Intervista di Gianluca Clerici
Quando l’evasione strutturale diviene forma concreta d’arte e di espressione. Questo è un vinile che troviamo assolutamente geniale a tratti ma anche salvifico per dimostrare che pulsa ancora il cuore di creatività dietro l’omologazione compositiva della musica italiana. E qui di italiano c’è poco… e a dire il vero c’è un poco di tutto, dall’America all’Inghilterra passando per il pop, il cinema, il noir, la psichedelia e la pop-art. Daniele Faraotti, chitarrista di lungo corso, pubblica questo lavoro dal titolo “English Aphasia” di cui in questi giorni vediamo in rete il video di lancio “I got the Blues”. Ed è un lavoro acido, disturbante e accogliente allo stesso tempo, un lavoro che rivede e ristruttura le abitudini. Ad un professionista come Faraotti non possiamo non rivolgere le consuete domande di Just Kids Society… e sapevamo di ottenere indietro forse le migliori risposte da quando è nata questa rubrica:
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
Come? Non ci sono più dischi? Ma c’è il mio!!! Ah ah ah! È una domanda che meriterebbe una risposta articolatissima – che dire – 70 anni di televisione? 50 anni di musicisti/furbacchioni al servizio del già sentito? Sta cambiando il linguaggio? Si, il linguaggio evolve ma evidentemente in certi ambiti regredisce, s’impoverisce, si banalizza. E tutti questi cantanti tra i piedi? Cosa ci ha portato fino a questo punto? Il successo a tutti i costi? Può darsi. Logiche di mercato decise da Pinucci con molto potere tra le mani? Può darsi. Chi decide cosa passa in tv, in radio o in qualsiasi altro loculo dove passi della musica? Io non chiedo niente a nessuno – nessuno mi dice niente se una mia canzone è troppo lunga, troppo dissonante per il mercato – nessuno dice niente se il mio cantato al momento non trova adepti e quindi il mio vinile non può essere pubblicato. Infatti, in radio non mi passano! Con queste cose però ho mantenute sempre le debite distanze. Certo, trovassi un produttore come Peter Grant: “Fai la tua musica che i soldi ce lì metto io” – ooooh, tirerei un sospiro di sollievo. Come diceva Frank? Trovati un lavoro e fai la musica che vuoi – se succede qualcosa, bene, altrimenti ti sei divertito. Dai, giù – in fondo è un problema di mezzo seghismo. In realtà la buona musica c’è; cito i primi nomi che mi vengono in mente – nomi presi a caso tra conoscenti e amici che come me non si pongono problemi di gradimento, successo, ossia vendita di copie prima di produrre qualcosa: Ooopopoiooo, Naddei, Bonomo,Testa de Porcu, Valeria Sturba, qualsiasi progetto abbia in piedi Daniele D’Alessandro, Dimitri Sillato , Vincenzo Vasi e molti altri. Ce ne sono, ce ne sono. Ci fosse anche una sola persona ad apprezzare il mio lavoro, beh, sarei già contento. Cosa ci guadagno? Tutto e niente – per quanto molti di noi, talvolta se la passino male – economicamente intendo – ma ti dico, testa bassa e avanti. Gente che ha calato le braghe tra i miei compari non ne conosco. Ecco, tuttalpiù sono andati a suonare un po’ di “filuzzi” per arrotondare – ossia sono andati a fare la stagione della frutta ossia hanno messo su una cover band – di Bowie però, mica di Gengis. Valeria qualche anno fa suonava in via D’Azeglio, da Morricone a non so che e riempiva la custodia di bei soldini .
Si dovrebbe misurare il gradimento del pubblico avendo avuto noi tutti le stesse opportunità – il pubblico si fa veicolare dai media ? Bene ! Se Parlunio avesse le stesse opportunità di Ferro forse avrebbe più seguaci di lui e chissà, forse anch’io riprenderei ad ascoltare la radio. Ma si può ascoltare uno che per due ore ti parla del bellissimo rapporto che c’è tra sua madre e suo marito ? Ma che è questa morchia – sto piattume. Peppino Gagliardi me pare Nietzsche a confronto.
