Intervista di Gianluca Clerici
Ritroviamo la cantautrice toscana Silvia Conti, ritroviamo la produzione artistica di Bob Mangione e la produzione di Gianfilippo Boni. Ecco il nuovissimo singolo che sposa questa linea blues ampiamente celebrata dal suo ultimo singolo “L’incrocio del diavolo”. Oggi però il tema portante è l’amore, l’amicizia, il tempo… Silvia Conti esorcizza la morte di Erriquez della Bandabardò in una canzone dal titolo “Il filo d’argento (per Enrico)” scritta di getto, di rabbia e di istinto… noi pensiamo ad un filo d’argento che ci lega e ci blocca i movimenti, strozza il tempo ed il fiato e inesorabilmente si procede oltre. Ma in fondo c’è tanta speranza e luce dentro questo blues dell’anima scritto e cantato da Silvia Conti.
Abbiamo ospitato Silvia Conti spesso nella nostra rubrica. Indaghiamo un po’ più da vicino il suo presente. Che tempo stai vivendo?
Sto vivendo un tempo fermo, come tutti. Quest’ultimo anno è stato strano e inimmaginabile, un po’ come vivere in un film. Abbiamo vissuto tutti al rallentatore, speriamo solo di poterci buttare tutto dietro le spalle e ricominciare, magari meglio di prima.
Questo singolo rispolvera un dolore che certamente non è mai sopito. Arriva oggi per cantare una ripresa, una rinascita?
No, non è né una ripresa né una rinascita, è soltanto un bisogno di tirare fuori un dolore per non lasciarlo a macerare dentro. In questo sono fortunata, la creatività aiuta.
Dai molto il merito alla produzione di Bob Mangione per aver dato un suono a questa tua canzone. Senza questo supporto pensi sia ancora nascosta dentro qualche cassetto o avrebbe avuto comunque una sua vita?
Avrebbe avuto sicuramente una sua vita, è ovvio. Ma Bob riesce sempre a mettere in pratica quello che io ho nella testa, a impreziosirlo, farlo volare alto. In questo particolare caso però la sua scrittura, nel senso di arrangiamento, è pari alla mia perché anche lui aveva bisogno di buttare fuori lo sgomento per la perdita di un amico. Qui le sue chitarre sono l’equivalente delle mie parole.
E questo suono quanto somiglia ad Erriquez, quanto al tuo dolore, quanto a quel filo d’argento?
Non so quanto possa somigliare a Enrico ma di sicuro è il mio, il nostro, dolore che parla. E’ stato quasi un atto indipendente da me la composizione di questa canzone, è uscita, semplicemente. Stavo male e lei si è fatta strada per alleviare questo dolore.
E a proposito: che metafora è quella del filo d’argento?
Non è mai facile spiegare il perché delle parole che si usano; io generalmente scrivo per immagini, per esempio. Il filo d’argento è l’amicizia che ci legava ma anche la fragilità della vita; l’argento perché è bello, brillante e conduce calore e mi ricorda Enrico.
Esiste una connessione tra questo brano e il precedente dedito al blues di Robert Johnson? Blues a parte s’intende…
Ti rispondo tranquillamente di no e il motivo è semplice: avrei voluto non aver mai sentito l’urgenza di scrivere questo brano. Non c’è stato niente di programmato, o calcolato, o organizzato. Non ho scritto questo pezzo pensando al disco ma solo al mio amico, al rimpianto per quell’amico, solo per lui.
Che cos’è il tempo per te Silvia? Domanda inevitabile visto che la canzone si chiede se tutto potesse in qualche modo cambiare…
È una domanda da un milione di dollari…il tempo in realtà non ha nessuna importanza. In questo bisognerebbe prendere a esempio gli animali. Come fa il mio cane, vivere il qui e ora, senza stare troppo a rimuginare su cosa è accaduto o cosa deve ancora accadere. Però non è per niente facile.
E tu cosa cambieresti? Oppure è giusto che ogni cosa vada come “scritto”?
Non ho idea di cosa sia giusto o meno e so che qualunque cosa io volessi cambiare del passato questo non è possibile. Sono già abbastanza nostalgica di mio per aggiungere altra legna al caminetto, se mi passi l’immagine. E non credo neanche che le cose siano scritte, credo che il caso faccia la parte maggiore in tutto.
Ultima domanda: io quando l’ascolto trovo finalmente il peso poetico di una canzone che trova il suo senso nell’esistere e non nel diffondersi (pratica predominante oggi). Su questa mia semplice analisi, cosa mi rispondi? Come la vedi?
Che la vedo come te. Personalmente non scrivo mai tanto per scrivere, dietro c’è sempre un’esperienza, un’urgenza, qualcosa insomma che esiste al di là della strada che prenderà, del suo futuro. Quello che viene dopo, dalla pubblicazione al successo o meno di una canzone, è qualcosa che quasi non ha più a che fare con te. Questo non significa che non mi interessa, è chiaro, ma, almeno per me, la nascita di una canzone è un atto intimo e profondo che trova, come hai detto benissimo tu, il suo senso semplicemente nell’esistere.