Un romanzo a ritroso: Gianluca Del Chicca e “Quel dolorino in basso a sinistra”
A cura di Gianluca Clerici
Autobiografia o romanzo, la strada è lunga ed il confine è assai sottile. E poi l’adolescenza che non finisce mai quando alla vita si chiede di evolversi in modo un po’ randagio, tra amori ancora da definire e un mestiere che si deve ancora scoprire. Quel certo modo di sbarcare il lunario, la vita ormai quotidiana di noi che andiamo a Londra, i pub, la musica, le avventure del cuore e quelle della pelle, lasciare la propria città. Gianluca Del Chicca pubblica “Quel dolorino in basso a sinistra”, edito da Biblioteka Edizioni: un romanzo breve che scorre con una ritmata scrittura pop, se mi si concede il termine. Di certo non ha presunzioni e non ha scossoni di stile e il vero valore aggiunto è, forse, solo nella forma a ritroso che il nostro sposa per dipanare il perché di un presente iniziale: seduto, un pensiero, torneranno protagoniste quelle scarpe e la città straniera che vive attorno. Come svegliarsi e far mente locale. Ritrovarsi è un gioco duttile e pericoloso, che svela i contorni del proprio passato come fossero segreti che avevamo nascosto. E accade sempre qualcosa alla vita del protagonista, di Gianluca Del Chicca: chissà se ha imparato la lezione e accoglierà quel dolorino in basso a sinistra la prossima volta che penserà a quale strada prendere. Un romanzo leggero e pulito.
Un titolo assai interessante. Non per spoilerare il romanzo ma sai che, complice la foto di copertina, mi è venuto subito da pensare proprio ad uno stimolo istintivo, ad una percezione, ad un sesto senso?
Sono passati ormai una ventina d’anni da quando un giorno sentii la fitta iniziale, la mia prima relazione un po’ più seria con la ragazzetta dell’epoca era in crisi e il mio colon nella sua parte sinistra cominciò a farmi male. Da allora non ha più smesso, qualsiasi problema, pensiero, tensione, stress si fiondano su quella parte del mio corpo attraverso un dolore intermittente, e finchè la causa scatenante non si esaurisce basta che ci pensi ed ecco che il dolorino sopraggiunge!
Direi che quelle presenti nella domanda sono tutte terminologie esatte, somatizzando l’ansia in basso a sinistra il mio colon è ormai diventato una specie di sesto senso, e il dolorino la percezione di un problema in atto o in arrivo, con la foto di copertina a rendere bene quell’idea di agitazione presente nel titolo…
E mi fermerei ancora sulla fotografia che hai scelto per la copertina perché è davvero ben fatta. Così su due piedi potrebbe sembrare un tentato suicidio, un romanzo su problemi sociali, magari anche depressioni o altro. E invece questa foto è ricca di adolescenza, di energia, di voglia di vita. Come nasce?
C’è voluto un po’ di tempo prima di arrivare alla foto giusta; la casa editrice inizialmente aveva proposto fotografie più incentrate sul rapporto di coppia. Però non è un libro prettamente basato sulle relazioni, c’è altro, un mix di sentimenti ed emozioni, bisognava trovare una copertina che lasciasse aperta la strada a diverse interpretazioni, ed ecco che siamo arrivati a quella foto. Mi piace perchè appunto non è interpretabile, dà l’idea di precarietà ma anche di sospensione, le gambe sono penzoloni, la persona è forse in bilico ma non è detto, chissà; potrebbe richiamare problemi sociali ma anche appunto energia, slancio, voglia di soffermarsi un attimo e guardare più in là, pensare, ed è questo il messaggio che si è voluto dare con quella foto.
Un romanzo non tanto corto ma neanche così lungo. Ci racconti la genesi? A quanto pare sei partito dalla fine…
Si, sono partito dalla fine per arrivare all’inizio della storia che si svolge infatti a ritroso nel tempo. E’ successo abbastanza per caso in realtà, nel senso che non avevo pianificato questo tipo di struttura inizialmente ma ero solo convinto di scrivere finalmente un romanzo, ne sentivo l’esigenza, ed insieme a quella voglia e a un portatile la mia prima vigilia di natale a Londra me ne andai da solo in una taverna, non conoscevo ancora praticamente nessuno e non trovai nessun posto migliore dove andare.
