Intervista di Las Nenas
Benvenuto Pippo, siamo Elena & Stefy, Las Nenas di Just Kids Magazine. Ė un grandissimo piacere per noi intervistarti! Come stai?
Ciao Elena e Stefy, piacere mio. Come sto? Abbastanza bene, grazie.
A gennaio è uscito il tuo 24° album intitolato Canzoni segrete. Abbiamo ascoltato tutto l’album e da amanti della musica latina non potevamo non far riferimento al brano Scacciaferro, una milonga, in cui canti: “Lo sai che non è più la stessa strada che incrocia i pensieri del passante”. I pensieri, i ricordi, lasciano una traccia indelebile dentro di noi, difficile non averli. Il ricordo ci rende tristi o è un tradimento della natura come scrive Pessoa: “Il ricordo è un tradimento della natura poiché la natura di ieri non è natura. Ciò che fu non è nulla, e ricordare non è vedere”?
Per quanto attiene al pensiero scritto da Pessoa, non mi trovo assolutamente d’accordo. Al contrario di Pessoa, io sono molto convinto che nel passato risiede il segreto della nostra vita. Ritengo che la dimensione temporale del passato sia la più interessante e importante in assoluto, molto di più del futuro che trovo una dimensione estremamente noiosa perché, in fin dei conti, basta aspettare un po’ e poi si vede come andrà la storia. Invece, il passato ha un fascino che consiste nel rivelare, secondo me, una parte del mistero del segreto della vita stessa perché non è detto che il passato si dilegui, ma forse può anche essere una dimensione del tempo che può essere ripercorsa e addirittura rivissuta. Quindi, da questo punto di vista, non mi trovo assolutamente d’accordo con Pessoa.
Ci racconti di più dell’album? Chi ha realizzato la copertina? Abbiamo notato che il disco non è ancora presente su Spotify: è una scelta?
Il disco non sarà mai su Spotify, non sarà mai su nessun’altra piattaforma digitale che sia YouTube, che sia Apple Music o altre. La mia è una scelta politica, potrei intrattenervi per ore in merito. Trovo uno scandalo che la musica e i musicisti si siano adeguati a questa logica, assolutamente folle, della piattaforma digitale, quasi gratuita, e della schiavitù del click che ha finito per svilire le intenzioni dei musicisti e dietro le quali invece c’è un grande lavoro, ci sono impegni, ci sono decine di persone, ci sono anni di sacrifici. Io se vado a comprarmi le sigarette o il pane fino a prova contraria pago. Quindi, non vedo per quale motivo io devo mettere a disposizione, in forma praticamente gratuita, le opere sulle quali ho versato lacrime e sangue. È stata questa una mia decisione molto chiara che ho preso tempo fa con la mia casa discografica. Ho rinunciato a questo molto coscientemente.
La copertina è stata realizzata da Milena Waelder, una grafica di Colonia con la quale ci siamo confrontati per un periodo medio – lungo sul tipo di immagine grafica e anche sul tipo di immagine proprio della copertina da dare al lavoro.
Il disco doveva essere registrato in maniera ordinaria con 4/5 settimane di studio, compreso il mixaggio e invece la pandemia ha stravolto i nostri piani. Alla fine, abbiamo preso mesi di tempo per registrare il disco, per centellinare ogni tipo di contributo, per ragionare sui suoni in maniera più certosina… Credo che tutto questo si avverta.
Sin dagli inizi della tua carriera possiamo trovare un legame con l’America Latina. Pensiamo al gruppo Agricantus e successivamente alle tue canzoni come il Pianista di Montevideo, Divertimento latino, Nòstalgia de tango, Tango per due e Bossa in viaggio. Come ti sei avvicinato a questo mondo, è stato proprio con gli Agricantus?
Vedo che avete notato in maniera molto precisa il mio legame con l’America Latina che è molto forte. Come avete sottolineato, trae origine dal mio primo gruppo Agricantus con cui abbiamo iniziato a muovere i primi passi e con cui facevamo musica latino-americana, la musica per intenderci che venne importata qui in Italia durante gli anni ‘70 dagli Inti-Illimani, il gruppo cileno che fu esule in quel di Roma dal ‘73 in poi per 18 anni.
Noi ci siamo presi questa cotta per la musica latino-americana e da quel momento in poi questa passione non mi ha più lasciato. Conosco abbastanza bene questo continente, ci sono stato diverse volte, conosco tanti musicisti e ho fatto tante collaborazioni con artisti, cantanti e cantautori latino-americani e parlo abbastanza bene lo spagnolo. È un continente verso il quale nutro un grandissimo affetto e con cui mi legano tante esperienze e tutto questo si riflette anche nel canzoniere che compongo e che puntualmente riserva una attenzione particolare a qualche ritmo, qualche argomento, qualche città di quel continente.
