Live report di Davide Emanuele Iannace
La foresta verde di Karmen Corak
Un verso musicale che personalmente ritrovo come perfetta descrizione dell’idea di arte, si nasconde nella canzone Bad Kingdom dei Moderat e fa più o meno così “This is not/ what you wanted/Not/What you had in mind”.
Il potere reale dell’arte si nasconde esattamente in questo: nella rinomata impossibilità di trasmettere esattamente quello che si vuole come si vuole, ma riuscire comunque a trasmettere qualcosa di assolutamente unico, ogni volta, tramite lo sguardo, il tatto, il gusto, tutti i sensi che il corpo umano riesca a usare e sfruttare. Così, la musica riesce a diventare il ricordo di serate estive mai avvenute forse, ma sicuramente sognate; così la fotografia può diventare non solo la mera descrizione di attimi e di realtà, ma la raffigurazione metaforica di realtà che potrebbero o meno sfuggirci.
L’invito a una mostra fotografica ha sempre quindi la possibilità di diventare un viaggio dentro due livelli diversi di arte: quella che l’artista vuole comunicare e quella che invece, inevitabilmente, spiccherà proprio davanti i nostri occhi. La mostra “La Vie En Vert” di Karmen Corak, in esposizione alla Galleria del Cembalo, nel cuore di Roma, curata da Mario Peliti e con la gestione comunicativa di Culturalia, riesce a scatenare esattamente questa duplice reazione.
Siamo dinanzi gli scatti esemplari di una fotografa che ha dedicato parte del suo lavoro al ritrovare in qualcosa di apparentemente quotidiano – come gli orti botanici che si stagliano nelle nostre città, ma anche negli spazi verdi – immergendosene e traendone degli scatti che vogliono da un lato riaprire i cancelli della memoria, e i nostri ricordi con essi, ma dall’altro andare a sprigionare la forza immaginifica della Natura stessa, e la sua capacità di diventare umana nelle su miriadi di forme più strane.
Quando si arriva a Galleria del Cembalo, ci sono due set di foto che spiccano tra le altre. Foto realizzate e stampate in bianco e nero, su speciale carta giapponese – quella washi – che non solo si differenziano per il colore, ma anche per ciò che rappresentano. Tre rappresentano “La via dei filosofi”, scorci di Kyoto, di un parco, dove notiamo solo le ombre di alcune persone che passeggiano. Di loro non sappiamo nulla, vediamo le loro forme sbiadite nel tempo e nello spazio, le ombre che vediamo ci ricordano le ombre nella caverna di Platone. Non è ciò che vorremmo davvero vedere, non sono la Realtà, ma sono la sua proiezione. Corak riesce a cogliere uno degli spiriti della Filosofia nel trittico di foto, nella carta ben stampata ed elegante, quella commistione tra Vero e Falso che va perdendosi, quel gusto del Mistero e della Ricerca che ogni filosofia ha come suo cardine. Chi sono le misteriose figure che Corak fotografa? Sono filosofi, turisti, cercatori, sono banali illusioni, sono piante dalla forma umana? Le possibilità si moltiplicano nel guardare quel tragitto compiuto e incompiuto, realizzato e che si realizzerà ancora. Ci siamo anche noi tra le ombre della Corak, solo in altri giardini. “La via dei filosofi” di Corak, di Kyoto, è anche la via che percorriamo nei parchi delle nostre città. In una semplice istantanea, si cattura l’essenza di diverse centinaia di migliaia di diverse forme che si vanno a perdere e ritrovare continuamente.
