Intervista di Gianluca Clerici
Torniamo a parlare di folk. Torniamo a spegnere le luci e a fare il pelo ai cliché americani, quelli che ci teletrasportano immediatamente on the road, tra momenti di estrema intimità e di pulita verità. Chicco Bedogni riporta a casa da una piccola tournée tra Giappone e Italia, la verità dei suoni acustici e con la direzione artistica di Luca Serio Bertolini dei Modena City Ramblers porta a casa un lavoro di straordinario impatto emotivo che intitola “To the Moon”. In primo Ep di 6 inediti che poco hanno a che vedere con il suo rock alternativo degli AmpRive. Oggi si fa chiamare LUPO ed è suono che attinge alla nuova scuola folk, da Williams Fitzsimmons fino ad arriva a Dylan… che lui come i Beatles lo si ritrova quasi ovunque. Guardando alla Luna rubiamo quattro chiacchiere con LUPO… con Chicco Bedogni…
Un Ep per iniziare un nuovo percorso. Lasciami fare una domanda metaforica: vuoi arrivare sulla Luna?
Certo: come Astolfo vorrei andare sulla Luna per recuperare il senno dei miei conterranei che in questi giorni pare proprio smarrito…
La Luna è il simbolo perfetto della trascedenza. Contemplandola i pensieri si fanno profondi e diventiamo filosofi o romantici a seconda del contesto. Nonostante le infinite sollecitazioni che subiamo ogni secondo la capacità evocativa del satellite terrestre rimane per me impareggiabile.
La produzione di un maestro della canzone folk come Luca Serio Bertolini. Ma lui, con i Modena City Ramblers, ha una radice più irlandese mentre questo disco è americano. Come vi siete trovati?
Il Betta (Luca Serio Bertolini) è prima di tutto un amico. Gli ho chiesto di curare questo progetto perché è un musicista estremamente eclettico, dotato di grande curiosità e sensibilità musicale. Inoltre è un autore dotatissimo, un fonico esperto e un produttore molto paziente. Aveva tutto quello che serviva a me che ero tanto pieno di idee quanto di dubbi su come metterle in pratica. Se il disco funziona lo devo in gran parte a lui, che in effetti oltre al folk irlandese ha divorato musica dei generi più disparati.
Tanto Giappone che ti ha visto live. Ha contribuito alla scrittura dei brani?
Ogni volta che mi fanno questa domanda mi sento quasi spiazzato nel dover ammettere di aver ascoltato pochissima musica giapponese nella mia vita. Ho suonato e suono tanto in Giappone, spesso accompagnato da musicisti giapponesi (a proposito, se qualcuno dei lettori si trovasse a Tokyo il 9 giugno suonerò in un bel localino a Shimokitazawa…), ma non posso dire di aver subito l’influenza della loro musica. Come tanti di loro però, come ad esempio nel bravissimo Masaki Batoh, ho il mito degli anni ’60 e ’70 e rimpiango molti musicisti europei e americani di quel periodo.
Che esperienza è stata? Da Italiano come l’hai vissuta e come sei stato accolto?
Vado a Tokyo molto spesso ormai da tanti anni e nel 2017 ho avuto la possibilità di viverci per due mesi. E’ in quel periodo che ho arrangiato i brani di To The Moon: la sera rientrando dal lavoro mi fiondavo in studio a lavorare sui pezzi e anche in casa avevo sempre la chitarra in mano…
È stata proprio una full immersion notturna nella musica acustica. I giapponesi amano l’Italia ma in fondo conoscono poco gli italiani e questo per noi è una grande fortuna.
Devo dire che sono sempre stato accolto benissimo in tutti i locali dove ho suonato. Là ho tanti amici musicisti e con loro, grazie anche a Grand Tree House Records (mia etichetta giapponese) sto cercando di creare una sorta di collettivo musicale che li aiuti a fare gruppo (cosa che in generale risulta loro abbastanza difficile).
Le registrazioni sono “antiche” nella filosofia. Tutto rigorosamente in presa diretta, se non addirittura live. Perché questa scelta?
Come ti dicevo il riferimento principale del disco sono gli anni ’60 e ’70, epoca analogica, quando lavorare in post produzione era un lusso per pochi e la musica andava suonata. Per me il folk è questo e da qualche anno non riesco a trovare altro modello di performance.
Nessuna sovra-incisione o trucco di editing?
Di trucchetti ce n’è più d’uno e la magia sta nel tenerli nascosti…
Una curiosità: in VINILE… questo suono dovrebbe stare su un vinile. Ci hai pensato?
Hai ragione: anche io ce lo sento molto. Ne abbiamo anche parlato con Riff Records (la grafica di copertina è stata pensata per quel supporto) ma alla fine non me la sono sentita. Questo disco in fondo è solo il primo passo di una ricerca musicale a cui arrivo da solista dopo anni in band dove ho suonato tutt’altro: mi sento ancora in pieno apprendistato.
Nell’ottica del disco futuro pensi che cambierai un po’ la formula oppure resterai intimo e acustico?
Sto pensando seriamente ad un secondo EP di matrice più ritmica, un disco “diurno” e corale che dia spazio alle valvole e ai pick up magnetici. Il vinile potrebbe chiudere il cerchio raccogliendoli entrambi.
…ma c’è ancora tempo: non ho ancora esaurito la voglia di cantare alla luna!