LE INTERVISTE DI JUST KIDS MAGAZINE: ORESTE MURATORI

Intervista di Gianluca Clerici

Figlio d’arte, cantautore figlio di questa nuova scena indie che sposa a pieno un dialogo musicale che si trova in bilico tra la classica forma canzone del pop leggero d’autore e i suoni fermi e decisi delle nuove produzioni. Parliamo di Oreste Muratori che dalla pandemia porta via l’ispirazione di questo nuovo singolo dal titolo “Nuvole sul divano”. Il pensiero e la nuova misura da dare ai distanziamenti, alle solitudini… discorsi che oggi perdono drammaticamente di interesse a fronte delle nuove pazzie che colpisce il mondo.

Copertina Nuvole Sul Divano

Iniziamo sempre questa rubrica pensando al futuro. Futuro ben oltre le letterature di Orwell e dei film di fantascienza. Che tipo di futuro si vede oltre l’orizzonte? Il suono tornerà ad essere analogico o digitale?
In questo momento ci troviamo nella fase in cui la produzione e la fruizione digitale hanno raggiunto quasi il collasso, quindi è ipotizzabile che presto si aprano altre strade. Del resto, ogni qual volta una tendenza diventa imperante, si arriva al suo crollo e al subentrare di un’altra forma totalmente nuova o più semplicemente al ritorno di qualcosa di antico. Non è un caso che la “moda” del vinile stia prendendo sempre più piede, le classifiche di vendita parlano chiaro, quelle rare volte in cui un ascoltatore decide di mettere mano al portafoglio per acquistare un supporto fisico preferisce scegliere un vinile piuttosto che un CD. Pensa che mixing e mastering di “Nuvole sul divano” sono stati realizzati dal bravissimo Dario Giuffrida interamente con macchine analogiche; quando ho ascoltato per la prima volta il risultato del suo lavoro sono rimasto sorpreso della bellezza di un suono così profondo e pieno, al quale nemmeno io ero più abituato.

I dischi ormai hanno smesso di avere anche una forma fisica. Paradossalmente torna il vinile. Ormai anche il disco in quanto tale stenta ad esistere in luogo dei santi Ep o addirittura soltanto di singoli. Anche in questo c’è un ritorno al passato. Restiamo ancora dentro al futuro: che forma avrà la musica o meglio: che forma sarebbe giusta per la musica del futuro?
Mi auguro che si torni al supporto fisico e lo dico anche contro i miei stessi interessi, dato che la musica digitale unita al potere dei social permette anche con pochi mezzi di raggiungere un grande pubblico. Ho vissuto sia l’epoca del supporto fisico, parlo proprio della musicassetta e del CD, sia quello attuale di Spotify e del ritorno prepotente del vinile, di cui io per primo sono un incallito collezionista. Ritengo quest’ultima moda proprio il segno che sempre di più il pubblico senta l’esigenza di toccare nuovamente con mano il disco, avere un oggetto che sia anche feticcio da collezione, che ti permetta di sfogliare un libretto e non soltanto di scorrere i brani su una fredda playlist.

La pandemia ha trasposto il live dentro incontri digitali. Il suono è divenuto digitale anche in questo senso… ormai si suona anche per interposto cellulare. Si tornerà al contatto fisico o ci stiamo abituando alle nuove normalità?
Non ci abitueremo mai a questa nuova normalità, il pubblico ha assolutamente bisogno di tornare ad affollare gli spazi dei concerti in presenza. Vedo che giustamente molti artisti non stanno più aspettando le decisioni del governo sui grandi spazi e stanno riorganizzando i propri tour direttamente nei teatri, dove è permessa la capienza al 100%. Ovviamente si dovranno moltiplicare le date in uno stesso posto, ma rimandare per un altro anno il ritorno al live sarebbe significato la morte di un settore che è stato tra i più colpiti in questi due anni. Alla fine la musica credo sia più forte di tutto, lo si troverà sempre un modo per riorganizzarsi e per raggiungere il pubblico, anche se in contesti più piccoli come è già successo la scorsa estate.

Scendiamo tra le pieghe di questo singolo che parla di un amore ai tempi delle distanze, delle solitudini, delle restrizioni. Ma l’amore diviene anche convivenza con se stessi in qualche modo: come si inserisce dentro una scena ampiamente devota alla musica leggera digitale, immediata e quasi sempre densa di contenuti superficiali?
La musica leggera per me non ha soltanto una forma, può anche veicolare contenuti più profondi pur mantenendo una sua leggerezza di fondo. È l’obiettivo che mi pongo ogni volta che mi metto a scrivere una nuova canzone, toccare tematiche che non siano troppo banali o scontate, attraverso una musicalità che però arrivi nella maniera più immediata. Spesso mi sento dire, quasi con imbarazzo, che le mie canzoni entrano subito in testa dopo pochi ascolti, ma per me non c’è alcuna offesa personale in questo tipo di commento, è esattamente quello che voglio ottenere e fra l’altro non è per nulla facile. Scrivere una melodia che sia “commestibile” quasi al primo ascolto ma che al suo interno contenga una storia importante credo sia una delle operazioni più difficili, non a caso impiego parecchio tempo nel ricercarla e nel decidere quando sia realmente compiuta.

E poi tutti finiamo su Spotify. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
È il paradosso più grande nel quale viviamo noi artisti in questi ultimi anni. Sappiamo tutti benissimo che non si guadagna quasi nulla su Spotify, ma allo stesso tempo ci troviamo costretti a stare lì dentro, perché è lì che l’ascoltatore medio va ad ascoltare musica. Possiamo soltanto limitarci ad utilizzare questo strumento come mezzo per farci conoscere ad un pubblico che altrimenti non raggiungeremmo mai, per poi trasformarlo in vero lavoro retribuito attraverso i live. Ormai con Spotify evitiamo di stamparci il bigliettino da visita.

Dunque apparenza o esistenza? Cos’è prioritario oggi? La musica come elemento di marketing pubblicitario o come espressione artistica di un individuo?

Se mi chiedi cosa è prioritario in generale oggi, di sicuro ti rispondo l’apparenza. Non mi riferisco soltanto alla musica, ma in generale ogni forma d’arte è diventata prodotto prima ancora che contenuto ad alto valore. Nel mio caso, provo sempre a trovare una via di mezzo, una strada che sia quella dell’autenticità e del rispetto verso il mio pubblico. È normale che ci sia una certa dose di apparenza e di desiderio di visibilità in ogni artista, sentiamo tutti in percentuali diverse l’esigenza di mostrarci, è il nostro modo per sentirci vivi, per sentire di “esserci” anche noi.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di Oreste Muratori, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?

Dovrebbe mandare in diffusione una canzone che recita testualmente “chiudere il sipario non è un gioco, è un lavoro che si impara poco a poco, non è solo qualcosa che finisce, le luci il buio lo sfondo che svanisce”. Non credo esista brano più indicato per salutare il pubblico che pian piano esce dal luogo di un concerto, è “Il Sipario” di Carlo Muratori, un cantautore che vi consiglio di ascoltare, che se non ricordo male è anche mio padre…

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