Intervista di Gianluca Clerici
Interviste che fanno bene al cuore e alle orecchie. Uno dei pochi casi in cui l’intento di questa rubrica viene celebrato a pieno. Ritroviamo OTTODIX in occasione della ristampa del fortunato “Micromega” che oggi si presenta anche in una elegante edizione in vinile. Un disco sociale in tutto e per tutto per quanto le allegorie futuristiche di Alessandro Zannier giochino a vestire i suoni e la realtà di scienza e fantascienza. Ed è questo viaggio alla scoperta dell’uomo sul pianeta che stiamo pian piano uccidendo, pensando prima di tutto alla nostra distruzione – sociale prima e fisica poi. Seguito dal grande Flavio Ferri eccovi un disco digitale e robotico ma anche, a buon diritto, un disco di un vero cantautore. Bellissima questa intervista di Just Kids Society:
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Domanda complessa. Credo che ognuno in cuor suo abbia una sua soglia della decenza personale, oltre la quale non svilire il proprio prodotto artistico. C’è chi ha una soglia più alta e chi più bassa. Dipende anche da quanto talento e quanto prurito una persona abbia in origine, in termini di cose da dire o da sperimentare con la propria arte. Di solito, meno ne hai, più facilmente alla lunga cedi al “mestiere” e alle sue gratificazioni economiche, appena le assapori. E’ del tutto legittimo, ma sottolinea la differenza tra i troppi artigiani e i pochi artisti veri. Quelli che sentono di tradire il patto fatto con il diavolo, con il proprio io fanciullesco, quelli che se hanno fatto una marchetta si rigirano tutta la notte, ecco, quelli sono gli artisti. Gli altri tendono o tenderanno volentieri all’artigianato, a trovare un loro sistema lavorativo, a standardizzare il proprio manufatto lasciando una parvenza, una patina di creatività, che tuttavia rimane mestiere. Poi ci sono i pochissimi artisti veri e talentuosi che trovano la quadra economica, intercettando un mix di contesto storico, contatti giusti, fortuna, strategia, tutti funzionali alla propria specifica produzione. Lì sia siamo di fronte al genio.
Credo di appartenere alla categoria degli artisti idealisti che hanno rifiutato molti compromessi pur di non svilire la propria identità, creandosene una a costo di rimanere outsider, ma purtroppo non mi ritengo tra questi pochissimi eletti che hanno saputo far quadrare la propria originalità con un brand venduto a peso d’oro. Mannaggia a me.
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Questo è un cane che si morde la coda temo. La crisi culturale è la causa e va indagata su ampia scala, dall’edonismo anni ’80 in poi, sempre più in caduta libera. Via via che le generazioni si sono impoverite culturalmente ci siamo trovati ad avere un pubblico meno esigente e radio gestite da gente a sua volta con meno esigenze di divulgazione culturale, che quindi ha propinato le cose più easy o di comodo, idem magazine o altri mezzi di comunicazione. Tutto questo, pubblico, giornalisti, dj, ecc fanno parte di un popolo, ne sono la manifestazione diretta, purtroppo. Difficile capire quali siano causa o effetto. Diciamo che reciprocamente si trascinano l’un l’altro nel burrone. Temo che si chiami avvitamento. Quando si innesca ci vuole un effetto deflagrante per interromperlo, ma non saprei davvero quale. Non è un caso che sempre di più, anche il pubblico di oggi si rifugi nella musica datata, spesso enormemente più di livello di quella attuale, non per una questione di nostalgia, gusti o tendenze, ma proprio per tecnica, melodie, capacità compositiva, testi, classe. Qualità, quella cosa senza tempo che è applicabile a tutto trasversalmente e che la annusi anche in una canzone trap, se è il caso. Ma guarda caso, è sempre meno il caso.
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Come dicevo poco fa, scendendo di livello sia pubblico che divulgatori, il passaggio dalla seconda opzione alla prima è inevitabile. Una volta la seconda opzione era quella dominante e fungeva da stimolo per gli ascoltatori, oggi la divulgazione serve per appiattire e creare standard invalicabili. Più di una volta con la mia promo radio ho ricevuto i complimenti dai selettore di importanti radio e network per i singoli presentati, tuttavia non trasmessi perché non rispettavano gli standard di arrangiamento e di mastering o di fruibilità tecnicamente accettati. tradotto: devi farti produrre i brani con quella cassa, quel rullante, quel basso che va, quell’effetto sulla voce, quella cantata indie-stanca, possibilmente da quei 4 produttori che vanno ora, tutto deve passare per quegli imbuti. In mezzo a questa calma piatta di proposte chiunque cerca un minimo di talento o di originalità a cui aggrapparsi per distinguere una cosa dall’altra. Quando sento anche miei colleghi entusiasti in modo imbarazzante per certe schifezze spacciate per aria fresca a Sanremo,vedo l’effetto di tutto questo. L’accontentarsi del meno peggio. Dopo aver ascoltato dieci canzoni di merda, appena niente niente una ha un guizzo, viene acclamata come capolavoro. No, è la campionessa tra le canzoni di merda, ricordiamolo sempre: capolavoro se accostato a quel contesto. Se la porti in serie A (ammesso che ne esista ancora una), rimane una canzone di merda. Questo concetto viene spesso perso di vista e sembra quasi una manovra mirata di ipnosi collettiva.
OTTODIX torna piacevolmente tra le nostre righe. Dunque questo disco di cui avevamo parlato oggi è in vinile. In qualche modo è una resa alle mode del mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
È una resa alla morte del cd, innanzitutto. Poi è un amore dichiarato per il concetto di album, di cui io, scrittore di concept da 10 anni, sono uno dei più fervidi sostenitori da sempre e poi, vista la natura senza tempo dell’album con le sue tematiche poetico – scientifico-filosofiche, aveva bisogno di una veste “classica”, da avere in una teca, biblio o disco che sia. Un oggetto da consultare come un libro. Era il momento di farlo, ritengo Micromega un disco molto riuscito e della durata ideale per un vinile.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Mantenere la personalità e livello di qualità negli anni, con idee sempre diverse. In sostanza la difficoltà è continuare ad avere nuove idee che tuttavia ti caratterizzino sempre coerentemente come artista in crescita, facendo dire al primo ascolto: “questo, piaccia o non piaccia è Ottodix, lo senti subito, ci scommetto quello che vuoi”.
E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Finora sono fiero di avere mantenuto la mia schiena dritta e di avere lottato con ogni singolo progetto e singolo pezzo. Per ora sono soddisfatto di quello che ho fatto. Non basta mai, non deve bastare. Il giorno in cui mi basterà inizierò a fare il mestiere di me stesso, ovvero l’artigiano invece che l’artista. Sai quante volte mi scopro a fare e arrangiare belle canzoni che anni fa avrei pagato per riuscire a scrivere, e che ora butto nel cestino? Sempre di più. Perché mi rendo conto che quella tipologia di canzone, ormai la so fare, l’ho già fatta e in un modo soddisfacente. Se faccio cose simili sono solo surrogati, sanno di comodo, di autocompiacimento e alla lunga mi annoiano. Tengo solo brani che abbiano qualcosa , un ingrediente inedito per me, che mi faccia sentire ancora a rischio, in territori o soluzioni da esplorare.
Finito il concerto di Ottodix: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Beh, voglio tanto bene e ne ho voluto ai Depeche Mode, ma non li vorrei più sentire alla fine dei miei show. Credo che un mix di elettropop e elettronica soundtrack andrebbero bene, ma anche del sano trip hop scuola Bristol.