli alberi smossi dal vento fresco di un autunno o di una primavera. E al contempo, a guardare le opere dall’alto, come se fossimo falchi nel cielo, il blu è i fiumi e i verdi i campi che li circondano. L’albero non è solo albero, l’albero è un fiume. Il fiume che in fondo porta l’acqua, azzurra come il cielo che abbiamo oggi reso verde, o grigio nel peggiore dei casi, che rifornisce non solo la vita umana, ma le foreste che a loro volta sostengono l’intero ecosistema globale.
È una duplice relazione quindi, quella tra i rami e poi la loro trasformazione in acqua stessa. È pura astrazione, in tal senso. Diventa una trasformazione totale tra il rapporto che abbiamo con la forma dell’albero e la sua similitudine con la forma del fiume. Sono legami profondi, questi, della Natura che trasforma e si trasforma sotto i nostri occhi. Trasformazioni non sempre volute, anzi, tutt’altro.
Qui entriamo infatti nelle opere di Dario Viola, ragionando in una serie, sempre un trittico, in cui affrontiamo lo spinoso tema dell’antropocene e del suo impatto sulla Natura stessa. In questo caso, è un totale ribaltamento del modo in cui tendenzialmente osserviamo e guardiamo le foto dell’ambiente, delle piante, degli alberi. Il colore viene prosciugato e ingrigito, e solo diversi elementi rimangono assolutamente fedeli al loro colore. Vediamo così la bottiglia, il simbolo per eccellenza dello sporco urbano, la bottiglia di verde che rimane segno di incuria e inciviltà in tanti spazi delle città umane, vicino la foglia – ultimo simbolo del mondo rimasto – e i viola fiori umani che rimangono, segno dell’attività umana. È una trasformazione lenta nel trittico perché poi ecco che saltiamo in una seconda foto, in cui tra le poche foglie gialle spicca il nero di un pezzo d’auto, rimasuglio nel parco romano in zona San Paolo, e il grigio totale di una natura abbandonata, morente, colpita dalle azioni umane più che mai.
È nella terza foto che c’è poi il finale concepimento di questo trittico che traccia la linea e una dichiarazione sull’impatto devastante che le attività umane possono avere. Nel panorama urbano, ecco l’albero caduto la cui radice viene riempita di rifiuti, metafora finale dell’incapacità attuale del sistema umano di supportare, e sopportare, l’ambiente anche quando lo va ad inserire all’interno del proprio spazio stesso. La città è il dominio dell’artificio umano per eccellenza. Eppure, molte delle città hanno introdotto, hanno predisposto, una propria relazione con la Natura. Roma, con i suoi numerosi ma mal distribuiti spazi verdi, ne è un esempio. Eppure, quella stessa natura richiede cura, una cura che manca e che Viola mette in luce nelle sue opere.
Il rapporto tra uomo e Natura è ancora presente nelle opere di Emanuele Ruccolo, quattro fotografie che potremmo dividere a metà. Da un lato, abbiamo la presentazione della forza bruta della Natura, la forza e in qualche modo la sua divinità. Nella foto di una grande valle alle prime luci dell’alba, l’albero solitario che svetta rappresenta pienamente quell’idea di potenza e di magnificenza, di terrore abissale che la bellezza scatena e che Kant ha saputo perfettamente declinare nelle sue opere filosofiche e che rappresentano un momento di comprensione del rapporto tra l’Uomo e la forza della Natura. L’alto albero che svetta sulla valle stessa è un ricordo, ma al contempo è in qualche modo il simbolo del mondo naturale e della sua capacità non solo di resistere, ma di svettare. Un mondo davanti cui siamo infinitesimali e piccoli, come viene ricordato nella seconda foto che, dal basso, fa svettare gli alberi, le giganti dita della Terra che si sollevano verso il cielo, enormi, imponenti, reali.
La dimensione umana ritorna poi nelle altre due foto, dove invece ritroviamo la dualità tra l’uomo e la Natura, nuovamente, quel rapporto comunque che rimane costante perché la stessa fotografia, la stessa foto è di per sé, automaticamente, l’occhio umano e l’artificio umano e la tecnica che si realizza e si trasforma e crea e ricrea. È un atto di pura artificiale generazione.
