Recensione di Davide Emanuele Iannace
Dobbiamo parlare ancora di Van Gogh?
Ha un sapore ironico il fatto che siano proprio le opere di Vincent Van Gogh quelle ospitate a Palazzo Bonaparte. L’artista che ha fatto della follia il suo tratto distintivo, ospitato dalla famiglia di Napoleone Bonaparte, l’Imperatore della logica. I dipinti, esposti a Roma fino a marzo 2023, non provengono dai musei dove abbiamo imparato a ritrovare La notte stellata o i Girasoli dell’artista olandese. No.
Sono le opere raccolte dalla collezione privata del Kröller-Müller Museum, la collezione di una donna che ha deciso di dedicare ingenti risorse per raccogliere le opere di quello che, all’epoca, era un emergente – nonostante fosse già morto da anni.
Una raccolta che ha salvato dall’oblio del tempo lo scorrere delle pennellate e l’evoluzione dell’arte pittorica di quello che è, e rimane tutt’oggi, un maestro esemplare del raccontare la verità.
La mostra di Palazzo Bonaparte, curata da Arthemisia e curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, fa proprio questo. Ripercorre i pochi anni di attività di Van Gogh costruendo una serie di racconti-raccolte delle opere, miscelando sapientemente l’interattività con l’adorazione e l’osservazione.
Pian piano, i visitatori sono condotti per mano attraverso le diverse fasi del lavoro dell’olandese, dove è possibile ammirare alcuni capolavori come il suo Autoritratto e L’amante e leggere le lettere scritte al fratello Theo.
Sono scritti intimi che esprimono quel rapporto così radicato e radicale che ci permette di scendere nella psiche dell’artista, di leggere i sentimenti del suo cuore e percorre i sentieri della sua mente. Possiamo leggere le riflessioni che, giorno dopo giorno, l’hanno portato al suicidio per colpo di pistola.
Andando con ordine, la mostra spinge molto sull’interattività del visitatore e lo fa tramite una serie di giochi a muro, dove si scompone il colore e la sezionalità dello spazio nelle opere di Van Gogh, e si spinge alla riflessione sulla maestria del pittore, sulla sua abilità nel miscelare tecniche e tradizioni diverse per generare un effetto del tutto nuovo, qualcosa di innovativo, capace di spaccare il tempo e lo spazio dell’arte.
È il primo modo con cui si vuole infrangere la distanza tra il mito dell’autore olandese e la realtà del visitatore. Davanti Van Gogh, siamo tutti piccoli, siamo tutti umani persi dinanzi la grandezza della mano di un artista che ha rotto gli schemi del mondo. La mostra, lentamente, lo riporta nella sua forma umana, nelle sue follie, ma anche nei gesti d’amore e di vitalità, nello studio e nella tecnica di una Parigi che non esiste più. Seguire Van Gogh vuol dire seguire lo scorrere di quel decennio e guardare l’arte seguire la mente, o forse la mente inseguire le tracce dell’arte stessa. Ovviamente, ogni cosa che possiamo dire della mostra è di per sé cosa non nuova.
Di Van Gogh si è parlato, si parla oggi e se ne parlerà ancora a lungo. Specialmente grazie a iniziative come questa. Il tempo non è solo clemente con le opere del maestro olandese, le assicura ai posteri, le rialza, garantisce loro ancora più significato man mano che le decadi passano. Lo scorrere del tempo non rende meno rilevante il lavoro dell’artista, ma lo fa trascendere al di là dello spazio-tempo.
L’interattività che si ha a Palazzo Bonaparte è un modo di rendere chiara la storia non solo di Van Gogh, ma anche il suo lascito per l’arte stessa, per il trattamento dei già citati colori, per la forma, per il significato delle opere stesse. Muovendosi ora tra i giardini del manicomio di Saint-Rémy fino ai campi di grano, ripercorriamo la vita e gli spostamenti del pittore, così come gli scostamenti della sua anima e delle sue paure.
La mostra aiuta ed assiste il visitatore nel fare proprio questo, nel comprendere il mondo di Van Gogh. È una passeggiata tra il tempo e lo spazio sanciti dagli oli olandesi e francesi del grande maestro, un modo per affrontare in maniera nuova, diversa, un’arte che chiaramente appartiene al DNA di qualsiasi appassionato.
Per questo, parlare di una mostra dedicata a Van Gogh è difficile e destina a non parlare delle opere in sé, ma di tutto il contesto. Di Van Gogh si è detto tutto. Fare una mostra in cui si mettono a disposizione del pubblico le sue opere non è cosa facile, anche quando sono opere quasi minori. Le aspettative sono gargantuesche e si scontrano con la semplice domanda: cosa sto facendo di diverso dal passato?
Mettendo in mostra un artista che effettivamente si è chiesto più volte come rompere con il passato, l’analogia è calzante. Come rompere con il passato? Come spaccare lo schema dell’arte che ci ha preceduto, come innovare come visioniamo l’arte stessa? È la chiave di lettura con cui molti si approcciano direttamente a Van Gogh, guardando e osservando il modo in cui ha spaccato due momenti diversi dell’arte e aiutato a transitare da uno stile a quello successivo quasi in un balzo, perfezionando le tecniche del passato ma al contempo innovando.
È la chiave di lettura della mostra stessa, che cerca di cambiare il modo in cui si può vivere un’opera tendenzialmente statica. Lo ha fatto con le piccole pareti interattive sparse per i due piani e con una stanza dedicata alle opere mancanti, come La Notte Stellata, che appartengono ad altre collezioni. La mostra offre una stanza riempita di specchi, luci, LED e grafiche che mostrano la genesi dell’opera stessa in diversi stadi di transito. Descriverla a parole è complicato, più che altro perché se ne perde la bellezza e soprattutto la sorpresa.
Possiamo dire che è stato un interessante modo di mettere in mostra l’arte di Van Gogh, portando ciò che manca a Roma, senza dover spostare l’opera stessa.
La mostra parte all’origine dell’arte del pittore olandese, e finisce con la sua morte per suicidio. È un viaggio completo, che va senza intoppi dal punto A al punto B. Un compito ben realizzato, ma brillante grazie alle chicche di interattività, i video, la pianificazione strategica delle opere e le stesse lettere a Theo sparpagliate tra le opere. Una mostra che sarà, per chi conosce l’artista, una piacevole riscoperta. Per chi invece è digiuno, sarà un vero percorso che porterà ad un nuovo tesoro d’arte.
Difficile scrivere di Van Gogh senza risultare un po’ banali. Forse non bisognerebbe nemmeno scriverne di nuovo, ma semplicemente dire: ci sarà Van Gogh, fino a marzo. Il fascino di Van Gogh però si esprime esattamente in questo: chiunque, senza leggere articoli o recensioni, può immergersi nella bellezza dei paesaggi olandesi e francesi, negli occhi dei ritratti e nei lavoratori, nei fiori e nei cieli dipinti da Van Gogh ed esserne rapito.
Questo è l’inesplicabile potere dell’Arte quando viene espressa in maniera diretta, senza fronzoli se non quelli della sua creazione stessa.
DOVE: Palazzo Bonarte, Piazza Venezia 5 (Angolo via del Corso), Roma
Dall’8 ottobre al 26 marzo 2023
Per maggiori informazioni: https://www.mostrepalazzobonaparte.it/
Ho acquistato 3 biglietti per visitare la mostra,ma per problemi di salute non potrò essere presente.Non mi sarà possibile spostarli, credo che tutto ciò sia ingiusto e scoraggi le persone all’acquisto anticipato! Peccato non visiterò la mostra tanto attesa