Racconto di Rossella Gazzelloni
Illustrazione di Viviana Boccardi
Era pieno dicembre e c’era appena stata una gran nevicata a Roma. Le vie, i sobborghi, le periferie, le scuole, i parchi, i palazzi, erano un vero spettacolo. Ma lo spettacolo più suggestivo erano le vie del centro, adornate di luci colorate ad ogni angolo. I negozi erano sgargianti. Luminosi e scintillanti, con decorazioni di tutti i tipi: piccoli alberi di natale adornati di palline colorate, pupazzi di neve di stoffa e bamboline di pezza che pendevano dal soffitto e dalle pareti, senza escludere i piccoli gnomi ed elfi, aiutanti di Babbo Natale, che spuntavano dappertutto con i loro berretti verdi e dai vestiti rossi, con le guance rosse ed il naso grosso e all’insù. Una delle tante vetrine era particolarmente spettacolare. Uno dei tanti negozi era un megastore inglese, che trasmetteva da vari piccoli schermi, posti in vetrina, immagini all’insegna del pop più sfrenato, coloratissime e di grande impatto visivo. C’erano modelle vestite di lustrini fluorescenti, primi piani di labbra dai rossetti rosso fuoco e scritte pop art che si alternavano cangianti e prepotenti sugli schermi. Il tutto era adornato da neve di polistirolo, da finte bacche, da lecca lecca di plastica che pendevano dal soffitto. Un manichino-donna, senza capelli, era addobbato da un abito con bretelle a minigonna, di lustrini rosa shocking. Il manichino era in una posizione del tutto innaturale, che potevi vedere solo nei servizi fotografici sui giornali di moda. Fosse stato una persona avrebbe sofferto enormemente per quella posizione prolungata. E forse proprio per questo che, ad un certo punto, il manichino si mosse, come rinsavito da uno stato comatoso infinito e voltò la testa prima a destra e poi a sinistra. Poi mosse le braccia, in seguito il torace. Era come se si sgranchisse, il manichino, e ne aveva davvero bisogno, considerato com’era stato costretto a stare per tutto quel tempo. Si sgranchì il collo, le braccia, il busto, le gambe. Ai piedi indossava scarpe da sera cangianti color prugna. Si alzò in posizione perfettamente eretta, si fece in avanti e improvvisamente la vetrina sembrò fatta di burro, tanto che la oltrepassò senza nessuna fatica. Il manichino era in strada, ma nessuno sembrava far caso a lei, tanto erano tutti intenti negli acquisti e nelle passeggiate. Ma il manichino godeva di un’eccitazione che non aveva mai provato.
Era fuori, finalmente, era libera, il mondo era suo. Cominciò a camminare anche lei per le strade, così, senza capelli, senza occhi, naso, né bocca e vestita solo di un leggero vestito da sera e scarpe con tacco alto. Si muoveva meccanicamente, in modo poco naturale. Faceva piccoli passi, accompagnandosi ai gruppi di persone per la strada. Camminò e camminò. Era stata tanto ferma che ora non desiderava altro che camminare. Camminò tanto che si fece notte e giunse nel luogo che, forse a sua stessa insaputa, stava davvero cercando: il Pigneto. Era appena trascorsa l’ora di cena e già la musica cominciava a provenire dai vari locali. Qualcosa, un impulso, un istinto naturale, l’aveva condotta fin lì. C’era già chi testava l’impianto acustico, chi strimpellava i primi accordi o chi provava intere canzoni. La musica aleggiava nell’aria e così la musica aleggiava attorno al manichino, che si nutriva di questi primi accordi, di queste prime, suggestive note. Era quello che era venuta a cercare. Erano le nove di sera e i vari concerti avevano inizio nei vari locali, le serate cominciavano e l’euforia era il pane dei giovani che si accalcavano in fila fuori dalle discoteche. Il manichino girò per tutto il quartiere, per tutti i locali, per tutte le birrerie, le enoteche e le cosiddette associazioni culturali che il quartiere offriva. Faceva un freddo bestiale, ma dappertutto c’erano corpetti neri, gonne di tulle, cosce scoperte, stivali di pelle cosparsi di borchie. Il manichino si fermò di fronte una discoteca, in particolare di fronte al manifesto che sponsorizzava la serata: “The dark rock night” gridava il manifesto. Quell’istinto viscerale si fece vivo di nuovo, quel qualcosa che la guidava e la guidava bene. Decise di entrare. Si mise in fila assieme agli altri ma la cosa non gli dispiaceva. Quello che più voleva era essere trattata come gli altri. Era anche lei, come tutti, una giovane donna, pronta a scatenarsi al ritmo di rock puro e genuino. Un’ora più tardi finalmente si entrò. Era uno spettacolo. Gli uomini erano hipster duri e puri e le donne dark lady con piercing e creste colorate, tutti agghindati rigorosamente di nero. Il soffitto del locale era luminescente, la luce si alternava a sbalzi, prima rosa, poi verde, poi rossa, poi gialla. Era un tripudio. Un urlo della folla diresse la sua attenzione verso il palco. La band aveva fatto il suo ingresso e in men che non si dica un’armonia perfetta di chitarra elettrica, batteria e sintetizzatori, vibrava nell’aria producendo il paradiso. Tutti saltavano e si davano un gran da fare a ritmo di musica. Il gruppo era perfetto, la musica era perfetta. Tutto era dannatamente perfetto. C’era solo qualcosa che mancava. Il manichino si diresse verso i, palco e vi salì sopra. La band continuò a suonare indisturbata finché il manichino non scalzò il chitarrista e lo gettò in terra. A quel punto agguantò la chitarra elettrica, mentre gli altri musicisti continuavano a suonare come niente fosse. In un istante l’intera discoteca era fulminata dall’assolo dark/heavy rock più stupefacente che si fosse mai sentito. Il manichino gli dava giù con una perizia ed un virtuosismo stupefacenti. Il tempo si era fermato. Tutti smisero di saltare e di ballare e guardarono solo il palco. La palla di vetro colorato appesa sul soffitto andò in mille pezzi, le pareti tremarono, i cuori di centinaia di persone palpitarono. Era qualcosa di mai sentito e durò a lungo. Persino il buttafuori, dall’ingresso del locale ebbe un sussulto e interruppe il suo lavoro, allungando le orecchie per sentire quell’assolo sensazionale che veniva dall’interno. Durò cinque minuti buoni, poi il manichino si fermò, per nulla affaticato. Il silenzio totale regnava nella discoteca. In un attimo, il manichinò gettò in terra la chitarra e si gettò sopra la folla che la prese al volo e cominciò a trasportarla, gridando, in preda ad un furore e ad un’adrenalina mai posseduti. Erano stati i cinque minuti che tutte quelle persone avrebbero ricordato per l’intera vita.
Il manichino aveva questa immagina negli occhi. Di lei, trasportata, in alto, da centinaia di persone euforiche e giubilanti, trasportata per tutto il locale, sopra le teste di tutti. La posizione era scomoda, così come le scarpe e l’abito era stretto. – Certo signorina, ma devo prenderglielo dal manichino perché è l’ultimo che abbiamo-. La commessa si avvicinò al manichino e d’un colpo la spogliò. Il manichino si ritrovò nuda, esposta in vetrina e osservata da mille occhi. in quegli occhi dove ancora si rifletteva il ricordo delle sue mani che, suonando, riempivano i cuori di decine e decine di persone.