Recensione di Gustavo Tagliaferri
Il buio e la luce.
Ripartire da uno spiraglio affinchè ci si possa ricongiungere con la realtà circostante e con le persone care con facilità, ripartire e proprio per questo servirsi delle proprie capacità innate soprattutto a livello musicale. Ascoltare Blindur già nel corso dei primi secondi di ogni brano fa sì che una conferma immediata come quella del fatto che non sia il solito progetto latitante di fantasia che può emergere all’improvviso per poi dissiparsi nel niente sia tutt’altro che remota, dal momento che Massimo De Vita, sua mente principale assieme a Massimiliano Bencivenga, oltre che fautore di un immaginario con un piede in Campania ed un altro in Islanda, in quanto artista e viaggiatore è conscio sin dal principio di quanto sia importante progredire continuamente a livello compositivo e testuale, ma non solo. Un simile album d’esordio, specie se sotto la felice egida de La Tempesta, è mosso nella sua interezza da un assai gradito e personale eclettismo, per non dire che funge, se anche così lo si vuole vedere, da lavoro dal duplice significato, in quanto sembra tracciare non poco un profilo psicologico, se non dell’artista, di ognuno dei relativi coetanei presenti in ogni brano: c’è l’io di ieri che si riflette nelle memorie di scuola di una Foto di classe che coniuga folk e, più che shoegaze, post-rock, ma anche l’io di oggi avente come obiettivo il viaggio, punto saliente di Sola andata, che può essere configurata come una ninna nanna man mano sempre più spinta ed incessante, visioni ottimiste fatte di scariche elettriche e proprio alla luce di ciò sospese tra vagiti elettronici e citazioni melodiche introduttive di ispirazione 70’s (!), al punto che simili personalità gradualmente finiscono per convergere in una graduale presa delle redini della situazione da parte del post-rock in un excursus che dalla riflessiva, dagli echi rock, Contrometafore porta in misura definitiva a Lunapark, prepotente ritorno del concetto di viaggio in una rilassata parentesi nel cui corso gioca un ruolo altrettanto importante il pianoforte, suonato da un collega ed amico come Bruno Bavota, oltre che uno stream of consciousness costituito dalla sinergia tra le distorsioni conclusive e la voce di De Vita. Personalità che si ritrovano in sintonia con l’intimità segnata da un glockenspiel nella malinconia e nel pessimismo di XI agosto e con la coesione, più che contrasto, tra nostalgia e solitudine rappresentata in una cadenzata Vanny, un ticchettio che sopitamente eppur nervosamente si fa strada sotto forma di ballata ove il country viene accennato senza che si realizzi in toto, ma anche con un’Aftershock che, pur in un’armonica dal fare dylaniano, sfocia definitivamente nel sopracitato rock ed una Canzone per Alex si serve di una costruzione pop per affondare le mani nelle Olimpiadi viste nell’aspetto maggiormente intimo, più psicologico che psichico, facendo sì che possa emergere l’altra inaspettata faccia di uno Schwazer come quello in esame al ritmo di un forsennato e sì pienamente realizzato country e di un banjo che fa capolino, sfrenato come è, anche nella voglia di vivere riflessa nelle danze che rendono Imprevedibile il felicissimo momento ludico del lotto. Un paio d’anni di alacre lavorazione non sono serviti invano a Blindur per prendere forma, evidentemente, poichè il disco in esame presenta una forza ed un fascino innati non da poco conto che confermano il progetto come uno dei maggiormente ferrei di base campana. Assolutamente consigliato.
Blindur – s/t
(2017, La Tempesta Dischi)
1. Aftershock
2. Canzone per Alex
3. Solo andata
4. Foto di classe
5. XI agosto
6. Vanny
7. Imprevedibile
8. Contrometafore
9. Lunapark (feat. Bruno Bavota)