Tra le canzoni citate precedentemente e tra tutte le canzoni del panorama musicale italiano, la nostra preferita è Il Pianista di Montevideo. Ci emoziona il tuo passaggio dalla lingua italiana a quella spagnola, che a noi è risultato come un ponte tra le due culture. Ci racconti di più di questo brano contenuto nell’album Bar Casablanca? Come, quando e dove lo hai scritto?
La storia della canzone Il Pianista di Montevideo è presto detta. Era l’anno 2003 e io ho fatto un concerto a Ginevra. Dopo quel concerto insieme al mio gruppo, siamo andati in cerca di un locale dove bere qualcosa e ci siamo imbattuti in questo piano bar, praticamente deserto nel centro della città, e dove in un angolo suonava questo bravissimo musicista. Il musicista, ad un certo punto, fece una pausa e per me è stato naturale andare da lui e parlargli. Ho scoperto che era di Montevideo e lui mi raccontò un po’ la sua storia: aveva studiato musica classica, era diplomato al Conservatorio a Montevideo, città dove però non riusciva a guadagnarsi da vivere e, così approfittando di un’amicizia in Svizzera, venne a fare questo lavoro in questo piano bar dove tutte le sere si esibiva ed era quasi sempre da solo. Lui era assolutamente tranquillo rispetto a questa situazione, non era frustrato e mi diceva: “Io mi guadagno da vivere, io inserisco una sorta di pilota automatico e suono, mi passo il tempo. Durante questo periodo penso alla mia gente in Uruguay”. In realtà non era per niente negativo rispetto alla sua professione in quel piano bar a Ginevra. Questa è la storia del pianista di Montevideo.
In una recente intervista di RaiNews24 del 24/01/2022 hai detto: “Io mi sento un siciliano d’Italia e un italiano d’Europa”. Ci è venuto in mente Sciascia che, molto legato alla cultura spagnola, aveva dichiarato: “C’è stato un progressivo superamento dei miei orizzonti, e poco alla volta non mi sono più sentito siciliano, o meglio, non più solamente siciliano.” Cos’è per te la patria?
La mia patria sono i miei ricordi perché tutto quello che si accumula, che si assembla in questo serbatoio inesauribile, che è la mia esperienza di vita, fa parte del mio percorso, del mio bagaglio, di questa bisaccia di grosse dimensioni che mi porto appresso. Tutti questi ricordi finiscono per essere un pezzo di patria. Non sapevo che Sciascia fosse molto legato alla cultura ispanica o la cultura spagnola pero me gusta mucho la idea que pudiera ser asì porque para mi es lo mismo, no?
Girando per le strade di Brescia si rimane colpiti dall’opera di Stefano Bombardieri: un rinoceronte sospeso. Il titolo dell’opera è il peso del tempo sospeso. Il tempo è per definizione ciò che scorre, quel tempo che noi vediamo scandito dalle lancette del nostro orologio e che tendiamo a dividere in passato, presente e futuro. Bombardieri invece ha voluto dar importanza al tempo sospeso, un tempo che immobilizza, che ha fermato una parte di noi dovuto ad un dolore, ad un momento particolare e che viviamo dentro di noi come un blocco e ben rappresentato da questo periodo di pandemia. Cos’è per te il tempo? E il tempo sospeso?
Bella domanda questa del tempo. Il tempo sospeso lo immagino come una sorta di corridoio molto lungo, senza finestre, abbastanza buio per questo motivo. Un corridoio che ci introduce ad un altro spazio in lontananza e mentre attraversiamo questo corridoio, seppure vediamo la luce in lontananza, non abbiamo l’impressione concreta di quanto sia lungo questo corridoio perché questo tempo è sospeso e ci dà una certa inquietudine, come quello che stiamo vivendo adesso, questa esperienza della pandemia rappresenta una novità. La pandemia ci ha messi in uno stato di sospensione e in cui l’incertezza e l’inquietudine regnano sovrane e le speranze, invece, trovano spazio. Noi ci aggrappiamo alle speranze per riuscire a risolvere questa situazione, che possa, per esempio, a noi musicisti consentire di tornare presto a suonare, ritrovare quel pubblico che abbiamo perso e anche tutto questo fa parte dell’idea del tempo. La vita è una esperienza che, seppure ci renda coscienti della sua brevità, anzi del suo limite, della sua limitata durata, al tempo stesso però mentre viviamo noi dimentichiamo tutto questo e viviamo come se la vita fosse infinita. Questo ovviamente è un inganno, un inganno di cui noi ci avvaliamo per sopravvivere, per riuscire a dare alla vita stessa quell’impulso, quella gioia e quell’entusiasmo di cui si ha bisogno per giustificare la nostra presenza sul pianeta.