Sempre le forme sono parte degli inganni di un altro trittico di foto, in bianco e nero, che rappresentano apparentemente lo stesso albero a distanze diverse. Illusione, invece, visto che i tre sono soggetti del tutto diversi tra di loro, distanziati non solo nello spazio – un albero a Porto Alegre, una pianta a Roma e una in un parco – ma anche nella rappresentazione. Un albero distante i cui uccelli sembrano enormi predatori, un passero romano, un albero spoglio. Eppure, tutti e tre ricalcano non solo forme a noi familiari, iconiche, ma memorie. Come la stessa fotografa ci ha detto, esplorando insieme le aule della Galleria, l’albero apparentemente spoglio è carico di significato, carico di memori e di ricordi, di altri alberi simili ma in altri giardini. Nei giardini dell’infanzia e della memoria, di serate in posti e città distanti. Perché alla fine il fascino della Natura che trapela da quel bianco e nero che è come una vecchia pellicola cinematografica, è proprio la capacità di rimandare continuamente a qualcosa di andato, di distante, ma pur vivido e pregnante all’interno della mente stessa. Le foto tendono certamente a fotografare un qualcosa che è presente davanti l’obiettivo, ma dicerto tanto la particolarità della carta – che sia l’asiatica washi o quella europea particolare e speciale, la hahnemühle – ecco che ci andiamo ritrovando dentro un carosello che è una lotta di memorie e di costruzioni continue, di ricordi che si susseguono e si rilanciano uno dietro l’altro.
Non da meno sono ovviamente le foto che invece sono le collezioni di passi e passeggi attraverso gli angoli più diversi del mondo, gli orti botanici e i giardini. Qui, la protagonista è la Natura insieme alle sue incredibili forme. Piante tropicali sembrano bocche strette in amari sorrisi, mentre acqua e petali riescono a comporre quelle che sembrano le iridi lucide di persone, i tronchi sembrano bacini di donna e le forme dei visi crescono tra il granturco.
La Natura è, di fatto, una forma che diviene quasi nulla nelle foto della Corak, perché non si fotografa alla ricerca del realismo più puro, la fotografia non diviene stampa della realtà, ma mezzo della trasformazione, in una pratica che è più vicina alla pittura che alla fotografia in sé per sé. È una relazione diversa quella che quindi si viene a creare tra la realtà fotografata dalla Corak e la cosa che riusciamo a vedere, la cosa che percepiamo o pensiamo di vedere. È una realtà che esiste, ma allo stesso tempo che è una finzione. Non diversamente dall’uso della foto come storytelling, ecco che con la Corak abbiamo una metanarrazione che ci viene fornita da questa non-secondaria chiave di lettura. Ci ritroviamo, ancora una volta, immersi nella poetica e poietica dell’autrice, che ci immerge in un naturale mondo umano.
È una caccia, quella della fotografa, che da un lato ci va a far scoprire la bellezza della Natura, ma dall’altro ci spinge in un viaggio che diviene introspettivo, al contempo un viaggio nella nostra memoria, nei nostri ricordi di quella infanzia spesso costellata da ricordi della Natura stessa. Corak cerca di riportarci a quel mondo primordiale, un po’ quasi ancestrale, in cui perdersi, immergersi, ma poi inevitabilmente andare a riaffacciarsi nel proprio mondo, quello reale, della tecnologia, quello che a volte tende a distinguerci dalla Natura stessa, quella che guardiamo a volte quasi con distaccata bontà, bellezza, rimanendone però inevitabilmente a distanza.
La Corak ci si spinge ad una nuova immersione in questa bellezza, in questo verde, in questo giallo, anche in questo bianco e nero che vanno diffondendosi come una intera foresta nella Galleria del Cembalo, in cui anche se la Corak disegna i dettagli, è la nostra mente che la rende una foresta. Sono i visitatori che poi, rendono i dettagli un variegato, variopinto insieme in cui perdersi.
DOVE: Galleria del Cembalo, Largo di Fontanella Borghese 19, Roma
QUANDO: Dal 7 dicembre 2022 al 3 febbraio 2023, da mercoledì a venerdì dalle 15:30 alle 19:00 o sabato dalle 11:00 alle 19:00. Prenotabile su appuntamento.