Live report di Clara Todaro, foto di Ossigeno Festival
Il loro nome significa letteralmente “canto del campo di grano”. Gli Agricantus sono nati a Palermo negli anni ’70 ed erano molto in voga negli anni ’90. Quello che non sai, quando arrivi lì, è che negli anni ’90 eri troppo piccola per ricordarli. Puoi solo avere reminiscenze di programmi pomeridiani di divulgazione culturale che usavano alcune loro canzoni come sigla o colonna sonora delle meravigliose riprese del mare nostrum.
Ma, per tua fortuna, sul palco dell’Ossigeno Festival – tra l’altro lo stesso sul quale hanno suonato per la prima volta a Roma, quando ancora il Palladium non esisteva – gli Agricantus tornano alla ribalta con una reunion che vede avvicendarsi vecchi collaboratori e compagni di viaggio. Sì, perché questi bravi musicisti raccontano di viaggi coatti e non, per esempio Cantu errami ricorda gli immigrati che affrontano tempeste e rischiano la vita.
Mario Crispi (fiati e voce), Mario Rivera (basso e voce), Federica Zammarchi (voce), Giuseppe Grassi (mandola), Giovanni Lo Cascio (batteria e percussioni), Massimo Laguardia (tamburi) e Giuseppe Panzeca (mandolino) sono una quelle band che vorresti come musicisti resident a rallegrare certi canali tv (per i pochi che ancora la seguono). Si spiegano, raccontano le loro storie e recuperano ricordi come gli amici che chiamano sul palco.
Ci sono Pivio, Placido Pizzotto, Luigi Cinque, Enzo Rao – bravissimo al violino – e Nello Mastroeni dei Cuncertu, col quale eseguono in acustico Stu jardino si tu. Infine cantano, con una giovane Roberta Albanese, anche un brano dedicato alle donne e intitolato Omini, per un bel gemellaggio Roma-Palermo. Stupenda anche l’esecuzione di Ciavula (“uccello” in dialetto siciliano, ndr), ma quella che ci ha fatto davvero prendere il volo è stata un’emozionante Istanbul Uyurken.
Dal folk-ambient alla musica etnica, la loro world music è ricerca e sperimentazione su più fronti. Le loro sonorità non ti lasciano stare fermo e ti trasportano dai mari profondi ai giardini di aranci e zagare. Sarà stato lo scenario di suoni, colori e odori che hanno saputo ricreare, rigorosamente in dialetto siculo, ma a me è sembrato davvero di tornare per un attimo in questa terra d’origine, bella e dannata, che partorisce o accoglie viaggiatori erranti…
Turnari è il titolo del nuovo album, denso di messaggi: tornare insieme a fare buona musica è sicuramente il primo. Ma immagino possa significare anche tornare a/da una terra di contraddizioni, periferia dell’Italia e centro nevralgico di un mondo scomparso, sommerso dalle acque che la circondano. Tornare a/da paesi oppressi da lotte intestine e speranze di vita così basse che sfidare il mare è l’unica possibilità che resta.