Il tempo è una forca. Il tempo è definitivamente qualche cosa che abbiamo bisogno e del cui significato abbiamo bisogno di scacciare via come se fosse una mosca. Forse per questo io sono innamorato del passato perché il passato è infinito. Il passato è qualcosa verso cui io mi rivolgo alla ricerca di questo spasmodico desiderio di infinito che, invece, la vita in quanto tale, mi proibisce di sentire.
Il nuovo cd ti porta in tournée viaggiando tra l’Italia, la Svizzera, la Germania e il Lussemburgo. La prima data è il 28 febbraio a Lugano. Sei emozionato dall’dea di tornare a cantare dal vivo? Quanto ti è mancato il rapporto con il pubblico?
All’inizio della pandemia non avevo alcun patema rispetto al lasso di tempo che ci sarebbe stato fra me e il prossimo impegno dal vivo, pensavo di stare un anno senza suonare e aver modo di fare altre cose interessanti e di cui magari non avevo riflettuto, cose che avrei voluto fare da tanto tempo e che invece non avevo fatto proprio perché mi mancavano gli spazi necessari. Adesso, dopo due anni, però avverto il bisogno di ritornare ad andare in giro, di tornare a fare musica, di stare con i miei musicisti, di cantare e incontrare il pubblico. Sono molto contento e appunto il 28 di febbraio si ricomincia!
Ci puoi parlare della tua campagna di crowdfunding per sostenere il tuo progetto di divulgazione e informazione per legalità attraverso la musica?
Il lancio di questo crowdfunding, per finanziare i convegni intitolati «La mafia trent’anni dopo le stragi. Le verità nascoste e quelle rivelate» che hanno luogo tutti i pomeriggi nei giorni in cui facciamo gli spettacoli, è un progetto molto importante per me. È molto importante perché fin dall’inizio ho rivolto sempre un’attenzione particolare ad argomenti legati alle problematiche del Sud, alle problematiche della criminalità organizzata, tutto ciò visto sotto il profilo politico.
Ho sempre pensato che la grande canzone d’autore italiana abbia colpevolmente trascurato questo argomento e di fatto non se n’è mai occupata più di tanto. Era fatale che un palermitano come me, alla fine, si prendesse la briga di scrivere di tali argomenti nelle sue canzoni e di portarle in giro. A trent’anni dalle stragi ho pensato che forse potesse essere molto interessante organizzare un convegno su questo tema, abbinandolo al concerto serale. Saranno presenti in questi convegni personaggi che hanno dedicato molto tempo della loro vita alla lotta alla mafia e che possono essere senz’altro testimoni di un percorso di lotta, dando il loro contributo rispetto all’argomento che è quello delle verità ancora oggi non svelate sul patto stato – mafia, oggetto di dibattimento e anche del famoso processo che fra non molto vedrà il suo epilogo con la sentenza di Cassazione. Era fatale che fossi io a organizzare una manifestazione del genere.
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Cos’è per te la musica?
Dire che cos’è la musica è molto difficile perché potrei rispondere dicendo che è tutto, che la musica mi ha salvato la vita, mi ha indicato una strada, una strada che non è soltanto professionale, anzi io direi che l’aspetto professionale del pianeta musica è quello meno rilevante. La musica mi ha messo in collegamento con l’Universo, mi ha fatto conoscere migliaia di persone che altrimenti non avrei conosciuto, mi ha fatto sentire una parte importante di questo mondo e mi ha concesso di potere comunicare la mia interiorità e di potere raccontare agli altri tutto quello di cui avevo voglia senza vergogna, senza nessun tipo di patema o di timidezza. La musica è stata tutto questo ed è probabilmente un’autostrada verso il divino per tutti noi ben a prescindere dalla nostra fede se ce l’abbiamo e se non ce l’abbiamo, ben prescindere dal tipo di fede che essa è.
Le prossime date del Tour:
Canzoni segrete Europa tour 2022Pippo Pollina Voice guitar piano
Gianvito Di Maio Keyboards
Fabrizio Giambanco Drums
Edoardo Musumeci Guitars
Roberto Petroli Sax & Clarinet
Mario Rivera Bass & Doublebass
Per ulteriori date, visitare il sito web pippopollina.com
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