Live report di Skanderbeg
Un kebab prima di assistere a un concerto potrebbe non essere il pasto più indicato. La carne speziata, la salsa allo yogurt piena d’aglio, un po’ di piccantino che non guasta mai. La paura di accomodarsi sugli spalti con un alito un po’ pesantuccio.
Insomma, ci voleva proprio la Takadum Orchestra per rendere più leggera e allegra la serata della vostra coppia di corrispondenti inviata da Just Kids. Un inaspettato viaggio circolare all’interno di suoni e costumi provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo, dal Nord Africa passando per la Turchia fino a risalire la Grecia e i Balcani. Seduti sulle nostre poltrone abbiamo allacciato la cintura e cominciato un lungo percorso introdotto con eleganza e audacia dal gruppo spalla Taraf de Gadjo. Mezz’ora di puro piacere musicale tra musica zigana, klezmer e gipsy jazz. Da segnalare in particolare l’esecuzione del classico Sweet Georgia Brown con dialoghi appassionati tra violino e chitarra.
Dopo una breve sosta ecco poi arrivare la Takadum Orchestra. L’ensemble creata nel 2007 da Simone Pulvano e co-diretta con il “socio” Gabriele Gagliarini presenta il suo ultimo album Suoni dal Confine, uscito lo scorso aprile. Il concerto parte subito con Khatwa e Takadum, brani di sole percussioni eseguiti per scaldare il pubblico, e in men che non si dica arriva la pelle d’oca. Entra la sezione strumenti e le due cantanti: il palco si trasforma, la musica ritmata dai tamburi assume adesso colori ancora più vivaci. Sembrano suonare insieme da una vita ma in verità parte strumentale e cantanti si sono uniti alla Takadum Orchestra solo da un paio d’anni!
È incredibile e quasi magico il rapporto che si instaura tra la parte ritmata dei tamburi, la chitarra, la fisarmonica, la tromba e le due cantanti: Valeria Villeggia, la voce soul del gruppo, e Lavinia Mancusi, strepitosa vocalist melodica dotata di un timbro squillante e coinvolgente. Mentre mille pensieri si accatastano uno sopra l’altro per merito dei continui input forniti dall’orchestra, il nostro viaggio continua spedito tra tamburi di origine persiana (Daf) e altri appartenenti a culture nord africane come Darbuka e Doholla.
Lo spettacolo fornito dalla Takadum Orchestra è una dichiarazione d’amore tout court verso la cultura orientale e la presenza di Sciahina, conturbante danzatrice che accompagna la musica con le sue evoluzioni, non fa che aumentare il senso di gioia e sensualità, pecualiarità sonore delle popolazioni a est della nostra penisola. Gioia che traspare da tutti i componenti che si guardano estasiati tra di loro, quasi sorpresi, tutt’oggi, dalla loro bravura. E gioia tra il pubblico, che dalle poltrone ammira il gruppo con quel tocco di rosso, che ognuno di loro ha portato con sé sul palco, per un vezzo puramente estetico richiesto da Pulvano.
Riaprendo gli occhi d’improvviso quasi non ci si rende conto di essere alla fine di un viaggio. Lo spettacolo è già finito e tra gli spalti tutti sono estasiati. La melodia di Vranjasky rimane scolpita nella mente e non vuole andar via, ma pezzi come Uskudar – a cui bisognerebbe dedicare uno spazio a parte per descriverne la storia – e Kara deniz sarebbero da ascoltare e riascoltare milioni di volte.
Simone Pulvano ci sa fare, nulla da eccepire. Un vero e proprio ricercatore dei suoni e del ritmo che non scade mai nell’ovvio e, con Gagliarini, può essere considerato tra i maggiori percussionisti del nostro Paese. Partendo dal bacino del Mediterraneo, la Takadum Orchestra è riuscita a contaminare e giustapporre suoni e melodie provenienti da culture apparentemente differenti ma che in realtà comunicano tra loro grazie al linguaggio universale delle note.
Photo report di Enrico Ocirne Piccirillo
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