Intervista di Gianluca Clerici
Un disco difficile e sicuramente fuori da ogni cliché e canone mediatico. Un lavoro che dalla sua sa come giocare col peso poetico, culturale e stilistico di un suono che dalla classica incontra l’elettronica e la forma canzone standard, con una voce che dalla lirica incontra il costume pop e con testi che nel loro divenire cullano grande spiritualità ma anche di bellezza quotidiana. Paola Massoni, scrittrice ma soprattutto cantante lirica, interprete ma anche – e qui per la prima volta – autrice e cantautrice, ci regala il suo occhio romantico nel dipingere il mito di Mélia, qualcosa che sta in bilico tra finzione e realtà. Ascoltare questa lunga tracklist di “Alkemélia” è un’esperienza che mette a dura prova chi è armato dei soliti pregiudizi che ormai sono radicati in noi. Tuttavia ci si ricrede, complici una grazia che non vuole avere misura. Una produzione raffinata che in tutto sembra vestirsi di colori pastellati, restituisce canzoni godibili e per niente volitive, canzoni dal peso più di quanto siamo abituati a concepire in questa epoca del tutto e subito e soprattutto da un disco che di base vuol dialogare con i dettami del pop. Ad un lavoro così difficile rivolgiamo le consuete domande di Just Kids Society pescando un punto di vista che fa bene al cuore e all’anima della bella musica italiana.
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
Penso che l’interesse ci sia ma sia disperso, distratto, superficiale, almeno nella maggior parte del pubblico; è vero anche che il linguaggio sta cambiando e probabilmente riesce chi si adegua velocemente o usa nuove modalità.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
Questo disco si distingue dal sistema perché ha una propria personalità, si ritaglia una via diversa dalla classica, dalla lirica e dal pop, si fa portavoce di contenuti spirituali attraverso un linguaggio vicino alla musica colta ma ricco di melodie facili, orecchiabili, facilmente riconoscibili. Direi che rappresenta un punto di incontro tra generi musicali e in una società sempre più diffidente e divisa, può essere un interessante specchio di una musica che non vuole separazione, ma accoglienza.
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
Quando scrivo testi o compongo musica, non riesco a farlo pensando unicamente a cosa vorrebbero gli altri, non sarei spontanea e verrebbe fuori qualcosa che non è sincero. Certamente l’ottimo sarebbe trovare un giusto compromesso. Scrivere solo per se stessi non gratifica completamente. Farebbe piacere condividere. Quando gli altri si riconoscono, almeno in parte, in ciò che ascoltano, si è raggiunto l’obiettivo.
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
Bella domanda. Necessaria direi. Posso rispondere per quanto mi riguarda. Mi farebbe molto piacere trovare riscontro positivo, risonanza nel pubblico, questo mi permetterebbe di continuare a investire economicamente nel mio lavoro artistico. Detto questo, è chiaro che io non faccio la musicista perché ci guadagno, ma perché è ciò, insieme all’amore per i miei cari e per la vita, chi mi spinge ad alzarmi la mattina e a dare un senso a ciò che faccio. Dire onestamente cosa si fa, pubblicizzare un lavoro frutto di tanto impegno non lo chiamerei pavoneggiarsi, ma rendere noto un evento affinché ci possa essere partecipazione. Senza gli altri, un artista rimarrebbe chiuso nel proprio studio a sperare che venga scoperto chissà quando. Tutto ciò che è esagerazione, distorsione della verità, non mi piace e mi auguro di non farlo mai.
Il mondo classico e quello popolare. Elettronica e vedute altre. Cosa davvero esiste e quello che davvero hai sognato. Il tutto senza tradire le aspettative di una didattica piuttosto che dell’altra. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?
La vita di tutti i giorni può essere banale o straordinaria, dipende dagli occhi con cui la guardi e dallo stato d’animo con cui la vivi. In questo disco descrivo la vita di tutti i giorni osservata da un punto di vista stra-ordinario: fuori dal comune sentire, cosa che riesci a fare sia entrando in profonda comunione con l’essere, sia distaccandoti dalla realtà stando a qualche metro di altezza. La musica e la poesia riescono a fare questo.
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
Io trovo che in Italia almeno si dovrebbe dare più valore alla professione del musicista, del cantante, del poeta, del professore, del filosofo, del ricercatore, insomma di tutte quelle personalità che studiano la realtà e ne danno una chiave di lettura fondamentale per la difesa e la costruzione della nostra società. Favorire gli incontri, i concerti, le letture, il teatro, tutto ciò che è arte dal vivo. Per quanto riguarda la mia esperienza quando riesco a parlare, a suonare, a cantare e a portare la mia opera ad un pubblico che è lì ad ascoltarmi, il messaggio arriva e anche l’emozione. C’è pubblico e pubblico, è vero, più o meno numeroso, ma l’importante è che ci sia. I vertici, la politica, dovrebbero investire nell’arte che costruisce e non solo in quella che distrugge.
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: finito il concerto di Paola Massoni, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Io faccio sempre mandare uno dei brani che non ho eseguito in concerto: Meraviglioso è sentire in me… quell’emozione che amore è. Sempre, sempre, nel segno dell’amore.