Ma forse ho eluso un po’ la domanda – troppa offerta? Clientelismi? Mafie? Ignoranza? Poca curiosità?
La musica “sopra tutte le cose” soppiantata da un paio di ciglia finte? E’ tutta una gran marmellata su cui far pipì – però se in primis ti interessa la musica, la musica c’è.
A chi interessa? Non mi riguarda ma spero che in giro ci siano fratelli con cui condividere punti di vista, musiche, letture, fulmini e filmoni.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
Non credo che sia priva di personalità. È piena di personalità. Sono solo nascoste ai più. Nascoste ai più perché i più si sono fatti abbindolare. Prima o poi un riff irresistibile riuscirà a distoglierli da questa impasse forzata. Il mio disco non cerca niente. Il disco si fa da sè – fotografa il periodo e volta pagina. Personalità? Già non rifare le canzoni di Bennato è manifestare una certa personalità. Con tutto il rispetto per Bennato. Mi par di sentire molti replicanti in giro, e vengono spacciati per alternativi – bah ! Ma il pubblico quanti anni ha? Un 13enne che ne sa di Bennato? Il 13enne o chi per lui , naturalmente si rifà abbindolare – e qui si può anche ri-leggere la risposta alla precedente domanda. In fondo è una questione antropologica; ciò che è già stato fatto, non bisognerebbe più riproporlo – è già stato – a meno che non si tratti di una operazione storico – culturale. Ce ne sarebbe bisogno.
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
Alcuni musicisti inseguono – non dovrebbero; il pubblico beve. Ripeto, bisognerebbe misurare il gradimento del pubblico avendo avuto tutti pari opportunità.
Chi sceglie cosa far passare? Caterina Caselli? Come diceva Totò? Ma mi faccia il piacere!!
Oooh, il capolavoro uscito dalle regole del cosiddetto mercato c’è e ci sarà sempre.
In mezzo a un ciarpame nauseabondo spunta un fiore. Mozart quando aveva bisogno di soldi marchettava. Come biasimarlo – aveva appena terminato i sei quartetti dedicati ad Haydn pubblicandoli a sue spese. Gli avessero chiesto due scoregge in una bottiglia, avrebbe fatto anche quelle. Wolfy poi coi peti andava a Nozze!! Molto prima di Scott Walker. Un’altra soluzione?
Ecco, forse, tutti dovremmo impegnarci di più – dovremmo riuscire a scrivere almeno un paio di canzoni di successo – non importa se belle o brutte – due canzoni che ci portassero in tasca un vitalizio mensile – così, tanto per stare tranquilli e lavorare in santa pace – e mostrarsi in vetrina solo con la musica che ci interessa produrre veramente. Si perché in fondo, quella delle pari opportunità mi pare una roba da fantascienza – e anche questa delle due canzoni di successo – sempre fantascienza. A meno che il tuo vicino di ombrellone non sia un famoso produttore – se si ricorderà di te dopo la vacanza forse potrebbe anche darti il famoso calcio in culo – da sfruttare solo in virtù del vitalizio di cui sopra. Certo adesso, con i dieci metri di distanza tra un ombrellone e l’altro è più difficile.
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
Con quest’anima finianima!! Ah ah! Ma che lagnaaa!! Che significa? Vedo una persona che si commuove ascoltando una canzone di un tal dei tali che a me ammorba da matti – io non ci sento niente – nemmeno una stilla d’anima, l’altro va in catalessi. Ma certo – si scrive per se stessi e l’altro – l’altro ipotetico – quell’unico altro di cui sopra. Ooooh, ma un po’ di vanità ce la volete lasciare – non abbiamo mica preso i voti – Del resto la filiera è questa qui – soprattutto per noi limitrofi/laterali, se ci togli anche lo spam sui social – e che facciamo? Prima essere, poi apparire credo. La gocciolina nell’oceano saluta da lontano e dice sono qui, sono qui!
