Intervista di Gianluca Clerici
Pop in rosa come nelle perfette scuole di questa nuova scena d’autore italiana. Con Giulia Pratelli torno ad ascoltare un sanon pop leggero italiano ispirato della vita che scorre e delle emozioni. Una produzione artistica firmata da Zibba e poi quel sapore di esterofilia che sempre mi piace avvertire ogni volta che alla bella melodia italiana subentrano scelte un poco ardite, se proprio volessi seguire i dettami del bel pop nostrano. Dai giovanissimi della scena c’è sempre tanta ispirazione da lasciar correre. E allora spazio alle risposte di Giulia Pratelli alle consuete domande di Just Kids Society:
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Non credo che tutti vogliano fare della musica un lavoro. Conosco molte persone che continuano a coltivare la passione per la musica nonostante facciano un altro mestiere. La musica non deve richiedere per forza un impegno assoluto. Non so bene da cosa dipenda, nel mio caso ho sentito che questa era la strada che volevo percorrere, ho sentito che non mi bastava dedicare alla mia più grande passione solo qualche ora a settimana. Non sono riuscita a pensarla come una cosa diversa dalla mia vita. Per questo sto provando a far sì che una cosa così importante per me possa davvero diventare il mio lavoro.
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Più che una risposta, per questa domanda servirebbe un saggio intero… Non so a chi dare la “colpa”, penso sia più un insieme di fattori che vede coinvolte tutte le parti che hai citato tu. A mio avviso la crisi non riguarda la musica in sé (o l’arte in genere) ma ciò che la circonda: dischi belli ci sono in giro, anche fuori dai circuiti mainstream. E’ cambiato il livello di attenzione, la velocità dell’ascolto… ma finché ci sono le belle canzoni, la “crisi” si può superare.
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Entrambe le cose probabilmente: si cerca di assecondare il gusto per cercare di avere una maggiore risposta, ma allo stesso tempo l’informazione e la pubblicità intervengono anche per plasmarlo o per introdurre novità.
La musica di Giulia Pratelli in qualche modo rispetta a pieno i cliché del pop italiano con timidi slanci verso un’attualità “indie”. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Abbiamo fatto il disco che volevamo fare, dando voce a quello che sentivamo. Non abbiamo pensato di conformarci a qualche cliché o di stravolgere la proposta musicale: ci sono cose che avevano senso con una veste più “classica” ed altre che richiedevano suoni più decisi, synth e elettronica. Abbiamo semplicemente cercato di dare alle canzoni il loro vestito migliore.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Far capire che è davvero un mestiere e non un passatempo.
E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Premettendo che, a mio avviso, si tratta di un problema difficilmente risolvibile, perché richiederebbe una diversa educazione, attenzione e sensibilità (che si diffondono a fatica e in tempi certo non brevi), non so se potrebbe veramente “bastare” ma penso che sarebbe comunque un ottimo punto di partenza.
Finito il concerto di Giulia Pratelli: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Quella che preferisce! Sarebbe bello se si lasciasse ispirare dall’atmosfera creata sul palco durante il concerto, senza troppi vincoli.