Recensione di Davide Emanuele Iannace
La pittura della gioia
Quando si è parlato di Van Gogh, per la nuova mostra a palazzo Bonaparte, una premessa dell’autore (promettente penna di Just Kids Magazine) è stato:
di Van Gogh si è già detto tutto o quasi tutto e gran parte dell’innovazione della stessa mostra è nascosta nella capacità di mettere su un carosello di attività che si innestano abilmente nella struttura della mostra stessa.
Con Raoul Dufy invece, ospite a Palazzo Cipolla in mostra di nuovo organizzata da Arthemisia e Fondazione Terzo Pilastro, ci troviamo in un nuovo mondo. Raoul Dufy è uno dei pennelli forse più rilevanti della pittura francese di fine ‘800 e inizio ‘900. Eppure, come il presidente della Fondazione non manca di mettere in luce, sono almeno 42 anni che l’autore non fa la sua comparsa sulla scena italiana. Almeno fino a questa mostra, dalla cornice romana, che espone quasi duecento quadri divisi tra i diversi momenti di vita e aspirazione artistica. L’esposizione traccia vita e corrente di questo autore di poco successivo a Van Gogh , protagonista dei saloni parigini, di corse di cavalli e di avventure ai confini tra terra e mare.
Non ripercorreremo qui la sua vita, le sue avventure, la sua nascita di estrazione modesta, il suo conquistarsi con lentezza uno spazio tra Matisse, Monet e Pissarro, le sue avventure tra il Salon d’Automne e così via. Sono pezzi importanti di esistenza di un autore che ha attraversato l’arte un po’ come osservatore, spesso messo in ombra dai miti e dalle leggende di cugini e fratelli di calibro considerato maggiore.
Eppure, Palazzo Cipolla avrà il potere di mostrare un mondo nuovo. Dufy è davvero un pittore della gioia, come titola la mostra. Un pittore che ritrova la vita dentro le pennellate, che disegna corpi e mondi e racconta storie che si perdono tra la malinconia e la felicità del passato, del vissuto.
Non si può dire di Dufy che non abbia vissuto, tanto. La mostra si divide per questo in diverse sezioni che rappresentano le diverse fasi dell’autore. I suoi quadri ora incentrati sul grano (sezione sei), ora sui maestri sulla relazione coi grandi artisti del passato: Botticelli, Tiziano, Lorrain (SezioneNove, e non è una citazione). Le opere sono così tante che non ci si può soffermare su tutte, ma possiamo dire con certezza che è come un grande carosello di colori e di luci che ci portano tra i suoi lavori nel campo dell’arte, sul suo lavoro al fianco di stilisti ed editori, fino alla pittura più pura – quella ora di ippodromi riempiti di ricchi nobili e borghesi, ora delle navi nei porti blu e bianchi, ora di delicati fiori.
Se c’è un qualcosa che si nota nell’opera di Dufy è la mancanza di noia. Le opere non sono mai un riciclo del passato, ma una continua caccia, una continua ricerca. Raoul insegue, non tanto i maestri del passato quanto, ma sé stesso.
La sua è una continua ricerca di quella forma e di quel colore che riescano a descrivere la realtà che ha dinanzi, che la trasformino allo stesso tempo in qualcosa di diverso. Davvero è il pittore della gioia nel momento in cui la sua opera diventa non tanto seria e precisa rappresentazione, ma una colorazione del reale, una sua visione differenziata in cui al realismo diamo tocchi di espressione e di impressione. Certo è il porto con le barche che vediamo nei suoi quadri marinareschi, ma è al contempo una trasformazione in qualcosa di diverso, nella calma del mare blu che si confonde col cielo azzurrino, nella tranquillità delle navi legate ai moli di legno, i pescatori pronti a prendere il largo.
La rassegna di Palazzo Cipolla ci cinge con queste opere, ci racconta il loro susseguirsi. Di certo, è un susseguirsi di tocchi e di esperienze che riempiono e cambiano l’artista, che culminano infine nella tela di quasi sei metri La fata elettricità, questa gargantuesca rappresentazione dell’elettrico e della vita nell’era dell’elettricità. Un’opera gigantesca, non solo per le sue dimensioni abnormali, ma per lo sforzo che ha richiesto al pittore per la produzione a al visitatore per la sua lettura complessiva. Non casualmente, una stanza è a lei dedicata in maniera totalizzante, perché tutti gli occhi siano puntati sui dettagli che Rufy ha posto in essere e in risalto in questo quadro che diventa la rappresentazione di un’epoca, delle speranze consegnate al futuro e alla scienza, all’uso dell’ingegno in maniera sistematica e civile – che poi, invece, ci consegnerà agli orrori dei due conflitti mondiali. Le opere di Rufy ci portano invece in mondi diversi, dove questo tipo di dolore non esiste, non è conosciuto, non è ancora arrivato.
I mondi che disegna sono mondi quasi pastellati, mondi di colore e di gioia, un escapismo puro dalla realtà, qualunque essa sia, che rappresentano tanto il viaggio del francese che quello del visitatore che vive placido i momenti che si susseguono si tela. Si tratta di un perdersi tra la realtà dei fenomeni, tra i campi di grano e i corpi lussuriosi, tra le barche, i fiori, gli studi che si affacciano su strade silenziose, come ogni quadro.
Impossibile scegliere quale sia l’opera più significativa, oltre La fata elettrica ovviamente. Ogni visitatore ritroverà schizzi e colori che lo colpiranno in particolar modo, che saranno simbolici, vicini al mood del momento, al proprio problema interiore, alle proprie avventure. Come leggere un bel romanzo, così le opere di Rufy si comportano come una narrazione invisibile.
È una storia umana e sociale, un fil rouge che connette anime e corpi al di là del tempo e dello spazio e che ci trascina con lui attraverso la Francia, l’Italia, l’Europa, in un secolo di speranze. Un dono che, a cavallo di un tumultuoso XXI secolo, ha un significato ancora più speciale.
La mostra è una fermata obbligatoria per qualsiasi amante d’arte si trovi nei paraggi di Roma fino alla fine di febbraio 2023, per ammirare un pittore che raramente ha trovato un appannaggio qui in Italia e che troppo spesso è stato sottovalutato dalla critica, vuoi per la sua somiglianza con altre forme pittoriche di maestri che hanno – solo un po’ di più – fatto da apripista in Italia e nel mondo per le loro correnti. Eppure, Dufy non ha nulla di meno di Matisse. Piuttosto, apre ad un nuovo mondo fatto di colori splendenti e storie taciute, di osservazioni attente della sua contemporaneità e del suo futuro.
Un artista completo che ha catturato l’essenza di un’epoca nelle sue sfaccettature, dall’elettricità allo spazio, dai giochi al mare. Un artista che quindi merita una attenta visita e un attento studio, come fortunatamente i critici hanno ripreso. Ad Arthemisia e Fondazione Terzo Pilastro va il ringraziamento di essere riusciti a portare questo straordinario pittore nel Bel Paese e di averlo fatto concedendogli una dignità espressa nella forma della mostra e nella quantità di opere , che risultano una sorpresa assolutamente positiva.
DOVE: Palazzo Cipolla, Roma, Via del Corso, 320
ORARIO: Dal martedì alla domenica, dalle ore 10 alle ore 20, la biglietteria chiude un’ora prima, alle ore 19.00. Lunedì chiusi
COSTO: 10€, con diverse riduzioni possibili