Recensione di Andrea Barbaglia
È l’Appennino, ma potrebbe essere altrove, se non fosse per quella voce così unica, inconfondibile e famigliare che ha attraversato transumante, ma sempre legata alle proprie radici, ben quattro decenni e che ora va caratterizzando pure il “teatro barbarico montano” portato in scena da Sāgā, il canto dei canti.
Con questo nuovo, articolato lavoro il percorso di Giovanni Lindo Ferretti giunge per certi versi a un compimento. Dopo l’iconoclasta forza punk filosovietica dei CCCP Fedeli alla Linea, conquistate le sublimi vette artistiche del Consorzio Suonatori Indipendenti, chiusa una sfaccettata, ma instabile esperienza Per Grazia Ricevuta, al termine di quel ritorno a casa mai realmente programmato, ma del tutto naturale e necessario, il cantore di Cerreto Alpi torna in sala di incisione per dare voce e corpo a una propria visione di una sera d’autunno.
Nasce e si concretizza dunque in questo modo un sogno che è progetto folle e senza tempo, divenuto presto spettacolo e, in ultimo, ambizioso disco dai contenuti forti e assolutamente umani, legati alla terra. Quanto sono lontani i tempi del codificato e sofferto esordio solista di inizio millennio? Non così tanto quanto si potrebbe pensare, a dir il vero; certo è che l’elettronica di Eraldo Bernocchi, qui filtrata, rivista e corretta anche in funzione delle successive esperienze del Nostro in compagnia di Ambrogio Sparagna e di Giorgio Barberio Corsetti, ha ora un nuovo deus ex machina che risponde al nome di Lorenzo Esposito Fornasari. Elemento di spicco dell’Avanguardia sonora e collaboratore dello stesso Bernocchi in più di una occasione, LEF dopo gli interventi vocali in Litania mette ora in musica il libretto d’opera nato dalle parole di Ferretti realizzando un variegato trattato musicale che fa da contraltare all’apparente complessità di un personaggio come Giovanni.
Cinematografico e trionfalistico (Uomini cavalli e montagne), maestoso e popolare (Maritima loca), il racconto fissato nei sessanta minuti rilasciati per la NoMusic vive della potenza animale sprigionata dalla natura e dall’uomo ritratto in libera simbiosi con il cavallo, protagonista e prima causa dell’opera.
L’apertura di Pons tremolans è da brividi: discesa direttamente dalle ultime notizie di cronaca di qualche anno fa, è trait d’union per la disciplina metodica, regolare e appassionata de Il primo cavaliere. Il lavorio dei giorni è una fotografia dell’Italia contadina e montana pre e post bellica, quella dei cinegiornali Luce, omaggiata ancora in Canto da bivacco e così viva nelle note della meravigliosa Evoluzione.
Il rock per sola chitarra di Ombra brada è storia d’Italia attraverso un intenso ritratto del Maremmano, cavallo meticcio usato nei secoli dai butteri; Divampa, mantra elettronico per tromba e violino. Torna pure Maciste all’inferno, in una rilettura cadenzata e processionale, poi la quiete ombrosa e classicheggiante de L’anno che viene raccoglie attorno al fuoco i pensieri degli uomini di montagna. È tempo per un ultimo, solitario, Canto eroico. Nelle cavità più nascoste e recondite del cuore la nostra coscienza può ora infatti riposare tranquilla e appagata, “nel richiamo ad una Viva Presenza tra polvere e sudore nella luce del tramonto.”
E così sia.
SĀGĀ, IL CANTO DEI CANTI: OPERA EQUESTRE – GIOVANNI LINDO FERRETTI
(NoMusic, 2013)
- Pons tremolans
- Uomini cavalli e montagne
- Il primo cavaliere
- T.P.R.
- Ben poco onore
- Maciste all’inferno
- Come gli avi miei
- Canto da bivacco
- Il lavorio dei giorni
- Maritima loca
- Evoluzione
- Ombra brada
- Divampa
- L’anno che viene
- Canto eroico
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