RECENSIONE: Niccolò Fabi – Tradizione e tradimento

Recensione di Jacopo Lorenzon

Niccolò Fabi, Tradizione e tradimento. Un commento

Come si fa a ripartire dopo essere finalmente giunti a quel punto, vero o immaginario, che ci si era posti come traguardo? Una volta che ci si è fermati, una volta che ci si è guardati indietro e si è visto un percorso iniziato venti e più anni fa. Una volta che ci si è resi conto che il culmine è stato appena raggiunto, che una vita di lavoro ti ha portato fino a quel momento, così intenso e così breve. Un momento ormai già passato. Com’è che si va avanti, poi?

foto di Chiara Mirelli

foto di Chiara Mirelli

A sentire Niccolò Fabi, si direbbe che la nascita di Tradizione e tradimento abbia dovuto fare i conti proprio con questo nodo da sciogliere. Ed è facile credergli, perché è certo un compito ingrato per un disco dover seguire quel capolavoro di Una somma di piccole cose, fresco che sembra uscito ieri ma che spegne già tre candeline. Per stessa ammissione di chi lo ha creato, Una somma di piccole cose ha rappresentato l’unico caso, nella decina di lavori che va a comporre la discografia, in cui il momento del rilascio non ha coinciso con quello dell’insoddisfazione, della voglia inappagabile di rifare, rimettere tutto in discussione e stravolgere. E quindi, di ripartire con l’obiettivo di migliorarsi, di alzare il tiro. Quella volta no: con quel disco Fabi si è sentito definitivamente in pace con il proprio lavoro, come se in fondo non fosse proprio possibile fare di meglio con quel tipo di scrittura e con quel tipo di sonorità. E vorrei ben vedere: stiamo parlando di uno dei dischi più importanti che la nostra musica ci abbia regalato negli ultimi (quanti? Troppi, comunque) anni. E però, ecco il nuovo problema: come ripartire?

Posta l’esigenza intima di continuare ad alimentare il bisogno creativo, di raccontare e sempre esorcizzare quanto ogni giorno lo circonda, per l’artista soddisfatto il rischio della sazietà può diventare enorme. Necessità primaria diventa dunque trovare nuovi percorsi per riuscire tanto a sfogare l’impulso in modo sincero, credibile ed efficace – anzitutto per sé stesso, quanto a regalare al proprio pubblico un prodotto che sappia raggiungere (e superare, magari) un’asticella posta ormai così in alto. Il tutto senza creare doppioni. Insomma, mica una roba facile.

foto di Vito Frangione

foto di Vito Frangione

E allora: come ha affrontato tutto ciò Niccolò Fabi? Semplice: ha fatto i conti con il proprio metodo, con il proprio modo di concepire la creazione della propria musica. E lo ha messo in discussione al punto di pensare – almeno inizialmente – di stravolgerlo. Per un cantautore abituato a scrivere (e che ci ha abituati ad ascoltare) canzoni in modo tradizionale, nate verosimilmente da una chitarra o da un pianoforte, questo ha voluto dire esplorare un mondo diverso, che in questo caso ha coinciso con quello immenso della musica elettronica. Non solo nelle sue sonorità, apparentemente così lontane dalla sua produzione precedente, ma anche e soprattutto nell’approccio e nella ricerca di un tessuto sonoro nuovo.

Ci troviamo dunque di fronte ad un Fabi irriconoscibile e stravolto in chiave ipermoderna? No, nient’affatto. Si sente benissimo: non è così. Anche perché, a sentire lui, nonostante tutte le migliori intenzioni quella del voltare pagina in modo drastico sarebbe stata una scelta innanzitutto infruttuosa: non avrebbe avuto senso incastrarsi a tentare avventati contorsionismi per il solo capriccio di fare qualcosa che non si è mai fatto, per poi trovarsi magari a rigirare tra le mani un prodotto monco che qualcun altro (chi quei mezzi li padroneggia davvero, e da sempre) avrebbe inevitabilmente fatto meglio. Un lavoro non proprio.

