Live report di Claudio Delicato, foto di Paola Soldi per Sottopalco
Compagni, cittadini, fratelli, partigiani,
È con profondo imbarazzo e dolore che mi trovo costretto a scrivere queste parole. I Bluvertigo sono uno dei miei gruppi italiani preferiti da quando avevo diciott’anni: ho sempre amato la loro musica barocca, citazionista e istrionica, l’egocentrismo di Morgan e l’estetica anni ’80 di Andy. Apprezzo anche il fatto che abbiano congelato il progetto poco dopo il culmine della loro carriera, senza diventare l’ennesima band di mestieranti.
Le aspettative sono un’arma a doppio taglio. A volte capita che da un concerto ti aspetti 6 e ti dia 9, a volte il contrario. Ecco, dai Bluvertigo mi aspettavo 5 (dato che ormai quasi tutti i membri della band sono partiti per la tangente verso i propri progetti paralleli) e mi hanno dato 3. La loro esibizione all’Eutropia Festival 2014 – ai posteri: di gran lunga la miglior rassegna musicale romana dell’estate, per qualità delle proposte musicali e accessibilità dei prezzi, MALGRADO QUEL CAZZO DI SCALINO DAVANTI AL PALCO – è stato uno degli spettacoli più pietosi cui abbia assistito negli ultimi mesi, se si esclude il discorso in inglese di Matteo Renzi al Digital Venice.
Il problema di base è uno: i Bluvertigo non sono più un gruppo. Non suonano assieme da tanto tempo e la cosa è del tutto evidente fin dalle prime note: tutti i brani sono suonati a cannone senza un minimo di riguardo per le armonie, senza un singolo crescendo. Paiono diretti da René Ferretti, data la generale atmosfera “a cazzo di cane” che rende ogni canzone un frullato confuso di suoni male amalgamati e poco intellegibili, testi dimenticati e attacchi sbagliati. “Si salvano perché ricordiamo come sono i pezzi e quindi ce li immaginiamo,” come ha commentato giustamente un mio amico.
Non c’è armonia, non c’è intesa, non c’è amalgama, “e arrivando non ho visto neanche l’ampio parcheggio all’ingresso,” direbbe Elio. Morgan e Andy sono due (pur bravi) solisti buttati in una band in cui sembrano ormai spaesati, l’ottimo Megahertz è piazzato là non si sa per quale motivo, dato che il suo limitato ruolo nell’economia dei Bluvertigo non gli permette di esprimere le proprie sconfinate capacità. Non si capisce neanche il senso del ritorno di Marco Pancaldi dopo vent’anni, annunciato in pompa magna da Castoldi come fosse la rivelazione del terzo segreto di Fatima e poi relegato in un angolo a suonare la chitarra ritmica. Solo i bravissimi Livio Magnini e Sergio Carnevale tentano di tenere in piedi la baracca, conferendo al sound un minimo di omogeneità e dinamica.
E veniamo alla nota più dolente dell’esibizione: Morgan. Sappiamo bene che di fronte all’artista milanese il pubblico si divide fra chi lo ama e chi lo odia, e io faccio parte del primo gruppo. Il personaggio c’è ed è sempre lo stesso: istrionico, pavone, adorabilmente estetico, glamour, accattivante: è il Morgan che conosciamo tutti. Anche al basso è sempre un maestro, per quanto la violenza con cui ci si accanisce gli potrebbe far rischiare una condanna per stupro. Ma lo ascolto cantare Il nucleo, primo pezzo in scaletta, e mi dico: “sei anni fa li ho visti a Villa Ada e mi sono piaciuti parecchio, ma già si sentiva che Morgan non aveva più tanta voce. Ora mi chiedo seriamente se ce la farà a cantare anche solo il secondo brano.”
E infatti da lì in poi è tutto uno sgolarsi o nel migliore dei casi lasciar cantare il pubblico, con Andy e Livio che provano ad aiutarlo con cori di pessima fattura (Andy inspiegabilmente non ha effetti sulla voce), il che mi porta a una fondamentale conclusione: Morgan è un grandissimo artista e un grande personaggio, ma semplicemente non è più un musicista. È fuori dal gruppo: è semplicemente troppo. Una personalità così non si può contenere all’interno di una band. È sconfortante come le sue digressioni fra un pezzo e l’altro lo rendano più simile a un giullare di corte che al frontman di un grande gruppo musicale, e farebbe meglio a starsi zitto quando dice – spero ironicamente – che La crisi “non è mai venuta così bene.”
L’esecuzione drammatica di Sovrappensiero (il loro pezzo che amo di più) affossa definitivamente l’esperienza-Bluvertigo; le reunion sono una cosa tutto sommato positiva per i nostalgici, ma se l’effetto finale è di abbattere il ricordo del gruppo anziché rinvigorirlo, forse sarebbe il caso di non farne.
Claudio Delicato è anche su ciclofrenia.it™ (Facebook/Twitter)