Che sia un accanimento? Dici? Mah, si forse la ricerca di visibilità la conduciamo con una certa insoddisfazione di fondo; insoddisfazione che evidentemente passa. A nessuno piace, credo, incensarsi da solo; guardate qui quanto son bello quanto son bravo. Si fa di necessità virtù.
Un’opera bizzarra, poco lineare, molto figlia di un istinto compositivo e visionario. Un disco che ha radici negli anni della grande ricchezza del rock psichedelico. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?
Per me la vita di tutti giorni è fondamentale. Più è lineare la vita, più il mio punto di vista prende forma. Mi interessa solo lavorare in santa pace. Dici niente – quando avviene è un miracolo.
È tutta una rottura di cocones – mi rompono le palle da quando avevo 5 anni. Comunque il tempo per la musica lo trovo sempre, fosse anche la sala d’attesa del mio dentista – dal mio dentista fai delle anticamere che te le raccomando – puoi scrivere una sinfonia.
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
L’uno e l’altro – il pubblico pensa di essere su Spotify – va a sentire la sua cover band preferita perché vuol sentire sempre le stesse canzoni – ci canta sopra, si pavoneggia e tifa per la sua squadra. Oggi poi, tutto è gara – come diceva il buon Oliviero Bea, la calcizzazione è dappertutto – il calcio, il tifo – questo parossismo sportivo per me ha influito moltissimo – in ogni ambito – compreso l’ambito musicale. Lentamente ha trasformato tutto. Per il pubblico, il pubblico è quello degli stadi – se ti puoi permettere di riempire uno stadio, il pubblico ti segue perché sei un grande – diversamente sei uno sfigato. Nessuno vuol far fatica – evidentemente perché la vita gli ha già tutti ammorbati abbastanza – quindi, vanno a sentire la cover band di Vasco e poi a Maggio dell’anno prossimo, il Blasco allo stadio. E vivono in questo loop di respiri piano , eeeeeh e ditoni alzati. Eppure guardali – sembrano felici. Nessuno di questi verrà mai a sentirmi in concerto – gli dovesse per sbaglio capitare d’imbattersi in una mia canzone al terzo secondo splitterà in preda al disgusto su c’è chi dice no. Eppure il disgusto potrebbe già essere un primo punto di contatto. Se scrivo una canzone sui fenicotteri del Burundi nella famosa transumanza degli anni 20? Frega niente a nessuno? Di che cosa dovremmo mai scrivere per conquistare questo pubblico? Di manine che scivolano giù? Qualcuno riferiva di Schonberg : aaaah, sicché il mio pezzo è stato applaudito? Devo aver scritto una boiata. Non conviene star lì a chiedersi – fai quel che devi fare e tira dritto. Il pubblico è stato addomesticato. Nella maggior parte dei casi qualcuno sceglie per loro. Oltre ai media gestiti e usati solo con finalità commerciali, oggi ci sono anche i/le blogger ; la Biri Biri oggi ha scritto che la canzone di Molare Bianco è un capolavoro – “ma cosa vuoi che capisca B.B. “No!! Sei tu che non capisci una mazza – la Biri ha 3000 follower, due tette bellissime e poi è stupenda. Cosa rispondi a questa obiezione?
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?
Se ne tiene a distanza perché vuole incontrarle.
E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di Daniele Faraotti, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Bob Dylan : “Don’t think twice it’s all right”… a loop per mezz’ora. Ecco, a proposito di anima: arpeggio difficilotto suonato maluccio, armonica suonata peggio, voce che è quella che è; ma quanta anima ha questa canzone? Un anima di plastica? Forse, ma è un’ anima che non ha niente a che fare con patinature e allineamenti. Appare – è uno stato di grazia.