E allora che fare? Semplice: Niccolò Fabi ha raccolto tutto questo lavoro ancora sconclusionato e informe e lo ha ripreso, lo ha plasmato utilizzando gli strumenti e le modalità che padroneggia perfettamente, e che nel tempo gli hanno dato la consapevolezza lucida di essere uno che le canzoni le sa scrivere per davvero. Con Tradizione e tradimento ci si trova di fronte a un lavoro in cui le sonorità tradizionali si trovano ad ospitare tessuti nati da pura sperimentazione elettronica, e viceversa. Quello che è nato da questo incontro è un disco in cui ingredienti che si potrebbero credere difficilmente amalgamabili vengono accostati in modo interessante e a momenti sorprendente. Un’operazione che, a prima vista, sarebbe potuta magari sembrare anche troppo audace, e che si traduce invece in un risultato capace di dare all’ascoltatore sensazioni non violente ed eppure inaspettate. Sensazioni in cui in certe atmosfere si nascondono e altre si trasformano, o in cui aleggiano spettri che a volte mettono in discussione anche le interpretazioni apparentemente più chiare suggerite dai testi. Questo approccio compositivo si nota in modo più o meno forte a seconda dei diversi momenti dell’album, e sembra andare e venire, sparire e riproporsi anche durante uno stesso brano. Quello che si sente, ascoltando Tradizione e tradimento, è una voglia di sorprendersi senza necessariamente dover ricorrere a strappi e forzature volte a stupire per forza, e senza dimenticarsi di quello che c’era prima. Perché quello che c’era prima, la tradizione, c’è ancora. Solo che qui viene posta sotto una luce nuova, che le dà una freschezza diversa.

Foto di Chiara Mirelli

Foto di Chiara Mirelli

Insomma, Fabi ha avuto il coraggio di tradire la propria tradizione. Ma quello che ha tentato è però un tradimento ragionato, non di pancia: è proprio la messa in discussione delle proprie certezze ad essere il motore creativo del disco. Tradizione e tradimento non nasce quindi solamente dall’innovazione: quello che rende il tutto così interessante è proprio il continuo oscillare tra l’esplorazione e il ritorno, tra la ricerca e la certezza. Ciò che smuove durante l’ascolto è proprio l’identificazione di questo equilibrio instabile, e il non riuscire a distinguere le due anime in modo netto e contrapposto. Un intrecciarsi che non ha e nemmeno vuole trovare una parte dominante, perché è proprio in questa contraddizione continua che si sente la vera vitalità di questo lavoro. Un lavoro che, proprio perché vivo, non ha paura di provare a lasciarsi andare. Un lavoro, certo, in cui qualche sbavatura o piccola imperfezione si sente, a dire il vero. Ma sono sbavature che si riesce a perdonare più volentieri proprio perché contribuiscono paradossalmente a rendere il quadro complessivo più credibile, più spontaneo.

In definitiva, Tradizione e tradimento non è Una somma di piccole cose. E meno male. Fortunatamente è un album diverso, che ha una propria dignità e che è riuscito velocemente a farsi scivolare addosso il peso del compito che inevitabilmente (purtroppo!) gli era stato assegnato. E dunque: Tradizione e tradimento merita il tempo di essere conosciuto e compreso. Merita anche un po’ di benevolenza. Soprattutto, le sue canzoni meritano che venga data loro la possibilità di provare a fare affezionare chi le ascolta.

E quindi, perché no: diamogliela.

CREDITS

Scritto e registrato tra Roma e Ibiza. Produzione artistica Niccolò Fabi, Roberto Angelini, Pier Cortese.
Collaborazioni: Costanza Francavilla, Yakamoto Kotsuga, Riccardo Parravicini, Daniele mr Coffee Rossi, Fabio Rondanini, Max Dedo.

Foto scattata da Fabi in Mozambico

Foto scattata da Fabi in Mozambico

Niccolò Fabi – Tradizione e tradimento

(2019, Universal Music.)

TRACKLIST
Scotta
A prescindere da me
Amori con le ali
Io sono l’altro
I giorni dello smarrimento
Nel blu
Prima della tempesta
Migrazioni
Tradizione e tradimento

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