Intervista di Gianluca Clerici
È davvero difficile orientarsi e dimostrare conoscenza dentro un suono così libero, totalmente e incondizionatamente. Che la libertà si sa, fa perdere l’orientamento, mette a nudo, la libertà è sinonimo di pazzia per il mondo omologato di oggi. Ma una pazzia romantica che non ci sta alle schiavitù di sistema. Daniele Faraotti l’avevamo incontrato dentro “English Aphasia”, disco scomodo agli ascolti ordinari. E questa scomodità l’aveva resa manifesta e sfacciata dentro queste liriche no-sense di un inglese afasico, grammelot, parole come suoni e non come significati. Oggi invece sposa l’italiano ma quel senso afasico resta nelle scritture melodiche e il suo “Phara Pop Vol.1” è una scuola di libertà assoluta da cui dovremmo prendere spunto per riflettere… forse. O forse siamo in un grande tranello. Eccovi “RadioMagia”, traccia che non troveremo nel disco ma che è stata ampiamente accolta come anteprime…
Faraotti chiude le battute e risolve le melodie vocali come più gli piace, in modo sghembo e randagio, dissonante, “stonato” direbbe il neofita. E stonato delle volte lo è per davvero. Ma nessun problema per lui e per l’estetica canonica. L’arte in fondo che regole ha? Soltanto quel che conviene a noi per sentirci al sicuro… Niente di nuovo sotto al sole direbbe il saggio ma per la musica di oggi “Phara Pop Vol.1” rappresenta avanguardia, rappresenta coraggio e innovazione. Oppure rappresenta un grande bluff. In ogni caso è geniale. I suoni di queste prime dieci tracce (anzi seconde visto che troviamo solo il secondo dei due dischi che compongono tutta l’opera, interamente disponibile poi a settembre in una bella release in doppio vinile), dalla parte del suono c’è tanto di quel glam rock anni ’90, digitale e underground, dai Marlene agli Afterhours fin dentro un Battitato più accomodante o un Bowie più nudo… c’è tutto e anche di più se consideriamo anche tutto quello scenario che arriva dalla provincia. Ad esempio “Vivaldi we love you” ha proprio queste vesti… e che bello il sentore prog che arriva dal dialogo di sint che apre “Le chiome e i falò”, altra scrittura scellerata e casuale che mette a dura prova l’ascolto: non capiamo qual sia il vero chiavistello per aprire le porte della codifica. Sembra un mescolare soluzioni, sembra un cantare a “vanvera”… eppure sappiamo che la regola c’è (cit.)… e il mood asciutto di questo brano forse è il vestito più esplicativo che con più violenza ci rende smarriti.
E poi “Il ballerino di quadriglia”: devo dire che da “English Aphasia” sin qui, Faraotti ha saputo sempre farsi riconoscere nel suono e penso che gli arrangiamenti di questo brano portino con se il vero “marchio di fabbrica”. Come fosse impressionismo di colori e di forme sghembe, così i suoni e gli incastri…
Da una parte “Due Mona” con questo adagio sonoro, questo palleggiamento percussivo di tempi in levare, e dall’altra “Edison Dino” con una linearità che quasi ci rende increduli dopo tanto ascolto dentro cui si smarrisce il senso della forma. Da una parte “La visione di Procuro parte prima” che sembra addirittura rispettare una codifica strofa ritornello con voci corali assai gustose (ma occhio ai dialoghi di pianoforte che si seminano sotto la voce)… dall’altra “Il villaggio”, quasi noir, quasi jazz, quasi prog, quasi allegorico come Alberto Camerini, quasi estraniante e assolutamente privo di senso nel disegno che la voce fa, che gli accordi fanno, nella successione delle parti.
Devo approfondire i testi e forse li la chiave di tutto farà capolino. Sinceramente la mia impressione si divide su due fronti: il genio creativo è tale da volerci prendere in giro e mettere a nudo la nostra incapacità di ascolto e comprensione oppure cerca nella nostra voce un’isola felice di riconoscenza e di accoglienza. E prima di puntare il dito sulla prima, penso alla seconda e voglio mettermi alla prova… e sicuramente, sappiatelo, non ho gli strumenti per accogliere e codificare. Ma devo dirvi che questo “gettare a caso” le melodie e gli arrangiamenti (le virgolette sono doverose in questa seconda direzione) mi affascina terribilmente. Luoghi dentro cui la musica davvero può renderci piccoli e ignoranti…
uei Gianluca, mi sorprende la tua recensione…ma un pò mi piace 🙂