Intervista di Gianluca Clerici
Il bel rock in rosa de Le Rivoltelle sa di ferro che graffia ma sempre in modo dolce. Questo nuovo disco dal titolo “Play e Replay” lo trovo sottile per quanto i suoni siano grandi in alcuni momenti soprattutto. Questo disco lo trovo antico se il passato che è stato scritto oggi loro lo rivedono in chiave rock. Il presente lo trovo sociale com’è sociale il loro piglio di concepire la rivoluzione. Interessanti i remake, le cover, gli omaggi. Riconosco Le Rivolte in questi inediti di cui uno lo conosciamo da almeno 6 mesi. Il loro punto di vista alle domande di Just Kids Society:
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo voi qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Per noi suonare risponde ad una necessità che ha poco a che vedere con la dimensione economica. Il confine che separa le due cose, musica e lavoro, è solo di natura concettuale. Troppo spesso si tende a sminuire la figura del musicista che non viene considerato come professionista. Probabilmente questo deriva da uno scollamento nella realtà tra chi ha studiato e si impegna quotidianamente per crescere ed imparare e chi, invece, viene costruito a tavolino da case discografiche per diventare un prodotto commerciale. Per noi sarebbe magnifico riuscire a vivere solo di musica.
Crisi del disco e crisi culturale. A chi dareste la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Viviamo un momento drammatico dal punto di vista culturale che ha determinato una crisi profonda di tutto il settore artistico-musicale. Le cause sono tante e diverse: il mancato ricambio generazionale nella musica cantautorale ci ha lasciato orfani di quella musica che riusciva a modificare le coscienze e ad incidere in molti aspetti della società; la mancanza di contenuti e il progressivo adeguamento alle logiche di mercato ha compromesso drammaticamente il ruolo dell’artista che non ha più necessità di comunicare ma solo volontà di apparire; l’eccessiva normalizzazione ha contribuito a creare artisti l’uno la fotocopia dell’altro e che durano il tempo di un caffè.
Secondo voi l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Entrambe le cose. La domanda è direttamente proporzionale all’offerta in un ottica di livellamento e appiattimento delle coscienze. Si offre al pubblico ciò che crede di volere ma in realtà, in maniera subliminale, si propone un’opzione che il pubblico è stato indotto a scegliere.
Le Rivoltelle sono tornate più rock di prima con un disco che un poco guarda al futuro e molto accarezza i ricordi del passato. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
La scelta di reinterpretare brani che appartengono ad un repertorio musicale abbastanza comune è dettata dalla volontà di ricucire addosso a questi brani abiti totalmente nuovi e diversi da quelli originali. È un’operazione, questa, che facciamo da sempre e che rappresenta la voglia che abbiamo di incuriosire e sorprendere. Il filo di Arianna che permette alle canzoni di recuperare la via d’uscita dal labirinto in cui ad ogni vicolo cieco corrisponde una canzone diversa è proprio la nostra cifra stilistica unita al coraggio di sperimentare soluzioni non convenzionali.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che vi viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Non abbandonare l’idea del sogno che sta sempre sotto il sacrificio. Riuscire a credere di poter un giorno vivere di musica
E se aveste modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Crediamo di si
Finito il concerto de Le Rivoltelle: secondo voi il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Alla fine dei nostri concerti il nostro fonico manda i nostri cd in un’ottica di continuità con il mood della serata.