di Clara Todaro
“Una manciata di canzoni scritte in retromarcia, controsole e con il futuro alle spalle, un bouquet di fiori a 5 euro gettato nella tromba delle scale un attimo prima che lei aprisse la porta, il residuo, gli scarti di lavorazione di momenti preziosi…” Sono le parole del carismatico Paolo Zanardi per descrivere il suo ultimo album da solista, dopo un Premio Ciampi vinto e non ritirato personalmente. I chiaroscuri di una figura curiosa e intrigante, che abbiamo provato a intervistare.
Viaggio di ritorno, uscito il 10 ottobre, è il tuo quarto album da solista. Tuttavia tu hai iniziato con il gruppo dei Borgo Pirano, lasciato nel 2005. Cosa è cambiato da quando rendi conto solo a te stesso?
In realtà non è cambiato molto perché la band era sempre la stessa e le canzoni erano sempre le mie – quelle che poi sono confluite nel primo disco. Successe che il mio tastierista mi consigliò di mettermi in proprio e da allora iniziò a farmi da produttore.
La prima traccia dell’album è una ballata in cui, tra riflessi notturni e sorsate di vino, ribadisci: “c’è splendore in ogni cosa”. A chi è dedicata questa canzone romantica?
Il brano è idealmente dedicato al cantautore Piero Ciampi, ma non ho voluto esplicitarlo nel disco perché mi sembra vada troppo di moda.
È strano tu dica che Piero Ciampi sia un cantautore che va di moda, in realtà è tra i meno noti al grande pubblico.
Beh sì, è vero. Ad ogni modo non ho voluto sottolinearlo nel disco per due motivi: per pudore e perché non mi va questo tipico accostamento. Poi in realtà le parole c’è splendore in ogni cosa sono un verso della poetessa italiana Mariangela Gualtieri. Mi sembrava che si adattassero bene al resto, così il collegamento è stato inconscio; ma non le ho ancora detto che gliel’ho rubate (sorride, nda.).
Che ti piaccia o no, l’accostamento con il cantautore livornese è inevitabile: “ciampiano” è, ad esempio, il tuo essere uomo della notte, come nella title track quando dici che, rientrando a casa dopo una lunga serata di bagordi, è giunta l’ora di andare a morire in un letto qualunque. Dunque qual è il vero viaggio, da cosa torni?
Bella domanda. Beh, vista la mia età anagrafica, il viaggio non poteva essere che di ritorno. Avrei voluto titolare l’album c’è splendore in ogni cosa, ma poi ho pensato che viaggio di ritorno esprimesse meglio il tutto.
Oltre che per la musica, nutri una passione per la recitazione e il cinema: hai lavorato anche con artisti del calibro di Remo Remotti. Com’è stato?
Sì, con Remo Remotti ho lavorato diversi anni, è stato un amico ma anche un grande maestro. Era un personaggio quasi newyorkese, se non fosse che era nato romanissimo, decisamente poco italiano e comunque un personaggio fuori da qualsiasi schema.
Anche tu però sei un personaggio fuori dagli schemi: ho letto una biografia di te molto curiosa, quasi romanzata. È vero, ad esempio, che la notte in cui sei nato, pioveva così forte che non sentivano la levatrice bussare alla porta?
Io, dal mio punto di vista, penso di essere abbastanza normale, non so poi per gli altri cosa sia la normalità. In ogni caso gli aneddoti su di me sono tutti molto attendibili. Anche quello su Jimi Hendrix del libriccino di chitarre è vera. Non romanzo nulla di solito.
Hai imparato alla fine a fare il barrè?
In realtà io il barrè non lo faccio, uso il pollice proprio come faceva Hendrix… Non che mi voglia paragonare a lui, ma su quel libretto c’era una sua foto con su scritto: “come non fare il barrè”.
Vorrei concludere con un “dicono di te”: che tu sia tutto fuorché docile. Un tipo schivo, fai solo e sempre ciò che ti va, sempre un po’ sopra le righe. Solo il cliché dell’artista maledetto o il fascino del dannato ti si addice per natura?
Non saprei esprimermi su quello che sono, anche perché io non mi vedo e non sono narcisista a tal punto (al contrario di quanto si possa pensare). Quello che vedono gli altri poi è soggettivo.
Di solito gli artisti un po’ particolari non amano rispondere alle domande, posso chiederti come mai hai accettato l’intervista?
Semplicemente, non posso dire di no. Vero è che sono un autolesionista, ma fino al punto di rifiutarmi, no, non posso permettermelo. Non sono Keith Richards, ecco.
Non ci sarebbe nulla di strano, c’è chi è allergico alle interviste perché sostiene – anche giustamente – che l’Arte vada presa così per com’è, senza troppe spiegazioni.
Sì, questo è vero e riguarda tutti i musicisti: le canzoni non puoi spiegarle, è giusto che ognuno dia il significato che preferisce. Per il resto, dipende dalle domande.
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