A cura di Gabriella Rossi
Illustrazione di William Ceraolo
Sovvertire il ruolo della donna
attraverso il cinema
Monica Vitti ci ha lasciati in febbraio, all’età di novant’anni. Come una stella – intesa nel senso astronomico della parola – decise di ritirarsi dalle scene ai primi accenni di una malattia che colpisce la memoria ma anche lo sguardo. Così lontana dagli occhi del pubblico, è rimasta la stessa. La sua immagine non si è sbiadita, tutto di lei e del suo lavoro è vivo.
La Vitti è stata capace di sovvertire gli schemi socio-culturali di un paese che vedeva la donne come belle e basta. Un piccolo elenco: Ekberg, Brigitte Bardot e le nostrane Loren e Lollobrigida, scelte nel cinema perché rispecchiavano l’ideale che l’uomo aveva della bellezza femminile. L’uragano Monica rompe gli equilibri: voce roca, naso irregolare, non esattamente una pin up come le altre.
“Le attrici, diciamo bruttine, che oggi hanno successo in Italia lo devono a me. Sono io che ho sfondato la porta.”
Aveva ragione Monica, che con la sua storia ha sferrato un duro colpo a una società androcentrica: se sei bravissima, non conta quanto tu sia attraente. Femminista vera, impossibile da incasellare in un solo ruolo, ha interpretato ogni donna possibile, attraversando burrascose vicende personali per diventare la più brava (oltreché una tra le più belle).
In questa intervista, Enzo Biagi le chiese perché si battesse per la causa femminista. Lei rispose:
«Perché a 15 anni, che è l’età in cui ho deciso di fare l’attrice, perché dire a una donna che la cosa più importante che deve fare è trovare un marito e difenderlo? Che l’importante è che abbia qualcuno per costruire un focolare, una famiglia?» dice Vitti. «Perché non dirle invece: bisogna trovarsi un lavoro preciso, possibilmente duraturo, che ti dia prima di tutto un’indipendenza finanziaria. Certo, puoi anche sposarti, fare dei figli… ma sapere che la mattina, oltre a badare a tuo figlio, hai un’occupazione e degli interessi…»
La tetralogia dell’incomunicabilità
Monica dai mille volti, un mix letale di sagacia e sensualità, stregò uno dei più grandi registi italiani: Michelangelo Antonioni, con cui nacque una lunga storia d’amore e che la rese protagonista de La tetralogia dell’incomunicabilità, fondamentale per la storia del cinema italiano, composta dalle pellicole L’avventura (1960), La notte (1961), L’eclisse (1962), Il deserto rosso (1964).
Per Antonioni, Monica fu musa e compagna per un tratto di esistenza, la loro storia d’amore termina con le riprese di Deserto Rosso. S’innamora di Carlo Di Piana, direttore della fotografia e secondo uomo importante della sua vita. Sarà lui a dirigerla in Teresa la ladra.
La nuova donna che avanza a testa alta
(e che mena forte, se ce n’è bisogno)
Per la Vitti, gli uomini sono stati sodali, fuori così come sul set. Tra le poche a reggere partner giganteschi come Mastroianni e Sordi. Ne Il dramma della gelosia, non è soltanto oggetto di contesa ma parla, esprime disagi e desideri, impensabile fino a quel momento per una donna. Con l’interpretazione di Adelaide nel film di Ettore Scola, c’è una nuova Monica: non più musa ineffabile, ma portatrice di temi scomodi in una società che prende a calci e pugni le donne svergognate. Indimenticabile è la sequenza di schiaffi tra lei e Alberto Sordi in Amore mio aiutami: ad ogni ceffone che il marito Giovanni stampa sul viso della moglie Raffaella, lei glielo rende indietro con il doppio della forza.
Monica simboleggia la nuova donna che avanza negli anni Settanta, lei è La ragazza con la pistola di Monicelli.
Questo film del 1968 segnò la svolta per la carriera della Vitti. Assunta Patanè, giovane siciliana, viene rapita per errore da Vincenzo Macaluso. Lei si lascia sedurre senza difficoltà ma, il giorno dopo, Vincenzo parte per il Regno Unito e Assunta rimane da sola a difendere il suo onore, in una famiglia composta da sole donne. Assunta prende il treno per l’Inghilterra, armata di una pistola: sempre meglio delle due uniche alternative, ovvero farsi monaca o suicidarsi.
Riesce a trovare il ristorante italiano dove lavora Vincenzo, il quale fugge. Lei lo insegue tenacemente, finché riconosce il suo seduttore nelle vesti di un porta barelle di un ospedale, durante una partita di rugby. Anche lì: lo segue, sviene alla vista di un’operazione e viene aiutata dal primario. Tra i due nasce un’amicizia grazie alla quale Assunta cambia mentalità, inizia a studiare, a lavorare, si emancipa economicamente e mentalmente, tanto da sembrare una vera inglese. Colpito da questo cambiamento, ora è Vincenzo che vuole sposarla. Essa finge di accettare ma, dopo una notte con lui, lo abbandona per tornare dal dottore inglese.
Ostinata, forte, tenera, confusa
Il film di Monicelli è la perfetta summa di un decennio caratterizzato dall’emancipazione femminile, durante il quale Monica, il colonnello della commedia italiana, ha aiutato generazioni di donne a fare propria l’idea che una vita indipendente e autonoma fosse possibile, insegnando loro a piacersi, a studiare, a trovare la propria strada. E lo ha fatto attraverso un medium popolare e immediato: il cinema.
Se è vero, come diceva lei, che ha sfondato la porta alle donne bruttine nel cinema, con i suoi personaggi è stata in grado di creare un corollario ispiratore per ogni Donna:
Femmina quando serve, tenera se occorre, forte quando ce n’è bisogno, ostinata spesso e soprattutto, sempre indipendente.