di Gianluca Clerici
Quello di Pier Mazzoleni è un nuovo lavoro forse troppo personale a mio avviso perchè possa giungere intonso ad un pubblico numeroso. La personalità si riflette (forse) in ogni singola partitura testuale e musicale dove l’unico vero protagonista è l’animo in continua esplorazione di questa vita. Un ascolto impegnativo che non è fatto di carta velina ne di riflettori di scena piuttosto di sacrali istanti di se. Il suo punto di vista alle consuete domande di Just Kids Society:
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Naturalmente fare musica è già di suo un privilegio e poco importa se per puro piacere personale o mestiere. C’è il senso, diffusissimo, di non realizzazione nel non farlo come professione ma c’è da capire innanzitutto che la condizione è strettamente connessa al periodo che stiamo vivendo. Quello attuale è un momento storico delicato per tutto e, oggi, men che meno, ci si può improvvisare… e poi diciamocelo, il talento non si compra al mercato! Una linea che divida queste due facce, questi due modi di intendere non esiste: musica e creatività sono innate in noi. Chiunque può essere professionale pur non svolgendo attività continuativa e introitando denaro a sufficienza per vivere con quell’attività! E’ questione di ingegno, di inclinazione e a volte addirittura di genio, e tutto vien da sé. Se si hanno carte giuste il resto lo fa il tempo, se no significa che non era destino. Ma chi si accontenta gode, non c’è un detto più vero di questo. Lo dice uno che ha pensato per anni di smettere perché gli addetti non gli tributavano abbastanza attenzione… e dopo aver smesso (l’ho fatto almeno tre volte), ha ricominciato perché la necessità di suonare il mio pensiero andava oltre il farlo di mestiere se no smetto. Non è un caso… non c’è intenzionalità… tutto viene poiché deve essere. E’ la vita. E così sia!
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
E’ inutile negare l’evidenza, la forte crisi globale ha colpito molto anche il settore della discografia (e ti pareva?), laddove nel mondo cala il Pil di ogni Stato è ovvio che i primi a pagare le conseguenze siano i lavoratori dello spettacolo! La discografia è in un periodo che più nero non si può e le cause sono molteplici. Il costo dei supporti, le tasse (l’Iva), i costi di Siae, la gestione di tutti gli ambienti dello spettacolo, dagli studi di registrazione alle sale da concerto… Tutto quanto, insomma. E dietro a tutto questo c’è lo sconforto dei produttori di dischi. Gli industriali sono ricorsi perfino al riesumare il vinile, facendoci credere che fosse la cura per le nostre orecchie. Intendiamoci, anche io ho amato il solco. Bello, intrigante e spontaneo con quelle sue puntine sempre roventi, a volte impolverate; ma ora non c’è più quel tempo. Hanno avuto un passato glorioso i 45 e i 33 giri ma siamo in un’altra era. Gli stessi mp3 hanno abbassato il livello di qualità e quindi di cultura (oggi lo standard per chi ascolta è proprio quello e non più il formato wave immacolato uscito dallo studio su master). Nostra è la responsabilità di aver indotto tutto questo con i nostri reiterati atteggiamenti da pecore che seguono il gregge, accettando ogni cosa propinata dalle major, dalle radio e dai… soliti noti. Tutto deciso a tavolino! E il popolo subisce le scelte altrui, come sempre. In futuro ci sarà qualcuno che dovrà fare un mea culpa per tutto questo e farsi un bell’esame di coscienza. Ma non sarà cosa che noi vedremo.
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Ambedue le cose. L’informazione rincorre il pubblico, lo cerca con furore per l’auditel e per fattori esclusivamente commerciali, e il pubblico come un coniglio si lascia acchiappare con la carota… è palese quindi che la stessa informazione cerchi di educare (a suo piacimento) chi la sta a sentire. Come potrebbe essere il contrario? E a chi è imbonito dalla Tv non rimane che stare in silenzio a guardare quegli imbarazzanti spettacoli della domenica pomeriggio che fanno venire il ribrezzo. Non c’è scampo in un paese che vanta una tra le migliori culture del mondo, quando uno dei suoi ministri dice che con la cultura non si mangia! Ma oramai questo è il gioco dei signori governanti. E quando ai piani alti ogni decisione viene presa al contrario della logica comune, domandiamoci se non ci sia un disegno a priori per tenerci lontano proprio dalla cultura… e quindi vi sia l’interesse a tenerci ignoranti. Non mediteremo mai abbastanza, ma se solo volessimo…
La musica di Pier Mazzoleni sembra quasi cercare se stesso attraverso la composizione e la scrittura. In qualche modo si arrende al mercato fatto di prodotti industriale oppure cerca altrove un senso? E dove?
La musica che faccio non ha pretese da grande signora, vuole farsi ascoltare e capire, quello certamente. Per questo non cerca il consenso di nessuno, forse all’inizio poteva sembrare un po’ ruffiana ma dopo anni di torture e inesorabili rese dei conti, ora che ha capito come gira il mondo, vuole soltanto svolgere il suo mestiere: far star bene chi l’ascolta e magari far riflettere sui concetti. Se possibile. Mi basta sapere che in un qualsiasi punto della terra qualcuno ha cantato A New Orleans o Gelide impronte, o magari ha ballato a tempo di swing con L’attrice che sei. O, sarebbe fico, se qualcuno mi scrivesse dicendo di aver dedicato alla sua donna la mia Lettera a lei. Oh, sì, se così fosse gliene sarei grato io per primo! Sarebbe peraltro impossibile cercare un senso altrove, lontano da questa realtà di consumi che ha il solo obiettivo di batter cassa. Tutto il sistema Musica segue quella direzione, la filiera è orientata al mettere sulla bilancia in maniera maggiore ogni occasione per trarre profitto. A scapito poi del talento! La qualità è sempre meno richiesta, la padronanza del mestiere pure… non è un quadro devastante il mio, ma una realtà (quella che vedo) che divora tutto ciò che erano i grandi valori di un tempo. E forse sono io in quanto autore a cercare attraverso la composizione un po’ di me, della mia parte più nascosta e a voler vincere le mie ansie. La crescita personale passa anche da questo: giorno dopo giorno dimostrare a se stessi di collimare sempre di più con la propria natura.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
La difficoltà del mestiere musica è quella di far passare il proprio messaggio; sono in pochi quelli che cercano la novità oggigiorno! Poi non c’è meritocrazia. Non si fanno più concerti perché non sono più richiesti i live minori. Pure se nel sostrato ci sono grandi personaggi, a volte più meritevoli di chi sta su inutili copertine. Sono sparite le figure che ricoprivano i ruoli importanti di una volta, come ad esempio il manager… e il talent scout. Bei tempi quelli di Battisti, di Mina e Patty Pravo…
E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Cosa dovrebbe bastare? Non comprendo la domanda, così di primo impatto, ma ti rispondo in questo modo con due parole: sono sicuro che non basterebbe nemmeno l’unione di tutti i lavoratori dello spettacolo, ci hanno provato in tanti a creare forza associativa ma la realtà è sempre e comunque una sola: siamo in Italia. Ho detto tutto.
Finito il concerto di Pier Mazzoleni: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Come? A concerto finito io gli imporrei (già lo faccio), di staccare la spina e di chiudere… chiederei un applauso per il bel lavoro fatto (sempre che bello lo sia stato), ma la musica è finita! Si è giocato abbastanza per quella sera e quel disco di cantautorato underground serbo/danese che ci piace tanto, lo potremmo far mettere domani sera, aspettando il nuovo concerto… non vi pare? A presto.