C’è stato un tempo in cui la culla dei ricordi in fase di costruzione coincideva con la colonna sonora che si stava diffondendo nel circostante. All’apice della turbolenta spensieratezza che solo i primi anni dai venti in su possono regalare, Roma profumava già di nostalgia. Tra tessera Arci e locali underground, tra serate al Monk che poi sono diventate eventi all’Atlantico, i sorrisi erano sempre gli stessi: quelli di giovani con l’unico obiettivo di godersi un concerto e, tutt’al più, poter arraffare una setlist stampata su carta stropicciata prima della fine.
I Cani erano ancora confusi con animali domestici, così come L’Orso, e il volto di Gazzelle era ancora rappresentato da un video fuori fuoco, blur e un cappellino.
Benché vivere nel passato sia sbagliato, in questa giornata dalle tinte blu riaffiorano ricordi apparentemente lontani mentre foto di quei momenti si fanno spazio nel Drive, chiedendo di non essere cancellate per una memoria digitale sempre piena.
C’erano gli anfibi neri di Vasco Brondi che si definiva ancora nel progetto che di plurale aveva solo il nome, mentre i TheGiornalisti non si erano detti addio e Fuoricampo era solo un nome del mondo calcistico.
Insomma, contesti e scene musicali tutte da scoprire, dove ci si faceva guerra tra chi sapeva spiegare esattamente cosa significasse “indie” e chi già lo usava per indicare un nuovo genere nei gruppi Facebook. E da allora, da quel mondo allo spartiacque del video de Le Coliche con cui l’indie è definitivamente morto, un Calcutta emergente faceva capolino con dolci melodie e frasi da persone normali, proprio alla Sally Rooney che ancora non aveva pubblicato il suo primo romanzo.
Era una musica in grado di arrivare a chiunque, toccando memorie e facendo vibrare orecchie e lacrime, proprio per la sua rapida e immediata semplicità. Un nuovo cantautorato dalle tinte malinconiche e malconce di chi viveva le strade della Capitale, tra traffico, mezzi di trasporto e immondizia, nella quotidianità del tempo.
E dai Flavio, cammina! Cammina cammina cammina…
Numeri indecifrabili di concerti durante il corso della settimana e incontri, viaggi disorganizzati verso luoghi sperduti con piccoli palchi anticipati a stento dalle transenne, quando l’unica preoccupazione era quale (bus) notturno prendere al ritorno.
Poi siamo cresciuti, le cover stonate in locali fatiscenti hanno lasciato spazio ai sogni disillusi del presente. Mentre tutto intorno cambiava e cresceva, così come la nostra età, noi ci sentivamo sempre più piccoli, stretti nella morsa di una città che sa essere salvifica, ingombrante e stringente, tutto insieme, ma sempre con la musica nelle cuffiette e denti regalati per comporre sorrisi migliori.
Tante memorie mentali e poche digitali perché WhatsApp era nato da poco, Instagram aveva ancora l’icona di una fotocamera retrò e allora non ci si pensava nemmeno a incapsulare il momento con un affare che riusciva ancora a entrare in una tasca. Le uniche luci provenivano dal palco e si riflettevano sugli occhi lucidi di chi piangeva perché odiava immensamente le ferrovie dello stato ma sapeva di non essere un albero, o di chi gridava Buon appetito, amore! dopo aver messo le mani in tasca e aver sputato sulla tavola.
Perché, anche se un modo semplice per uscirne non lo abbiamo trovato, ne siamo comunque usciti, con ricordi sbiaditi come quei giocattoli lasciati in qualche scatolone: usati e riusati, scoloriti dalla troppa luce, nascosti in piena vista…
È l’indie di seconda generazione, appartenente a millennial che cercano ormai di darsi un po’ di tono con capelli più sistemati e vestiti meno larghi, arrivati (non troppo) tardi per i pionieri di quel mondo realmente indipendente, fatto di Afterhours, Tre Allegri Ragazzi Morti, Marlene Kuntz, Zen Circus, eccetera eccetera (non per minore importanza).
Ci portiamo dietro (e dentro) le cicatrici di tempi ormai fumosi, che ci fanno guardare al passato con occhi teneri, insieme ai lividi di serate di pogo all’elegante ritmo dei Ministri o a quello scomposto dei Gazebo Penguins. Ma tutto il sudore speso, le brevi attese e le emozioni degli intimi concerti rimarranno sempre uno spaccato del panorama musicale italiano e, soprattutto, del nostro cuore.
E poi è tutto un ricordar le cose Meglio di com'erano davvero Di quando avevamo qualche anno di meno