“IN PUNTA DI PIEDI”
D’improvviso, come un grido nella notte, il dolore la colpì in mezzo al petto.
“Eccolo di nuovo” pensò, e si piegò leggermente su se stessa accostando il braccio sinistro al corpo come a voler fermare con uno scudo l’avanzata di quell’esercito di dolore.
Stette qualche istante così, fissando davanti a sé la vaschetta del lavabo piena d’acqua, i piatti già insaponati accatastati da una parte, quelli ancora sporchi dall’altra, in attesa del loro turno.
Sulla vestaglia, dal petto in giù, fino alla vita, si andava formando una grossa macchia di bagnato per via della mano, gocciolante, serrata contro il corpo. “Eccolo di nuovo!”
Non era la prima volta che la colpiva quel dolore, ma per fortuna durava poco. A volte solo qualche istante, altre volte alcuni minuti. In questo caso si sdraiava sul letto, poggiata sulla parte dolorante, e attendeva con pazienza che le passasse.
Un dolore reumatico le avevano detto e, del resto, il cardiologo aveva confermato che il cuore era posto, perciò non si era più preoccupata. Però ogni tanto tornava e negli ultimi mesi sempre più spesso.
Guardava l’acqua sporca dei piatti nel lavello e le sembrava di stare lì a perdere tempo, mentre aveva ancora tante cose da fare. “Speriamo passi presto!”
Provò a muoversi. Con lentezza tentò di staccare il braccio dal corpo e di mettersi in posizione eretta. Fece un bel respiro… e la spada del dolore la trafisse di nuovo tagliandole in un solo colpo il cuore, i polmoni e l’anima.
Piegata in due, si affacciò all’orlo dell’abisso e vide tutto il dolore del mondo e scoprì la paura del domani senza di lei.
La sofferenza le offuscava la vista e le toglieva il respiro, ogni piccolo movimento le procurava una fitta insopportabile. Ciononostante, cercò di rimettersi in piedi e di raggiungere la porta.
Con grande sforzo, sorreggendosi ai mobili della cucina, alle sedie – ne aveva anche rovesciata una accidenti! – stando attenta a non urtare il vaso di porcellana, era giunta fino all’ingresso, ma lì una nuova fitta la trasformò in una statua di sale.
Rimase alcuni secondi impietrita, a bocca a aperta, e poi si sgonfiò come un palloncino bucato e, a poco a poco, si afflosciò a terra.
Rimase seduta con la schiena appoggiata all’angolo tra la cucina e la sala da pranzo, che era poi anche il soggiorno, la sala giochi, lo studio e la stanza da letto dei suoi figli.
La casa, infatti, era molto piccola e da quell’angolazione – “Curioso!” pensò – riusciva a vederla tutta.
Di fronte a lei c’era la sua stanza da letto, con gli stessi mobili da quando si era sposata, ed erano passati cinquant’anni. Quante volte aveva lucidato quegli specchi? 365 giorni l’anno per cinquanta anni quanto faceva?
Accanto alla stanza da letto c’era il bagno. Si rese conto che non aveva ancora pulito il bagno. Se fosse morta, la casa si sarebbe riempita di gente e lei non aveva pulito il bagno!
Questo pensiero la scosse e cercò di rialzarsi, ma non ci riuscì. Adesso non sentiva più alcun dolore, solo che non poteva muoversi.
L’abisso della paura si aprì di nuovo davanti ai suoi occhi. Tentò di gridare per chiedere aiuto, ma dalla sua bocca uscì solo un rantolo soffocato e un rivolo di saliva amara.
A pochi metri da lei, soltanto pochi metri, sulla consolle di noce scuro tutta intarsiata a disegni floreali, il telefono la guardava beffardo.
Si guardò intorno. Quell’ingresso le era sempre sembrato così piccolo quando la casa era piena delle grida dei suoi figli, quando c’era chi arrivava dall’ufficio, chi partiva per la scuola, chi tornava perché aveva dimenticato le chiavi della macchina, chi telefonava all’amico, chi piangeva per un capriccio, chi faceva cadere la busta del latte, chi non trovava i calzini, e chi la baciava ogni volta che entrava e usciva. Era stato affollato quell’ingresso, di vita e d’amore.
Forse, con un piccolo di sforzo, non appena si fosse ripresa un po’, avrebbe potuto raggiungere il telefono e chiamare sua figlia Lucia, che l’avrebbe portata all’ospedale e tutto sarebbe finito bene.
“Ma Lucia è al lavoro, dovrà chiedere un permesso, e poi deve andare a prendere la bambina. E come farà dopo? Venire tutti i giorni all’ospedale per assistermi, potrebbe essere una cosa lunga, dovrà trascurare la sua famiglia e in ufficio saranno seccati per le sue assenze”.
Pensò allora di chiamare Simone.
“E il negozio? Se manca lui si ferma tutta l’attività, i commessi approfitteranno della sua assenza per non lavorare e lui sarà nervoso pensando ai clienti che perderà”.
Prese la sua decisione.
“Non se ne fa niente, non chiamerò nessuno. Me ne starò qui buona, buona aspettando che passi. Ecco, adesso mi passa. Mi passa”.
Fu Simone a vederla per primo e la trovò così, seduta in terra, in quell’angolo di corridoio che era la prima parte della casa che si vedeva entrando dalla porta d’ingresso.
Le gambe allargate, le braccia abbandonate in grembo con le palme rivolte verso l’alto, la testa reclinata sulla spalla sinistra, gli occhi aperti, la bocca appena socchiusa.
Sembrava una bambola di pezza con una strana espressione di stupore dipinta sulla faccia.
Se ne era andata così, in punta di piedi, senza disturbare nessuno, come era sempre vissuta.
NUOVE VEDUTE
Quando cambia la stagione
i sentimenti si vestono di nuovi colori,
aprono le finestre e si stupiscono,
guardano, ascoltano
e ridono di cuore.
Si ricoprono di piume variopinte
e si mettono a volare.
S’immergono nelle acque più profonde
per risalire, e ritrovare il cielo.
Ballano fino all’alba
coi fiori tra i capelli
a piedi scalzi
per sentire la terra più vicina,
stretti stretti
finché i cuori si toccano
e le anime si fondono
e tutto sembra vero e tutto appare chiaro
l’amore quanto l’odio
la gelosia come una malattia
la tenerezza che fa tremare il cuore
il rancore da cancellare
il rimpianto a braccetto con la vecchiaia
l’affetto accarezzato a lungo
la gratitudine specchiata dentro gli occhi
la gioia con il vestito nuovo
il rimorso chiuso a chiave nel cassetto
la speranza per non morire.
Quando cambia la stagione
la consapevolezza pettina i capelli bianchi
e mette in ordine le sue bambole di pezza.