Sedutomi in un tavolo isolato aprii il computer ed iniziai a leggere un racconto scritto anni prima, probabilmente il mio miglior racconto, certamente quello che mi aveva coinvolto di più, e da lì, da quella taverna prese il via il romanzo, non così lungo ma nemmeno tanto breve perchè è dovuto partire dalla fine per arrivare ad una giornata di tanti anni prima…
In questo magazine parliamo di musica ed è ora che ci racconti davvero nel dettaglio l’incontro con gli Oasis…
Eh si, è successo nell’estate del 2002. Avevo iniziato a lavorare in un pub irlandese in pieno centro a Firenze da nemmeno due settimane, e come ultimo arrivato avevo il turno peggiore in cucina quella sera. Ero indaffarato a lavare delle cose quando un collega entra e mi dice di guardare al bancone del bar attraverso l’apertura che collegava cucina e sala; mi affaccio e sulla destra c’è Noel Gallagher che sorseggia una birra! Gli Oasis avevano in programma un concerto a Lucca ma soggiornavano a Firenze, ed essendo il loro albergo in zona erano venuti nel pub più vicino per un drink; rimasero fino all’orario di chiusura, e non si fecero poi problemi a venire a casa di un gruppo di ragazze americane nostre amiche e clienti a continuare la serata, tutti tranne Noel, che fece ritorno in albergo.
Liam era ovviamente l’attrazione principale, circondato da tutte le ragazze presenti e sempre tenuto d’occhio dalla guardia del corpo, per cui passai praticamente tutto il tempo seduto nel corridoio a bere e chiacchierare col batterista, Alan White, il fonico e un altro paio di amici. Nonostante le grosse barriere linguistiche riuscimmo a parlare di diverse cose, spesso mi faceva il verso in italiano, e a un certo punto mi offerse la sua camicia, a righine bianche e celesti, bellissima, ma come finì è scritto nel capitolo 18!!
Restiamo sul concetto musica. Un po’ come Murakami, scusa il paragone presuntuoso, ma anche in questo romanzo l’ho trovata come un elegante condimento, per niente invasivo… non è così?
Non è un romanzo che si basa sulla musica o ruota su di essa, questo è certo, per cui è certamente un condimento non invasivo. La musicalità del testo invece è un qualcosa che ho cercato di curare, il ritmo delle parole, delle frasi, la punteggiatura, in modo da creare un flusso lineare e scorrevole durante la lettura.
Se poi prendiamo la parola musica in senso figurato come suono o voce gradevoli all’ascolto, allora comincia ad assumere un significato più profondo e importante, i rumori e i suoni della natura, della città, di tutto ciò che ci circonda spesso nel libro emergono in tutta la loro forza…senza dimenticare a volte anche la presenza del concetto classico di musica, mi viene in mente la colonna sonora di quello spettacolo ad Amsterdam citato nel romanzo!
Raccontare la tua vita in un qualche modo. A cosa è servito? Parlo da un punto di vista personale…
Lo scrivere questo libro è stata appunto prima di tutto un’esigenza personale, a un certo punto ho sentito la necessità di ripercorrere certe tappe e determinati episodi a distanza di anni, ripensare a situazioni che evidentemente mi erano rimaste impresse e che ho voluto in qualche modo rivivere. Per forza di cose c’è anche una percentuale di romanzato, durante la stesura ho dovuto arricchire la trama con un po’ di fiction, è comunque una percentuale relativamente bassa.
A cosa è servito? Personalmente a coronare il sogno nel cassetto del mio primo romanzo, e poi a capirmi meglio, a rivedere certe cose con il giusto distacco e un diverso peso, rendendosi conto dell’influenza che possono avere avuto certe scelte e di come al tempo posso aver reagito a determinate situazioni.
Hai riletto mai questo libro col senno di poi?
Sinceramente no, l’ho dovuto leggere così tante volte durante la fase di preparazione, spedizione e correzione bozze che poi me ne sono tenuto alla larga!
Ogni tanto mi rileggo qualche pagina o frase, quello si, mi vengono in mente delle cose e voglio ritrovarle nel libro, ma penso che a breve lo rileggerò tutto, riguardarselo in maniera più distaccata può essere un buon esercizio per migliorare, mettere in atto un’analisi critica e magari dare il via ad una nuova opera…