Live report di Francesca Vantaggiato
Photo report di Maria Elisa Milo
I Tinariwen sono comparsi sul palco con le loro ampie vesti, il volto coperto da veli impenetrabili e sul capo turbanti blu come la notte. Hanno iniziato a suonare e a me sono venuti i brividi.
Questa musica nutrita da anni di vagabondaggio per l’Africa e il mondo, dall’esperienza dell’esilio, dal dolore e dalla nostalgia della propria terra, dall’assurdità dell’odio e della persecuzione, beh questo strano blues ti colpisce al cuore, mescolando i tanti elementi che compongono quel mosaico magico che la musica Tishoumaren*: suoni tribali, basso serrato, assoli rockeggianti, percussioni insistenti, echi di funky e voci profonde che ti cullano come ninne nanne. La musica dei Tinariwen ti arriva in faccia come la sabbia del deserto spinta dal vento della notte. Ed è piacevole.
I Tinariwen non parlano la nostra lingua e noi non parliamo la loro, ma questo non importa. Basta il corpo per comunicare, per essere parte della stessa cosa. Bastano le mani che si sollevano e tengono il tempo, le gambe che non smettono di muoversi, basta ondeggiare al ritmo della loro musica da mille e una notte. Non servono parole, basta la musica per abbattere ogni confine geografico, culturale, linguistico e religioso. Quello che fanno i Tinariwen non è solo della gran musica, ma è qualcosa di coraggioso e determinante: cambiare il mondo grazie alla musica, facendo conoscere a chi forse mai vedrà le loro terre quali sono le loro tradizioni, i loro valori, i pensieri e le preoccupazioni di un popolo che da secoli abita le terre desertiche dell’Africa.
Combattono i pregiudizi e gli stereotipi, perché fa impressione – una bella impressione – vedere questi uomini coperti da capo a piedi imbracciare chitarre e basso elettrici sul palco del Carroponte: una scena che non ti aspetti, che ti disorienta perché sei abituato a vedere immagini di tuareg sotto il sole cocente del deserto, o seduti attorno ad un fuoco con le gambe incrociate, o a mungere una capra, o a camminare in mezzo a turbini di vento e sabbia.
Immagini stereotipate che riportano subito a qualcosa di lontano ed esotico, mitico e leggendario, ma che ti fanno pensare subito anche a povertà, terzo mondo, persone che muoiono di fame. Tutte quelle cose a cui pensi inevitabilmente ed involontariamente quando vedi qualcosa che ricorda l’Africa. E allora, vedendo i Tinariwen sul palco, mi sono resa conto di quanto io stessa sia vittima di condizionamenti mentali e di stereotipi. Il mondo è diverso da come ce lo immaginiamo, da come ce lo siamo costruito con anni di televisione e internet. Mi è dispiaciuto che tanta gente non fosse lì con me a vedere quello spettacolo e a porsi le mie stesse domande.
Non è stato solo un concerto in cui ho ascoltato della gran musica. È stato un momento di consapevolezza e di presa di posizione. Lo scorso anno, al Carroponte, ho visto gli Eagles of Death Metal pochi mesi prima dell’infame attentato di Parigi in cui persone come e voi che leggete sono morte ammazzate. Ora i tempi sono addirittura peggiorati (cosa che mi aspettavo succedesse, ma che speravo non si avverasse) e quindi si, avevo qualche lieve timore legato alla serata. Molto nascosto, parecchio ricacciato in basso, però esistente. Per questo la mia partecipazione, insieme a quella di tante altre persone, ha avuto per me un significato molto importante. La sensazione forte e reale che ho avuto per tutta la durata del bellissimo concerto è stata quella di dover essere proprio lì in quel momento, insieme a tutte quella gente, sfidando la paura, il pregiudizio, la pigrizia mentale e fisica e la pacifica ignoranza in nome di qualcosa che conta davvero nella vita: la musica.
COSE DA SAPERE
Tinariwen: significa deserti, è il plurale di ténéré, la regione desertica al centro del Sahara. Il termine proviene dal Tamashek, la lingua berbera dei tuareg, parlata in Niger, Mali, Algeria, Libia, Burkina Faso, Ciad. Ecco che Metti in moto l’avventura e cavalca tenerè acquista tutto un altro significato. La band è originaria del Mali.
Berberi: uomini liberi nativi del nord Africa, rappresentano il fondo etnico primitivo della Cirenaica, della Tripolitania, della Tunisia, dell’Algeria e del Marocco. Il termine proviene dall’arabo al-Barbar con il quale i conquistatori arabi chiamavano le popolazioni indigene. Per saperne di più: http://www.treccani.it/enciclopedia/berberi_(EnciclopediaItaliana)/
Tuareg: berberi semi nomadi, conosciuti come uomini blu a causa del colore della stoffa che copre il volto. Sono di religione islamica, vivono secondo principi progressisti, esiste il divorzio, le donne sono proprietarie di tende e animali, le decisioni politiche vengono prese dagli uomini, ma solo dopo consultazione con le donne. Vivono principalmente di pastorizia, mentre nel passato commerciavano oro, spezie e schiavi. Ribelli contro il governo del Niger che nei decenni ha sfruttato l’uranio presente nelle terre abitate dai Tuareg, senza condividerne i guadagni, neanche quando la siccità ha reso difficile la loro vita. Con la fine del colonialismo francese si sono creati stai dai confini stabiliti a tavolino e ciò ha determinato guerre e devastazioni. Nel 2012 inizia una feroce guerra civile in Mali: dopo decenni di rivolte, una ribellione dei tuareg uniti nel Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad scatena una terribile guerra civile in cui intervengono anche Francia e ONU. Nel 2014 il Mali contava 239.000 tra rifugiati e sfollati. Nel 2015, i rifugiati giunti in Italia erano 4.200. Per saperne di più:
http://viedifuga.org/mali/
http://ngm.nationalgeographic.com/2011/09/saharatuareg/gwintext
http://www.mali.it/
http://www.internazionale.it/reportage/2016/05/03/sirianiprofughimali
Musica Tishoumaren: blues del deserto che mescola elementi blues, rock, world e di musica tradizionale Tuareg. Caratterizzata da chitarre elettriche, emerge intorno agli anni Ottanta grazie ai Tinariwen, seguiti poi dalle band Inerane e Tartit. Per saperne di più:
http://it.urbandictionary.com/define.php?term=Tishoumaren
https://rateyourmusic.com/genre/Tishoumaren/