La ricetta di un gioco contro l’ansia di esistere
L’ansia è una delle condizioni esistenziali che sembra caratterizzare se non il XXI secolo nella sua totalità, quantomeno i suoi giovani abitanti. È indubbio che, tanti, troppi giovani si ritrovino immersi nell’esistenziale ansia di esistere che tanti filosofi hanno provato con le loro scuole, le loro dottrine e i loro pensieri ad affrontare nel corso dei secoli.
Con le ansie quotidiane e secolari del nostro tempo, a volte la tecnologia diventa una possibile soluzione, offre alternative ma anche strumenti. I videogiochi, in fondo, non sono che un possibile strumento per affrontare il bisogno di divertimento e di escapismo dalla realtà. Non è semplicemente fuga, ma diventa un mezzo di dominio all’interno di una realtà sempre mutevole e in cambiamento. La bellezza dei video, e non solo, giochi è la creazione di mini-universi con regole ben precise, elegantemente scritte, che si diramano insieme a obiettivi chiari davanti gli occhi del giocatore. In linea generale, lo scopo di un gioco è chiaro davanti gli occhi dei giocatori stessi. Non è sempre un percorso lineare, non è sempre un orizzonte delineato in maniera netta. Il videogioco però ci dona il fascino del controllo stesso, della capacità di tenere sotto controllo il futuro, tutto ciò che ci dona l’ansia di esistere.
Eppure, il gioco non è un modo perfettamente controllato. I giochi che più affascinano sono quelli che mettono in dubbio l’esito, e la possibilità di vittoria, il successo e la sconfitta non sono sempre così certi, né prevedibili. Il gusto è la sfida, come dimostrano i giochi Souls-like, quelli in cui la difficoltà è così alta da portare a inevitabili sconfitte e morti, ancora ed ancora. Il gusto, in quei giochi, apparentemente, è proprio quella sconfitta che diviene, alla lunga, motore di vittoria.
Non parliamo qui di un gioco di questo tipo – i famosi Dark Souls, Bloodborne o l’ancora più recente Elder Ring. Giriamo su un altro versante del mondo videoludico, ovvero Forza Horizon 5. Ultimo capitolo di una lunga e prolifica saga di corse automobilistiche, la grande differenza di Forza Horizon 5 su altri tipi di giochi di macchine è che gran parte dell’attenzione è dedicata in maniera equa alla creazione di un ambiente peculiare in cui ci si muove e nella cura verso i veicoli, che non scade mai nella pura simulazione alla Gran Turismo.
La trama, anzi, la storia di sfondo, è un festival itinerante che porta i migliori piloti, e non solo, in giro per una parte di Messico inventata ma che pesca a pieno titolo da reali zone della nazione centroamericana. In un contesto di pura festa, la protagonista – nel mio caso, ho scelto un avatar femminile ma il gioco permette massima immedesimazione con qualsiasi genere sia voluto, binario o meno che sia -, si ritrova come campionessa dell’edizione precedente, in Inghilterra, e viene invitata in Messico per correre ancora. Quello che prevede il gioco sono poi una serie di sfide, di gare, ancora poi di pezzi di storia dei vari personaggi – dall’appassionata meccanica che ritenta di creare l’auto del nonno al DJ dei precedenti festival – poi ancora le sfide che crea il resto della comunità.
È proprio il senso della parola comunità che qui vogliamo portare al centro, insieme a quello di controllo, di gestione del futuro. Perché parlare di comunità nel gioco che fa suo il concetto di vincere la gara, il principio anti-comunitario per eccellenza? Perché Forza Horizon pone il festival al centro del sé, pone come fulcro proprio dell’intera esperienza una sorta di collettivo esercizio di community building. Le auto possono essere regalate a perfetti sconosciuti, mantenendo un perenne e costante sentimento di connessione con perfetti sconosciuti. I set-up delle auto, così come i design e intere mappe possono essere condivise e votate tra gli utenti, ma in un contesto accuratamente scolpito dai designer del gioco che porta al centro dell’esperienza il senso di starlo facendo in un mondo vivo e pulsante, dove i destini dei diversi giocatori si interconnettono continuamente.
A tal proposito non è da meno la presenza dei Drive-Avatar, le “personalità” virtuali degli altri giocatori, amici o meno che siano con noi, che saranno anche i nostri competitor durante le varie gare che affronteremo. Una soluzione non nuova del gioco, ma che genera l’idea di vivere in un perenne festival dove i rivali, in questo caso “virtuali”, sono lo specchio delle persone che abbiamo incrociato nel corso del tempo durante la permanenza in Messico.
È un curioso caso di racing comunitario, quello di Forza Horizon. Il correre, il vincere, fa parte del “gioco”, letteralmente, almeno il quanto vivere l’esperienza alla guida di super-car e berline come parte integrante di un tessuto in perenne evoluzione e cambiamento, chiuso nel suo loop di quattro stagioni che si susseguono senza tregua grazie al supporto degli sviluppatori.
