Live report di Francesca Amodio
In una gelida serata di metà marzo ma in un caldissimo Blackout, Il Muro del Canto – gruppo di musica popolare romana acclamatissimo fuori e dentro il raccordo anulare – presenta il 45 giri Vivere alla grande/Le mantellate, con all’interno l’inedito pezzo recitato Vivere alla grande e una rivisitazione del memorabile brano di Strehler.
Chi scrive tenterà l’ardua impresa di convincere le parole a grammaticalizzare lo spettacolo di emozioni che questi sei ragazzi romani hanno messo in scena sul palco del noto club della capitale. Con un sold-out realizzato da un pubblico assolutamente trasversale, il live inizia con le note di Ancora ridi, brano che dà il titolo al secondo disco de Il Muro del Canto, disco che è quanto di più simile ci sia all’ossimoro più famoso delle grammatiche italiane: “ghiaccio bollente”. Ancora ridi infatti è un arcobaleno squarciato da un fulmine violentissimo, un vestito da sposa sporco di sangue, un bambino pieno di lividi.
Daniele Coccia, detentore di un timbro così fuori dal coro ma che dà voce a mille genti – dal “regazzino ‘nnamorato” che “vole che je dici ‘na poesia” alla “mignotta imbarazzata” che “vole che je dici le buscie” (da L’orto delle stelle, contenuta nel disco d’esordio L’ammazzasette) – canta, vomita e sussurra i vizi e le virtù della Roma di oggi: bellissima, cornuta, vigliacca, violenta, innamorata, sempre papalina, viziata e deturpata. Con quella voce Coccia può permettersi di raccontare di tutto e riesce anche a farti odiare un’ingrata lei che non ricambia come dovrebbe un disperato lui in Luce mia, riesce anche a farti indignare con chissà quale Dio per essersi ripreso un Antonuccio che proprio non se lo meritava ne L’osteria dei frati, ti convince pure del fatto che l’amore in fondo “è solo ‘na sfida”, ne La spina.
Quella de Il Muro del Canto è una musicalità popolare, un po’ gipsy ma dannatamente rock, fatta dal basso di Ludovico Lamarra, la chitarra acustica di Eric Caldironi e quella elettrica di Giancarlo Barbati Bonanni, la fisarmonica di Alessandro Marinelli e i racconti dei sentimenti urbani e umani del percussionista-cantastorie Alessandro Pieravanti, strumento cardine che fa da collante perfetto. Il Muro regala una serata fatta di sentimenti autentici, ancestrali, raccontati con sorprendente realismo, attenzione ai dettagli dell’anima e a quelli dell’Urbs.
Per l’occasione i ragazzi sono accompagnati da Andrea Ruggiero, raffinato violinista romano le cui note, che scivolano elegantemente e sapientemente sul legno dell’antico strumento, impreziosiscono la già densa musicalità del Muro, conferendole quella sublimità che spesso raggiunge picchi realmente notevoli. A sorpresa fa capolino sul palco un piccolo vulcano d’energia che prende il nome di Elio Germano, conosciuto ai più come talentuoso attore di cinema ma che da anni sfoga la fervente passione per la musica nelle sue Bestierare, esplosivo gruppo rap romano indipendente. Per l’occasione reinterpreta insieme al Muro la celebre Paint it black dei Rolling Stones, in versione romanesca.
Il live prosegue in mezzo a un pubblico incantato e carico, che si scatena in pezzi di repertorio ormai storici, agnostici e anarchici più che mai, come Chi mistica mastica, che vede inoltre la presenza, all’interno del videoclip ufficiale, dell’autorevole e per l’occasione sogghignante prete laido Federico Guglielmi, dichiaratissimo fan del “complesso di musica popolare romana”. Dicitura, questa, che i ragazzi del Muro del Canto incarnano perfettamente, soprattutto in riferimento al sostantivo “complesso”: sul palco infatti non esiste leader. Il leader del Muro del Canto è il loro pubblico. Non a caso il loro motto è: “Il Muro del Canto siamo noi più voi.” La cosa bella è che è così per davvero.
Attualmente il Muro del Canto continua il tour di presentazione di Ancora Ridi e nel contempo lavora alla stesura del terzo disco, già anticipato dall’inedito Ginocchi rossi.
Foto di Enrica Martiradonna