Live report di Francesco Buzzella
Bernalda. Circolo Arci “Al Verde”. Luci soffuse, cuscini, sigarette, strette di mano, abbracci, reflex e… Lomografici.
C’è chi dice che a volte basta uno sguardo per innamorarsi perdutamente di una persona; lo stesso può accadere per un quadro, un paesaggio, un’idea e ovviamente per una canzone o una band. E c’è molto di cui innamorarsi ascoltando questo gruppo musicale coeso ma allo stesso tempo eterogeneo, che sfugge a ogni possibile etichetta mischiando approcci e stili diversi grazie all’incontro di anime musicali disparate: jazz che incontra il pop, che a sua volta stringe rapporti con l’elettronica e il cantautorato più classico.
In attesa della loro prima fatica discografica i Lomo presentano uno showcase carico di adrenalina, assoli penetranti ma carezzevoli, un tappeto elettronico insistente e ritmato, un basso deciso e regolare. L’esibizione si apre con Attesa, brano strumentale carico di suspense e dalle atmosfere che ricordano molto le colonne sonore dei capolavori di Tim Burton. Si riconosce qui il lavoro armonico di Paolo Greco, che non ama esibirsi e mettersi in mostra ma dà un prezioso contributo.
Subito l’atmosfera si scalda, il pubblico non si lascia ingannare da tanta armonica oniricità, perché con il brano Detroit la vena più adrenalinica ed eclettica del frontman Claudio Lay, unita alla straripante energia di Toni Petrocelli (tastiere/synth), alla tecnica sopraffina di Nunzio Moro (chitarra) e alla marcata ritmica di Salvatore Moro (basso), ci regalano un biglietto di sola andata verso lande lontane. Atmosfere che i più definirebbero “british”.
Si ritorna alla realtà ma non a malincuore. Il viaggio continua e in un clima festoso e disteso i Lomo si alternano ai vari strumenti che compongono il loro set up; poi, in un turbinio di salti e di movimenti convulsi, ci salutano con il brano Al verde, sicuramente più intimo e quotidiano.
Il concerto finisce, è tempo di bilanci. In un universo musicale “copia/incolla”, in cui tutto fa brodo, questo progetto spicca per la sua innovatività, per la capacità di unire stili musicali difficilmente avvicinabili e per la freschezza ma allo stesso tempo profondità con cui vengono trattati i temi oggetto della loro ricerca. Come direbbe Claudio Lay, “l’inseguimento a fasi alterne ci ha portati fino a qui.”
Photo report di Michele Battilomo
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