Live Report di Just Kids Magazine
I sold out non si registrano casualmente. Quello del concerto del 2 novembre al Fabrique di Milano dei Royal Blood è stato più che meritato. A quattro anni dall’esordio e a tre dall’uscita del loro primo album omonimo, il duo di Brighton torna in Italia per promuovere il secondo lavoro in studio How Did We Get So Dark.L’open act è affidato ai Black Honey, rockband proveniente dalla stessa città degli headliners e capitanata dalla biondissima Izzy BPhilips. Una figura eccentrica la sua, a metà tra una donna dell’antico far west, di quelle che incutono timore anche ai rozzi cow boy, e una Lady Gaga glitterata ma più aggressiva. Un set di sei brani caratterizzati da ritmiche incalzanti e dalla sensuale potenza della voce della frontwoman. Un’interessante novità del panorama rock che si sta affermando non solo in terra natia.
È il momento dei protagonisti della serata: Mike Kerr e Ben Thatcher salgono sul palco, salutano la folla, si dispongono ognuno al proprio posto, il primo impugna il basso e si staglia davanti il microfono, il secondo sale sulla pedana rialzata della batteria. La loro peculiarità è quella di aver ridotto la formula strumentale e musicale alla massima essenza: il solo basso a condurre la struttura melodica e i colpi di batteria a scandire il ritmo. Nonostante ciò, è come se stessero suonando almeno il doppio dei musicisti: una potenza travolgente e grinta da vendere sono ripagate dall’entusiasmo del pubblico che si lancia in un pogo incessante. Per molti, l’essere diversi l’uno dall’altro è un punto debole, mentre per il duo dei Royal Blood è un ingrediente indispensabile a creare alchimia e intensità. Mike Kerr interagisce con i fan, non risparmiandosi nei coloriti intercalari fuck, fucking, fuckers tra una parola e l’altra (neppure troppo chiare). Si gode la scena, la padroneggia cambiando strumento più o meno ad ogni brano. Assoli distorti, echi e riverberi innalzano un muro di suono stupefacente e che non si è mai abbassato durante il corso dell’esibizione. Altrettanto in prima linea, Ben Thatcher che martella sui tamburi all’impazzata, pesta con estrema precisione tenendo il tempo, intreccia le braccia colpendo a più non posso ogni angolo della batteria. È la dimostrazione che, senza la sua innata capacità, un progetto del genere e così rischioso non avrebbe funzionato. Esilarante il siparietto che lo ha visto protagonista nel tentativo di lanciarsi nello stage-diving, andato però a vuoto per tre o quattro volte. Una stazza notevole la sua (forse non se la sentiva di affidare un tale “peso” agli astanti), uno sguardo aggrottato sotto il cappellino da rapper ma una simpatia che si specchia nel sorriso dei fan.
In scaletta si sono alternati brani di entrambi gli album, eseguito uno dopo l’altro con poche pause e pochi intermezzi. Tutto è andato avanti senza prendere fiato (che sia stata l’estrema fatica di Milano a far annullare la data del giorno successivo a Zurigo per malattia grave?). Una setlist in cui spicca la prepotenza di How Did We Get So Dark, Where Are You Now e Lights Out. A sorpresa compaiono anche dure coriste per accompagnare i brani dell’ultimo disco. Luci psichedeliche, sapientemente programmate, con i loro effetti e colori, hanno completato la resa scenografica dell’intero spettacolo. Il concerto sembra essersi concluso con la famosa hit Figure It Out, ma non può mancare il giro di bis. Due i bottoni rossi musicali per l’ultima esplosione: Hole e Out Of The Black. Si liberano le ultime energie, il pubblico si ferma, applaude e ringrazia. Mike e Ben salutano, sudati e riconoscenti.
Un live che ha lasciato il segno. I Royal Blood, definiti con tutte le ragioni del caso la Next Big Thing britannica, continuano la scalata verso il successo. E se lo meritano tutto.