di Skanderbeg
Foto a cura di Roberta Gioberti
Jamese Senese si è esibito lo scorso 28 febbraio al Parco Auditorium della Musica di Roma, una serata organizzata da Icompany e BIGTIME e aperta dal giovane cantautore Maldestro. E fin qui tutto nella norma. Sala piena, gente entusiasta, specialmente quando Senese, con quella parlata italo-napoletana, che sembra uscita da un romanzo di un Camilleri partenopeo, racconta ai presenti alcuni aneddoti della sua vita, tra un assolo di Sax e qualche scat inventato sul momento.
Il James Senese dell’Auditorium è ormai un artista così oltre il concetto del muscista che sembra quasi indifferente alla sua sfrontataggine. E no, tranquilli, non vogliamo fare gli pseudo-intellettualodi da due soldi per impressionarvi, anche perchè in questo caso servono le parole veraci non i colpi difioretto. La verità è che James impersona in pieno quel tipo di musicista disincantato, innamorato della musica e delle melodie, quell’artista che se fosse nato tra le case intorno al Ponte di Verrazzano, piuttosto che nei sobborghi della Louisiana, sarebbe stato messo al pari, probabilmente, di mostri sacri del Sax d’oltreoceano come Wayne Shorter o Dexter Gordon, giusto per dirne un paio
Ed è quella sua semplicità che ti trasmette tra l’immancabile Campagna, Simme iute e simme venute e tanti altri brani direttamente dai primi album dei Napoli Centrale. E nel mezzo le sue storie, quelle di Napoli; il ricordo immancabile ma molto stringato per l’amico di tante battaglie Pino Daniele, i suoi primi successi con gli Showmen e con l’inseparabile Mario Musella e la nascita dei Napoli Centrale assieme a Franco Del prete.
Oltre a tutto ciò si aggiunge una band fantastica, come non poteva essere altrimenti, con Freddy Malfi alla batteria, Gigi De Rienzo e il maestro Ernesto Vitolo alle tastiere che in coppia con Senese si alterna in assoli che a volte eccedono la perfezione.
Viva Jamese Senese, quella sua maniera di fare, quella critica ostinazione a non vendersi alle major e ai big della musica per rimanere a fare quello che ha sempre desiderato. Viva la parlata “pane al pane e vino al vino” che in un insidioso parallelo ricorda tanto le maniere poco ortodosse di un Mario Brega d’annata!