Intervista di Gianluca Cleric
Ci sorprende sempre come dare in pasto alle nuove generazioni domande così ricche e articolate, anche foriere di una certa ispirazione per poter liberarsi di qualche sassolino, poi vengano archiviate con due righe da ufficio. Ci dispiace ma in fondo anche questo è rock… com’è rock (in senso violentemente sintetico) il primo disco dei Megaride, stoner band campana che hanno unito il “chitarrone e le casse da 26” al napoletano per un disco socialmente utile. Anche per questo, visto un titolo importante come “Mo'” che tanto inneggia al qui ed ora, ci saremmo attesi risposte decisamente diverse. Ma ripetiamo: anche questo è rock. E quanto segue è il loro punto di vista alle nostre consuete domande di Just Kids Society:
Questa stagione di Just Kids Society vuol parlare di futuro. Una cosa incerta sotto tanti punti di vista. Parliamo del suono tanto per cominciare. Ormai i computer hanno invaso ogni cosa. Si tornerà a suonare la musica o si penserà sempre più a come comporla assemblando format pre-costituiti?
Ragazz’ avete chiesto alle persone sbagliate: a noi piacciono i chitarroni e le casse da 26’’, siamo dinosauri che vanno controtendenza. Bisogna anche capire cosa intendiate per “suonare”, però possiamo dire che l’avanzamento tecnologico ha dato una grossa spinta dal punto di vista compositivo: oggigiorno basta avere un buon computer per poter comporre e produrre prodotti musicali davvero notevoli ma poi quando si parla di esibizioni live notiamo che la tendenza, anche per artisti che utilizzano basi e campionamenti, è sempre quella di circondarsi di musicisti e/o band vere e proprie. Magari ci sarà una scissione tra la produzione digitale e l’esecuzione live che potremmo definire a questo punto “analogica”.
Sempre più spesso il mondo digitale poi ha invaso anche la forma del disco. Ormai si parla di Ep, di singoli. Di opere one-shot dal tempo limitato. Qualcuno parla di jingle come forma del futuro. E dunque? Se da una parte c’è maggiore diffusione, dall’altra c’è maggiore facilità di produzione. Dunque… chiunque può fare un disco. Un bene o un male?
È un bene che tutti abbiano le stesse possibilità, bisogna capire come le si sfruttano e da lì trarre qualche conclusione. Poi bene o male, il mondo non è bianco e nero, ringraziando a Dio c’è vita nelle sfumature di grigio.
La pandemia ha ispirato e condizionato molta parte dell’arte di questo tempo. Ma sempre più spesso gli artisti inneggiano ad un ritorno a cose antiche, ataviche, quasi preistoriche come certe abitudini, come un certo modo analogico di fruire la musica. Insomma, ha senso pensare che nel futuro si torni a vivere come nel passato?
No, ed è stupido anche auspicarselo.
“Mo’” sembra essere un disco che non ha troppa voglia di perdersi in chiacchiere. Rivalsa sociale ma anche romanticismo ci ho visto io, nonostante lo stoner porti sempre in scena spigolature acide e distorsioni alte e difficili da sormontare. Un disco che oggi sembra anacronistico: come pensate sia capace di dialogare con le nuove generazioni?
Stuzzicando quell’ingestibile rabbia che scuote gli animi, del resto se un adolescente ha voglia di fracassare una sedia contro una parete noi possiamo essere una colonna sonora perfetta.
Anche in questa stagione riproponiamo una domanda che sinceramente non passerà mai di moda anche se le statistiche un poco stanno dando ragione a tanti come noi. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. E Spotify è uno di questi. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
Lo spiega benissimo il capitalismo: produci, diffondi, muori. Il paradosso è il sistema intero.
Siamo nel tempo dell’apparire. Come ci si convive? Si esiste solo se postiamo cose? E se non lo facessimo?
Scompariremo dalla vita digitale ma torneremo a vivere davvero probabilmente.
A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto dei Megaride, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
“Chi cazz’ m’ò fa fa” degli Squallor.