Questo atto creativo ci consegna nelle ultime due foto ora lo specchio dello stagno che è tanto radice che cielo dell’albero, e la dualità tra il cemento che conquista e permea lo spazio, e la Natura che rimane, costante, simbolo ineluttabile del suo avanzare sulla costruzione umana. Di nuovo ritroviamo sia il connubio artificiale-naturale, a cui è impossibile sfuggire in fondo, ma al contempo ritroviamo di nuovo quel rapporto fondamentale tra acqua e vita, tra acqua e l’albero, il simbolo della vita stessa.
È un legame profondo quello tra la Natura e l’uomo, anzi, la donna, che ritroviamo poi nelle foto di Federica Girardi. Sono foto che si concentrano su un aspetto diverso, in questo caso, quello del rapporto diretto tra l’essere umano e lo spazio naturale, che ci sostenta ma al contempo ci offre il palcoscenico per il nostro rapporto giocoso con l’Altro, con gli Altri, con l’Altro che è anche Oggetto in qualche modo. La Natura ci circonda, ma al contempo ne siamo immersi, fino ai gomiti, come nelle foglie che nelle foreste si affollano e diventano la futura linfa nuova con cui sostenere la futura foresta.
Diventa così interessante vedere nelle foto di Girardi il corpo femminile che diventa centrale nel suo rapporto proprio con la Natura, ma tramite il gioco. In questo caso non siamo all’interno della critica e della decostruzione dei rapporti tra Naturale e Artificiale, ma nella relazione di rigenerazione e ricreazione, di pura spiritualità e di rapporto profondo. È un viaggio, quello nella Natura, composto anche dal gioco e dalla vitalità.
In questo caso, aggiunta dell’autrice stessa, il giallo rappresenta quella stessa visibilità che altri – come lo scrittore di oggi – di solito ricollegano a quegli autunnali, decadenti giorni finali della vita che si chiude. Invece il colore, qui scelto e profondamente di dominio, il giallo, rappresenta lo spirito del gioco e della vita, la continuazione perpetua nei suoi cicli annuali e stagionali.
Le quattro mostre nella mostra, combinato scomposto di quattro visioni che si rigirano intorno e colpiscono da diversi punti di vista la nostra relazione con l’Arte e la Natura, si vanno a inserire in un contesto che non è solo descrittivo, ma proattivo. L’intera mostra si presenta come momento di condivisione delle attività di Regala un Albero, una start-up che si concentra sul piantare in uno spazio agricolo calabro nuovi alberi, per continuare quella lunga tradizione forestale che l’Italia ha da millenni, se non eoni.
È un tentativo, quello di questa piccola start-up, di ricostruire un rapporto dimenticato tra l’attività e il risultato finale. Le foreste italiane sono soggette a forti stress, dovuti tanto all’abbandono, all’incuria, che all’inciviltà e allo sfruttamento industriale e agricolo sregolato. L’idea di piantare alberi partendo dal basso è scopo spesso tanto delle comunità forestali – realtà che si vanno diffondendo sempre di più sul territorio nazionale – che al contempo proprio di piccole aziende e start-up, come Regala un Albero in Italia, ma al contempo anche Treedom, per citarne un altro.
L’Arte ovviamente non è vergine del rapporto indissolubile con l’attivismo e il realizzare il nuovo, il cambiamento. Rompe, l’Arte, la difficoltà di comprendere la realtà circostante, ma al contempo cambia anche il modo in cui percepiamo la realtà e il modo in cui ci viene introdotta poi direttamente contro. È la bellezza del gioco delle parti e l’abilità dell’artista nel trasmettere un messaggio nuovo e innovativo, ma anche spesso forse non innovativo, ma comunque capace di passare e di muoversi, di saltare da un soggetto creativo ad uno che dovrebbe solo subire – ma che invece costruisce e ricostruisce proprio quegli stessi significati.
Certo è che nel mondo contemporaneo ci sarà sempre un maggiore bisogno di riuscire a narrare, presentare e ricordare l’Arte, metterla lì, davanti le persone, ricordarne la bellezza, la potenza, ma anche il modo in cui viene tanto narrata che in qualche modo letta e ricostruita. Mostre come TREE fanno questo, con un gesto a sua volta nobile nel supportare attività reali e profonde.
DOVE: Cabaret Voltaire, Via Panisperna 87, Roma
QUANDO: Dal 1 al 13 dicembre 2022, dalle ore 18 alle ore 22
Ingresso libero, con donazione a supporto delle attività di Regala un Albero