Questo senso di appartenenza che il gioco tenta di creare, questo voler calare il protagonista in qualche modo al di fuori semplicemente della macchina, ma dentro i cuori pulsanti dei piloti virtuali e delle atmosfere di condivisione, perché lo si può ricollegare a quel concetto di ansia con cui abbiamo fatto partire questo articolo? Perché quell’ansia generalizzata di esistere che sembra essere diventata un po’ la persistente nebbia delle generazioni viventi oggigiorno viene in parte diradata da due possibili considerazioni: sapere di non essere soli nella barca che veleggia verso sconosciute coste, e al contempo sapere di poter gestire la rotta, almeno un po’.
Che sia creando il proprio percorso, che sia decidendo come affrontarlo, Forza Horizon 5 ricorda ai propri giocatori non solo che esiste una comunità dentro cui immergersi, con cui confrontarsi, che ti può spalleggiare, ma al contempo ti dona un po’ della sensazione di poter controllare quello che verrà il dopo, il come affrontare la curva successiva, il rettilineo successivo.
È uno strano percorso quello che si fa in questo gioco. Se fossimo in Need for Speed, tutta la concentrazione sarebbe sul come far fuori le pattuglie di polizia e finire primi. In Gran Turismo, sarebbe il fascino tecnico di guidare vetture velocissime e confrontarsi con storici percorsi dell’automobilismo contemporaneo e moderno.
In Forza Horizon, l’approccio prende tutta un’altra rotta o corsa che sia. Crea un ambiente, che plasma con cura, un mondo inclusivo dove far entrare i giocatori e lasciarli in qualche modo liberi di guidare e vivere, in un certo senso protetti, ma capaci di prendere in mano, per quel poco tempo che è il mondo virtuale, in mano il volante e decidere in libertà la propria direzione.
Forza Horizon 5, con questo approccio, è chiaramente l’esempio di quel mondo virtuale che schiaccia il mondo reale, lo butta via, e genera la sensazione che possa esistere qualcosa di migliore di quello che c’è fuori, una versione ideale del reale, contenuta certo nell’ampiezza forse ma comunque un’alternativa reale. Nemmeno, poi, troppo distante da quello che si vive ogni giorno. Non abbiamo un universo utopico fantasy o fantascientifico. Quel Messico che vediamo, per quanto non fedelissimo alla geografia reale, è il Messico che sta a qualche migliaio di chilometri da qui.
La sensazione è quella quindi essere catapultati in un mondo che è quello dell’oggi, ma è diverso, è come in potenza potrebbe – o dovrebbe – poter essere. Un mondo fatto di comunità, di spirito tanto d’avventura che di semplice piacere, di apertura. Quell’ansia di esistere che è una sensazione oramai cosi costante nel mondo contemporaneo tende a sparire, ad assopirsi, tra le miglia percorse su Forza Horizon.
È un piacevole diversivo tanto nel generico panorama dei videogiochi in generale, che puntano sempre di più a cercare di spingere in direzioni estreme le abilità – in alcuni casi, in senso competitivo con altri giocatori come ben si nota nell’andamento globale degli E-Sport – che dal mondo reale. Non che sia la soluzione a quella generica sensazione di ansia e di generalizzata oppressione che permea il XXI secolo.
L’escapismo è temporaneo, una soluzione che dura qualche ora e si consuma, e che col tempo forse anche smette di avere il medesimo effetto. Il problema della realtà è che scorre sempre più forte di qualsiasi altra forza. L’ideale di comunitarismo in cui ci e si cala Forza Horizon però è d’ispirazione. Al di fuori del contesto – ovviamente irrealistico – di corse d’auto continue e schianti senza morti né danni, quello che ovviamente viene fuori è un forte desiderio di costruire una comunità, di generare delle forze di comunità che siano in qualche modo capaci di generare forme nuove, o forse nemmeno troppe nuove, d’azione.
L’idea di andare in qualche modo avanti, ma non da soli. La vittoria non diventa il distacco del Campione dalla folla, ma un momento di festa e di generazione – collettiva – di nuove spinte che tendano verso una condivisione di intenti, ideali, di azione. Forza Horizon 5 in questo senso è intriso di questo slancio, di questo tendere verso un immaginario di possibilità e di scelte migliori.
Quell’ansia che di fatto è la partenza di questo articolo viene assopita e assorbita dal tendere, dall’azione. È la guida, in questo caso, ma è in generare l’agire quello che caratterizza la lotta contro quella stessa ansia che ci rende incredibilmente indeboliti davanti la libertà.
La lezione, fondamentale, di Forza Horizon, è che la comunità diventa la risposta ai dubbi, all’isolamento. Che la comunità, che sia fatti di corridori o appassionati di musica o qualsiasi cosa simile, è di fatto già il primo passo per uscire da quei circoli viziosi in cui spesso andiamo chiudendoci.